Lo scontro Italia-Ue si rivela già all’indomani degli sbarchi di migliaia di tunisini a Lampedusa, quando cioè il ministro degli Interni Maroni accusa l’Europa di aver lasciato sola l’Italia nella gestione dell’emergenza. Alle accuse segue subito la stizzita smentita della chiamata in causa: “Ѐ stata l’Italia ad aver negato l’aiuto”, replica la commissaria europea agli Interni, Cecilia Malmstrom, mentre il portavoce assicura che la Commissione aiuterà il Paese “con tutti i mezzi a sua disposizione”. Maroni continua a non esserne convinto e la polemica si sposta alla riunione di Bruxelles, dove, accompagnato da Francia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro, ribadisce ancora una volta la sua richiesta d’aiuto, contrapponendosi fortemente al blocco Nord europeo.
Un botta e risposta emblematico questo, che abbiamo voluto ricordare perché ha aperto numerose ed importanti questioni. Perché se l’Europa ci sta davvero lasciando soli, ci dobbiamo domandare in cosa abbiamo sbagliato e, se non abbiamo sbagliato, ci dobbiamo allora chiedere che senso ha parlare ancora di Unione europea.
Se invece l’Europa è con noi, allora dietro potrebbe esserci la strategia italiana di voler imporre in Europa l’asse Sud europeo in un momento così determinante o quella di voler mettere le mani avanti di fronte ad un’eventuale fallimento delle proprie politiche di gestione dell’immigrazione.
Rimane comunque il fatto che la richiesta formale di aiuto dall’Italia arriva all’Ue il 15 febbraio, quindi dopo le accuse e prima ancora di conoscere le vere intenzioni dell’Europa. Inoltre, il tempo intercorso tra la richiesta di aiuto e l’intervento stesso è stato praticamente nullo.
Sul sito dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere, Frontex, infatti, si legge così: “Seguendo una formale richiesta di aiuto dal Ministro italiano degli Interni, ricevuta il 15 febbraio, Frontex e l’Italia hanno avviato il 20 febbraio una Joint Operation nel centro dell’area del Mediterraneo”. Si tratta della Joint Operation Hermes 2011, che sarebbe dovuta invece partire alla fine di marzo. Giorni dopo, sempre Frontex fa sapere che “specialisti ed esperti di sette Stati membri della zona Schengen sono stati mandati nei centri di identificazione in Calabria, Sicilia e Puglia per assistere le autorità italiane”.
Troppo poco per Maroni, che nella riunione di Bruxelles ribadisce l’allarme immigrazione e chiede per questo un aiuto speciale; aiuto respinto dal Nord Europa, che invita invece Maroni a non bagnarsi prima di piovere. Rimane la disponibilità per un intervento più massiccio di Frontex, mentre dei 100 milioni di euro chiesti ne vengono accordati solo 25, che dovranno tra l’altro essere divisi tra i vari Paesi, così come sul “burden sharing”, lo smistamento degli immigrati, per il momento non si arriva a nessun accordo.
Sembrerebbe un accanimento antitaliano, ma quello che si evince dalla riunione è più una certa cautela europea piuttosto che un’infantile volontà di lasciare solo uno Stato membro in difficoltà.
Le richieste, cioè, verranno accontentate nel caso in cui il motivo che le ha scatenate si dovesse verificare, ma per il momento la situazione è gestibilissima con i mezzi messi finora a disposizione. “Per ora non abbiamo visto nessuno arrivare dalla Libia, anzi abbiamo constatato una diminuzione degli arrivi dalla Tunisia”, ha detto la Malstrom, seguita dal tedesco Thomas de Maziere, che invita l’Italia a “non provocare il flusso di immigrati continuando a parlarne”. D’accordo anche i colleghi austriaco e il belga Melchior Wathelet, che parla invece di “timori alimentati da cifre demenziali” e ribadisce nuovamente che “non è il caso di giocare a spaventarci tra noi”. Ancora più pungente è lo svedese Tobias Billstrom, che ricorda che il suo Paese, 9 milioni di abitanti, nel 2010 ha “concesso asilo a 32.000 persone senza colpo ferire, mentre l’Italia con 60 milioni di cittadini chiede aiuto dopo che sulle sue coste sono arrivati solo 5.000 tunisini”.
Insomma, l’Europa non vuole accontentare Maroni perché non crede che la situazione per il momento lo richieda, ma anche se volessimo prendere per buona l’ipotesi dell’abbandono, più che accusare l’Europa dovremmo forse ragionare su noi stessi, sul nostro ruolo all’interno della Comunità e sul perché eventualmente godiamo di una così scarsa stima. Non sarà forse colpa delle nostre non-politiche economiche, dei nostri attacchi preventivi e paranoici, degli scandali del nostro Premier, delle nostre aperture ai dittatori del Nord Africa e chiusure agli alleati del Nord Europa, o magari delle nostre figuracce in Parlamento europeo, come quella del 2003 quando il premier diede del “kapò” al tedesco Schulz?
O forse è colpa dei nostri infiniti errori diplomatici, come il bacia mano e la parata a Gheddafi contrapposti all’umiliazione della Merkel? Quella del 2009 – ve la ricorderete tutti –, quando, nel corso del vertice della Nato, Berlusconi fece cenno alla cancelliera tedesca, che lo accoglieva per i saluti, di aspettare perché era impegnato al cellulare.
Quello che sembra allora è che l’Italia abbia fatto le sue scelte, ma che non sia però disposta ad accettarne le conseguenze. Non abbiamo forse capito che il peso in Europa non è un fatto dovuto, ma si deve conquistare, e se non si vuole far nulla per lavorare su questo punto occorre accettarne gli effetti senza lamentarsi troppo, come è successo all’indomani dell’esclusione della lingua italiana dai brevetti.