Tre piani dove l’odore delle essenze profumate aleggia tra i mobili d’epoca di quella che era l’antica fabbrica della famiglia Farina dove Giovanni Maria, il profumiere e inventore, aveva il centro della sua attività. Erano gli inizi del `700 e Giovanni Maria Farina scriveva al fratello: “Il mio profumo è un mattino italiano di primavera dopo la pioggia: ricorda le arance, i limoni…, le erbe aromatiche della mia terra”.
Farina era nato in Piemonte. Veniva da una famiglia di Ancona che si era trasferita dopo un’epidemia di peste nel 1430. I Farina erano commercianti e profumieri. La nonna Caterina Gennari aveva un olfatto sviluppato e anche Giovanni aveva il naso assoluto, la capacità di registrare nella mente gli odori e riconoscere la loro fonte: fiori, persone, oggetti. In un’epoca in cui si faceva poco uso dell’acqua e tanto del profumo per coprire i cattivi odori del corpo, questa era una capacità da sfruttare. Così dopo un soggiorno a Maastricht dove lo zio dirigeva alcuni uffici commerciali, Giovanni si stabilì a Colonia.
All’epoca nella città vigeva il sistema delle corporazioni che imponeva agli stranieri due condizioni per intraprendere un’attività commerciale: essere cattolici e trattare solo prodotti di lusso. Così Giovanni iniziò a lavorare col fratello che vendeva nel negozio tra la Große Budengasse e la Unter Goldschmied Straße, nel centro della città, roba francese: stoffe pregiate, calici di cristallo, bottoni d’argento. E “haute couture” erano anche i profumi. Cosicché le regole ferree del tempo ruotarono a vantaggio del giovane profumiere che collezionava nella mente gli odori. Quelli delle strade romane e della laguna veneziana, come i profumi lontani delle città che visitava per scopi commerciali dal Mar del Nord fino al Mediterraneo, dall’Atlantico fino al Bosforo.
Una mappa del 1715 conservata nel museo descrive le rotte dei viaggi, una sola è sfumata: l’Australia all’epoca poco conosciuta. I rosolien, le bottiglie con la caratteristica forma allungata, raggiungevano principi e re. Erano care a Napoleone che era solito nasconderne una nello stivale. Grande uso ne faceva Clemente Augusto, principe di Brühl e proprietario del bel castello Augustus: quaranta erano le bottiglie che utilizzava ogni mese, al posto della vasca da bagno oggetto di bella mostra per gli amici. E così la clientela si moltiplicava.
Quella delle grandi corti e di intellettuali raffinati. Goethe l’ordinava per sé e la moglie Christiane Vulpius, Voltaire si rinfrescava lo spirito col fazzoletto di batista inumidito col profumo. I clienti venivano accolti nel primo piano dell’odierno museo, una volta tappezzato di arazzi e dove ora fa bella mostra il mobile da valigia, un esemplare scomponibile utilizzato nei viaggi per esporre i prodotti. Si accomodavano su poltroncine rococò e gustavano frutta candita, poi si concludevano gli affari. Che dovevano essere tanti: gli atti commerciali, conservati nell’archivio economico del Nordreno-Vestfalia, occupano uno spazio enorme, 300 metri di lunghezza per quattro di altezza.
Ma quali erano le caratteristiche dell’acqua profumata tali da renderla così ricercata? Bergamotto, gelsomino, legno di sandalo, pompelmo. “Il profumo nasce dalla fantasia del profumiere” e gli italiani all’epoca erano nel campo maestri. Giovanni Maria, poi, aveva un olfatto assoluto e l’ossessione artistica di rendere la sua “acquetta” unica. Le boccette dovevano emanare lo stesso profumo. Questo anche se le miscele utilizzate potevano essere diverse: il bergamotto aveva ricevuto più raggi solari dell’annata precedente e quindi aveva un odore più intenso. Ma il profumiere italiano conosceva alla perfezione le essenze e le ricordava così bene da poter combinarle a mente e avere impresso il risultato della sua unica ricetta. In questo modo poteva aggiustare i componenti in modo da avere l’identico risultato.
Ma la caratteristica dell’acqua di Colonia Farina è la percentuale di essenze utilizzate. Dall’8 al 12 per cento, mentre quelle che oggi vengono comunemente chiamate “Eau de parfum” ne hanno una percentuale più ridotta. Il resto è alcool che serve come fissante del profumo. La ricetta Farina ancora oggi è rimasta immutata, dopo 300 anni festeggiati l’anno scorso. E non ha niente a che vedere con quella alla base del 4711, che alcuni ancora confondono con l’acqua di colonia originale. Forse perché col nome di Farina lo stesso produttore del 4711, Wilhelm Mülheus, lo aveva chiamato, infischiandosene dei brevetti che allora non esistevano.
Solo una sentenza del tribunale di Colonia riuscì nel 1881 a costringere Mülheus a cambiare il nome al suo profumo. Da allora le due creazioni sono distinte, una col nome 4711 e l’altra con la firma del profumiere che a Colonia aveva deciso di dedicarla.
Farina, l’originale
L’acqua di Colonia Farina ha festeggiato l’anno scorso trecento anni. Oggi viene prodotta dall’ottava generazione dei Farina nella periferia della città. La ricetta è sempre la stessa e la bottiglia è quella disegnata dal pittore russo Kandiskij nel 1912. Sull’etichetta è riprodotta la firma del profumiere insieme alla dizione “gegenüber Jülichs- Platz” (il luogo dove si trovava la fabbrica, oggi museo) che Farina aggiunse per contraddistinguere il prodotto dalle numerose false imitazioni.
Sopra, il tulipano rosso, introdotto nel 1924. Le esigenze di protezione sono state sentite da quando, soprattutto con l’arrivo dei francesi che abolirono i brevetti, il nome Eau de Cologne fu utilizzato da altri produttori e non bastò più a indicare la ricetta originale. Oggi il 4711 ha impressa ancora la scritta “echt kölnisch Wasser”.
Altro mistero: il nome di Giovanni Paolo Feminis che secondo alcuni studi sarebbe inventore dell’essenza. Secondo i Farina si tratterebbe della leggendaria figura a cui fece riferimento il ramo parigino della famiglia per la propria ditta di Parigi.