"Don’t shoot the messenger", si dice in inglese. "Ne punissez pas le porteur de mauvaises nouvelles" si dice in francese, e in italiano “ambasciator non porta pena”. A dirsi è facile, più difficile a farsi. La scomparsa della carta stampata in Germania è un fenomeno che interessa palesemente sia la sinistra (Frankfurter Rundschau) sia il centro (Financial Times Deutschland), tanto la stampa d’élite (come la rivista Impulse, destinata agli imprenditori) quanto la stampa popolare (come Prinz, che da gennaio 2013 sarà disponibile soltanto online).
È cominciato un acceso dibattito sulle cause di questo fenomeno e sulle lezioni da trarne. Spesso si tirano in ballo modelli economici e naturalmente internet; meno spesso il modo in cui è cambiata l’informazione, sia essa in rete o cartacea.
In sostanza, siamo davanti a un’evoluzione che non è imputabile esclusivamente a internet. La storia delle tecnologie è la storia della fluidificazione dell’informazione: gli esseri umani aspirano a essere parte integrante di questo flusso, e a vedere in questo panta rei (in greco antico “tutto scorre”) non tanto una costante, quanto un’esortazione.
Ironia vuole che proprio i giornali in formato cartaceo, nati alla fine del XVII secolo, abbiamo avuto un ruolo decisivo in questa fluidificazione, perché facevano circolare l’informazione molto più rapidamente dei libri in uso fino ad allora. In seguito vennero la digitalizzazione e la connessione informatica.
Sul cartaceo come in internet l’informazione scritta appare sotto forma di articoli, e ciò corrisponde a un’abitudine ormai invalsa, a un modo di consumare l’informazione. Ma anche l’articolo potrebbe cambiare, dato che anche in questo caso l’opinione pubblica si aspetta una fluidificazione. L’informazione deve dare l’impressione di essere “aggiornata” in diretta. A essere in crisi non è la carta stampata, bensì l’informazione statica, l’articolo immutabile nel tempo.
I media cartacei che paiono soffrire meno sono quelli che si sottraggono alla pressione della fluidificazione, allontanandosi dall’informazione vera e propria. La rivista Landlust è considerata un successo e si occupa di tematiche che la tengono a distanza di sicurezza dall’attualità tradizionale. L’Economist, le cui versioni online e in cartaceo sono prese spesso a modello, liquida l’attualità internazionale in poche righe sulla sua edizione stampata, e tutto il resto del giornale è fatto di analisi, reportage e articoli di opinione, contenuti che aiutano a comprendere meglio il flusso dell’informazione invece di immobilizzarlo in un dato momento X sotto forma di resoconto.
A prescindere dal mezzo utilizzato, l’articolo di informazione non può più accontentarsi di descrivere il mondo. Anche sul web, si percepisce una progressiva fluidificazione dell’informazione, che preannuncia la fine dell’articolo di attualità immutabile al quale eravamo abituati. L’attualità non sopporta l’immobilismo.
In questo contesto, sulla carta come in rete, pubblicare un articolo di attualità immutabile equivale più o meno a proiettare i sottotitoli di una commedia teatrale al cinema: una trasposizione letterale non sfrutta a sufficienza le possibilità offerte dal mezzo. Nei giorni in cui l’attualità pullula di notizie si ricorre ai feed, a riprova del fatto che l’articolo tradizionale, benché aggiornato, non è la forma più adatta a tenere dietro al flusso di notizie, soprattutto quando l’informazione si fa scottante.
Questi sono tempi in cui l’impressione di essere aggiornati non va al di là di pochi minuti, per non dire secondi. Il concetto stesso di feed – nei quali l’informazione è presentata in ordine anti-cronologico – dimostra che essi obbediscono ad altre leggi e soddisfano altre necessità.
La fine dei flash di notizie è imminente, ed è questo il male del quale sono affetti i media che si erano specializzati in questo, sul web o su carta. Dopo che lo stesso Barack Obama ha twittato i dati della propria vittoria elettorale, qualsiasi resoconto fattuale della sua vittoria sembra poca cosa.
Se l’interpretazione della crisi della stampa come crisi dell’informazione – come la fine delle esposizioni immutabili e puramente fattuali sotto forma di articoli – non sfocia in analisi inedite di questa problematica, essa implica tuttavia conseguenze ben più grandi.
Per la carta stampata ciò significa tenersi a distanza dagli ambiti in cui l’aggiornamento costante è inevitabile: conviene pertanto abbandonare l’attualità e privilegiare la comprensione del lettore. È difficile dire se ciò può funzionare per i quotidiani. Non è il giornale a essere messo in discussione, quanto il funzionamento dei quotidiani che si sono specializzati nella riproduzione degli avvenimenti d’attualità.
C’è però una questione ancora più interessante: qual è l’incidenza sull’informazione digitale della necessità di fluidificare l’informazione? Forse andiamo verso una frattura. L’informazione assumerà la forma di un flusso che renderà obsoleto il formato tradizionale dell’articolo. Questo flusso sarà integrato da spiegazioni, contestualizzazioni, analisi, avvenimenti, sotto forma di articoli aggiornati in continuazione, ai quali il flusso potrà sempre rimandare.
L’informazione in futuro sarà fatta di reportage in diretta e archivi aggiornati ininterrottamente sugli eventi in corso e le loro conseguenze. Lo spazio tra le due tipologie si andrà restringendo, una situazione di cui il giornale non è il principale responsabile. È inutile sparare sul giornalista, anche perché quello che occupa potrebbe essere il suo ultimo posto.