Uno dei fenomeni migratori più rilevanti nell’ultimo decennio in tutta Europa è l’emigrazione in campo sanitario. In particolare per ciò che riguarda l’assistenza ad anziani ed invalidi. Si tratta di un tipo di movimento migratorio fatto da professionisti come medici o infermieri, ma soprattutto da semplici lavoranti con bassa o nulla qualificazione. Uno studio inglese di Jane Hardy, Moira Calveley e Steve Schelley dell’università dell’Hertfordshire, pubblicato anche in Germania su APuZ 4-5 2015 ne rileva dinamiche e contenuti.
La questione è diventata rilevante da una decina di anni a questa parte, da quando cioè l’invecchiamento della popolazione nei Paesi dell’Ocse, è diventata una delle questioni più importanti e uno dei rischi più evidenti dell’intero sistema economico. In Europa, poi, il problema rischia di divenire drammatico viso che il calo delle nascite non ha uguali in tutto l’Occidente. Ma non è tutto. L’invecchiamento porta tra l’altro all’esigenza di investire in salute e assistenza. Insieme alla sua rilevanza sociale ed economica, il fenomeno è importante proprio perché fa nascere una emigrazione specializzata nel settore. In Europa – fanno notare i ricercatori – tutto sembra molto complicato. Le difficoltà di capire realmente il fenomeno sono maggiori che altrove, perché le diverse legislazioni nazionali e le diverse metodologie per la raccolta dei dati non sono armonizzate. In molti Stati europei, i dati non sono attendibili, soprattutto nel settore privato. Infine, i dati che esistono, sono talmente differenziati tra loro da risultare difficilmente quantificabili. Insomma: l’emigrazione nel campo della sanità e dell’assistenza, che era prevedibile tanto quanto lo è l’autunno dopo l’estate, non è invece stata prevista dalle autorità di quasi nessuno dei Paesi interessati.
Di fatto, tuttavia, l’invecchiamento della popolazione in Europa ha reso molto dinamico il mercato delle professioni legate appunto alla vecchiaia e alla malattia. E la tendenza è al rialzo. Non a caso ora sono partite in diversi Paesi europei campagne pubblicitarie pubbliche e simili tra loro che presentano la professione come “professione del futuro”. Tuttavia – sottolineano i ricercatori – la cattiva nomea della professione stessa, legata al basso salario e al basso status sociale, pone dei problemi ovunque per una adeguata offerta di manodopera. Inoltre, rimane aperta non soltanto la questione del riconoscimento dei titoli, ormai annosa in Europa, ma anche quella della disomogeneità dei diversi mercati europei dell’offerta. I quali possono essere finanziati pubblicamente o privatamente, o addirittura non finanziati; organizzati in maniera formale o informale.
Questo fa naturalmente una grande differenza. Dove l’assistenza è istituzionalizzata, come in Francia o in Scandinavia, anche il mercato del lavoro segue regole precise e stabili. In Stati dove è necessario un supporto di denaro al sostegno pubblico, esistono offerte individuali e arrangiamenti particolari, che possono essere molto diversi tra loro. In Italia il mercato è ancora regolato in maniera estremamente individuale, quasi del tutto privatizzato, con condizioni di lavoro spesso illegali e che talvolta rasentano ipotesi di reato anche gravi. In Germania l’assicurazione obbligatoria deve essere molto spesso integrata da sovvenzioni private.
Nonostante ciò, negli Stati dell’Europa meridionale si assiste ad una crescente immigrazione di manodopera legata alla assistenza. Ma in generale, in tutti quegli Stati nei quali l’assistenza ha bisogno di gettiti di danaro privati (ad essi appartengono, oltre a Germania e Italia, Irlanda, Inghilterra, Spagna e Austria) si arriva ad arrangiamenti vari e, appunto, a sovvenzioni private. Visto che la tendenza, anche per ragioni culturali e psicologiche, è di mantenere malati ed anziani nei loro luoghi di origine, a partire dagli anni Novanta si sono organizzate quindi, in maniera spesso autonoma e caotica, ondate diverse di migrazioni femminili in direzioni dei citati Paesi, e quasi tutte provenienti dai nuovi Stati dell’Unione.
Lo spostamento di manodopera, tuttavia, ha incontrato nel passato e incontra tuttora parecchie difficoltà. La prima delle quali è la mancata armonizzazione delle normative del riconoscimento di titoli ed esperienze. In molti Stati dell’Unione esistono richieste (molto) particolari per la registrazione nelle rispettive Camere di commercio. Anche nelle linee guida dell’Unione del 2005 è richiesta, nel campo, una specifica competenza linguistica, che deve essere dimostrata. Questo è un ostacolo al riconoscimento legale anche di coloro che già sono occupati sul territorio per il semplice fatto che molte delle operatrici dell’assistenza per malati e anziani (si tratta infatti soprattutto di donne anche se non soltanto) queste conoscenze non le hanno, pur lavorando spesso da molto tempo sul posto. In Germania, si può richiedere, ad esempio, ad una operatrice croata o rumena di parlare tedesco quel tanto che basta per fare la spesa o per rivolgersi ad un ufficio. Difficile che la stessa operatrice raggiunga la certificazione C2, soprattutto se non ha avuto una buona scolarizzazione nella sua propria lingua.
Queste condizioni sono la causa, tra l’altro, del fatto che operatrici del settore provenienti dagli Stati dell’Est europeo debbano lavorare con una qualificazione che è al di sotto (talvolta molto al di sotto) delle competenze conquistate nei Paesi di origine. La situazione è simile in tutti gli Stati che attirano manodopera. In Italia, il personale femminile legato all’assistenza, in particolare per ciò che riguarda le lunghe degenze e per l’assistenza domestica, lavora normalmente con contratti o rapporti di prestazione privati. Vista anche la scarsissima presenza sul territorio di strutture sanitarie adeguate, l’emigrazione legata all’assistenza è una delle più imponenti. Una possibile regolarizzazione del mercato dell’Unione europea passa attraverso l’armonizzazione delle varie normative locali, sia per ciò che riguarda le condizioni di lavoro, sia per ciò che riguarda il riconoscimento dei titoli. Il mercato dell’assistenza certamente non si esaurirà nel futuro. La tendenza demografica all’invecchiamento è molto chiara da almeno due decenni e la curva è stabile. Rimane la necessità di un’azione politica in quella direzione, anche se, purtroppo, – concludono i ricercatori – non pare che a livello europeo la politica voglia occuparsi nel breve periodo di una questione destinata ad aggravarsi sempre di più col passare del tempo.