L’immagine è stata scelta di comune accordo con l’editore. Volevamo infatti un’immagine che desse l’idea dello scavalcare, spezzare e rompere il muro (anche in senso metaforico) non usando però un’immagine che avesse esclusivamente l’appannaggio della realtà, bensì conservasse in un certo senso il mito della storia, quasi della fiaba. Era più nell’ottica dal libro perché ho scelto, intenzionalmente, di raccontare solo storie a lieto fine e, dunque, anche l’immagine doveva essere a suo modo lieta.
Oltre al mio lavoro quotidiano sono anche un consulente del Goethe Institut. Nel 2013 sono stato invitato ad un convegno in cui si parlava di Berlino come città moderna, e contemporanea. Rivendendo i luoghi del muro, i diversi posti in cui sono conservati pezzi di muro, mi è venuta voglia di raccontare come è stato riuscire a superare quel muro. Parlando poi con colleghi più giovani o con gli amici dei miei figli in età liceale, mi sono reso conto che la storia del muro di Berlino era per loro qualcosa come un racconto mitico ed estremamente lontano. Si formò presto l’idea di attirare la loro attenzione con le avventure, come lo sono state appunto le fughe, scritto in maniera tale che potesse suscitare il loro interesse. È per questo che ho scelto di scrivere i racconti pensando a un pubblico di ragazzi. Le storie iniziano infatti con un nonno che guarda i nipoti e gli amici giocare a pallone. Quando uno dei ragazzi calcia il pallone oltre il muro uno degli amici fa una battuta sul muro e sulle varie fughe scuotendo l’interesse dei suoi amici che si rivolgono al nonno affinché lui racconti loro le storie.
Le storie delle fughe sono tutte vere, sicuramente i dialoghi no perché quelli li ho resi più narrativi, ma le storie sono tutte storie effettivamente successe e andate a buon fine: dalla fuga con il pallone aerostatico al tizio che confiscò il treno per infrangere la barriera per finire con il nuotatore che si fece, di notte, 25 km del mare del nord. Mi sono avvalso della documentazione ufficiale come gli atti degli interrogatori che venivano fatti ai fuggiaschi una volta che riuscivano ad arrivare a Berlino Ovest.
Per una giornata l’ho vissuto anche in prima persona. Studiavo in Germania, nell’allora Repubblica federale, e un giorno con il corso facemmo un’escursione a Berlino. Al punto di attraversamento dovemmo attendere tantissimo tempo finché furono fatti tutti i controlli. Il ricordo della Berlino dell’epoca è di una città molto grigia, mogia, quasi come se il muro la avesse tagliato fuori dal mondo. I palazzoni grigi, basici e la gente che camminava in maniera svogliata rendevano la sensazione di grigiore ancora più forte. La sera della caduta del muro ero nella mia stanza alla mia scrivania, quando ha bussato mio padre alla porta per invitarmi a raggiungerlo per guardare la TV e vedere cosa stesse succedendo in Germania. La sorpresa fu grandissima. E, visto che non c’era Internet all’epoca, mi ricordo che la mattina dopo andai in giro per le varie edicole che vendevano i quotidiani internazionali per leggere il più possibile sull’evento. Dopo la caduta del muro sono tornato più volte a Berlino e ogni volta trovavo la città sempre più cambiata. La prima volta, nel 2008, rimasi un po’ sconcertato dal fatto che la città sembrava un grande cantiere, tutto in continuo movimento. E lo è tutt’ora. Il simbolo della rinascita frizzane di Berlino è Potsdamer Platz: dai fossati degli anni 60 ora la piazza vanta costruzioni di edifici dei migliori architetti mondiali.