Era ora. Era ora che finalmente sulle pagine dei giornali di tutto il mondo si leggesse una nota positiva sul comportamento dei tedeschi nei confronti dei profughi che bussano alla loro porta in cerca di aiuto. Per troppo tempo i tedeschi di buona volontà e memori dell’umana solidarietà, hanno dovuto subire la vergogna di alloggi per i profughi dati alle fiamme, di dimostrazioni in piazza di stampo razzista e a lungo camuffate come semplici preoccupazioni di una popolazione sopraffatta dalla venuta di stranieri.
Preoccupazioni che per troppo tempo sono state tollerate dai partiti politici, anzi artatamente usate per accaparrarsi un po’ di voti, cavalcando l’onda fangosa di un pericoloso populismo. È bastata la foto del corpicino di un bambino siriano di tre anni annegato e arrivato sulla spiaggia come un sacchetto d’immondizia a muovere gli animi tedeschi? No. Non è stata solamente quella foto straziante. L’opinione pubblica tedesca, quella ragionevole, ha una strana peculiarità: il silenzio. Solo raramente la gente di buon senso, in Germania, scende in piazza. Il buon senso, in questo Paese, sembra perennemente prigioniero di una sorta di pudore. La gente civile non grida, non stramazza, non chiede vendetta alla Bild Zeitung, il quotidiano più pericoloso d’Europa.
Ma quando i tedeschi vanno in piazza per riscattare quell’umanesimo che proprio loro hanno insegnato al mondo intero, lo fanno con autenticità, con la fermezza di chi è nel giusto, col coraggio e con la disponibilità a subirne tutte le conseguenze. Viva la Germania, quella che a Monaco di Baviera è andata alla stazione ferroviaria per accogliere col sorriso quei bambini, che hanno ancora stampato la morte negli occhi. Viva la Germania che finalmente si è ricordata di quando i profughi in giro per il mondo erano di nazionalità tedesca, prima in fuga dai nazisti, poi in fuga dai comunisti e prima ancora, agli inizi del secolo scorso, in fuga dalla fame più nera.
La nostra Italia. La nostra strana Italia piena di autoironia, di autolesionismo, sempre pronta a cospargersi di fango mentre potrebbe farlo col cioccolato. Non è stata l’Italia a pescare dal mare centinaia di migliaia di disperati? Non è stata la nostra Marina, tutti i giorni per decenni, a solcare il mare alla ricerca di naufraghi? I cannoni delle nostre navi militari hanno fatto la ruggine. Magnifica ruggine per fare posto al sangue che corre tra le mani dei nostri marinai che stringono quelle funi, cui sono aggrappati bambini, donne incinte, giovani, vecchi con l’acqua alla gola. È una legge vecchia come il mondo. Da quando il primo uomo andò per il mare con un tronco d’albero, una legge inalienabile lo portava a tirarvi su un altro essere umano cascato in acqua. Una legge che i nostri marinai non hanno mai violato.
Magnifici ragazzi, ai quali nessuno pensa quando per anni cercano di digerire le scene raccapriccianti dei cadaveri di chi non sono riusciti a salvare in tempo. Chi li ripaga di tutto questo? Altro che Schettino. Questa è la nostra Marina! Un’organizzazione umanitaria. Un’unità di coraggio civile. Un esempio al mondo intero di come sia fatta la solidarietà umana. Ed è al mondo intero che l’Italia ha diritto di chiedere un pubblico riconoscimento. La medaglia mondiale al valor civile. Il premio Nobel per la nobiltà d’animo. Le spetta.
Le spetta, perché mentre a Bruxelles si discute sulle quote di profughi da spartirsi, mentre a Bruxelles si pensa ad altro filo spinato per tenere lontani quelli che sono considerati una minaccia per le pance abbuffate di europei strasazi, i nostri marinai rischiano quotidianamente la pelle per trarre in salvo quelli che, in un primo momento, sono solo dei naufraghi, delle vite umane in balia delle onde e che vanno salvate, ad ogni costo. Poco ce ne importa se il gesto nobilissimo di solidarietà umana della Marina Militare Italiana, sia poi degradato a un problema burocratico, logistico e, peggio ancora, a uno strumento di opportunismo politico. Quando la sera alla televisione vediamo un marinaio italiano che offre una bottiglia d’acqua a un povero disgraziato che per ore ha rischiato di annegare, ne possiamo essere orgogliosi. Punto e basta.
Un orgoglio che deve essere condiviso e riconosciuto dal mondo intero, il quale deve finalmente dire ai nostri ragazzi con l’uniforme bianca: GRAZIE!