Il gruppo teatrale Le Maschere nasce all’interno della Missione Cattolica di Stoccarda e inizialmente si propone di rappresentare momenti di vita religiosa attraverso ricorrenze religiose. Una coincidenza che richiama alla mente la nascita del teatro medievale. Durante il periodo alla Missione che è durato circa un paio d’anni, nasce all’interno del gruppo l’esigenza di poter recitare anche al di fuori delle ricorrenze e proponendo pezzi non necessariamente di riferimento alla vita religiosa. Ci si pone l’obiettivo di raggiungere un pubblico di lingua italiana che potesse essere numeroso e si fanno, per questo, delle scelte orientate sul cosa poter rappresentare. È così che venticinque anni fa si rappresenta per la prima volta a Stoccarda “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo. È qui che Angelo Attademo si cimenta per la prima volta nella regia.
Sig. Attademo, perché proprio Eduardo e un pezzo difficile come “Natale in casa Cupiello” per presentarsi per la prima volta ad un pubblico italiano locale?
Cercavamo un pezzo che potesse stimolare il pubblico a venire a vederci in questa nuova veste e così ho pensato ad Eduardo e cominciato a cercare all’interno della Missione persone che potessero corrispondere ai caratteri della commedia.
Qual è stata la maggiore difficoltà che ha incontrato nell’organizzare lo spettacolo?
È stato difficile inizialmente trovare delle donne che potessero recitare nelle parti femminili. Le prove si facevano di sera e bisognava guadagnare la fiducia delle famiglie. L’idea fu accolta però con entusiasmo e moltissimi si aspettavano di poter fare qualcosa con il teatro. All’inizio eravamo una ventina di persone circa. Del gruppo in origine, dopo venticinque anni, siamo rimasti io e mia moglie. L’attuale gruppo di attori de Le Maschere, trova origine nel 1987. Da quel momento in poi, si è creato un nucleo fisso di artisti che tutt’ora è con noi.
Dunque Eduardo è stato il vostro debutto e poi cosa avete rappresentato ancora?
Eduardo e il teatro napoletano d’autore. Oltre a De Filippo anche Eduardo Scarpetta e diversi altri classici del teatro napoletano. Il successo dei nostri pezzi è stato notevole e questo ci ha incoraggiato ad andare avanti e fare sempre meglio. Con il tempo, la fiducia del pubblico ci ha spinto ad aprirci anche ad un pubblico misto fatto non solo di italiani ma anche di tedeschi. Un pubblico, insomma, diverso da quello che fu al nostro debutto.
Quali sono le caratteristiche del gruppo?
Chi si avvicina al nostro gruppo, lo fa principalmente per amore del teatro. I sacrifici sono enormi e il guadagno minimo. Ciò che ci unisce è solo l’amore per il teatro. Chi non ha avuto questa forza non è rimasto a lungo nel gruppo. Oltretutto, all’interno del gruppo, con il passare del tempo, si sono verificate delle situazioni, diciamo così ”eventi di vita” che ci hanno rafforzato anche nel nostro sentimento d’amicizia. Nascite di figli ed eventi dolorosi in cui ci si è sentiti vicini ci si è dati una mano anche nel tempo libero. È questo che ha dato una forza maggiore al gruppo, la sensazione di essere un gruppo anche fuori dal teatro.
Che consiglio darebbe a chi volesse intraprendere la via del teatro e magari volesse partecipare al vostro gruppo?
Avvicinarsi al teatro è sentire l’amore verso di esso. Non bisogna pensare al guadagno, ma all’arte e all’amore per la recitazione. Il teatro da moltissimo, fa crescere l’individuo in moltissimi aspetti. Esso sa essere una lezione di vita.
Che ruolo ha svolto l’emigrazione italiana in questo fenomeno culturale quale Le Maschere, divenuta ormai una realtà culturale locale italiana di spicco?
L’emigrazione italiana ha avuto il ruolo principale, senza di essa, noi non ci saremmo e non ci sarebbe stata l’esigenza di un teatro in lingua. Tuttavia, essa ha subito un’evoluzione nel tempo che già ai nostri esordi si poteva percepire. Si passava da una fase passiva ad una attiva in cui ci si sentiva propositivi. Questa caratteristica ha continuato ad esserci ed a crescere nel tempo e ora si può dire di avere un pubblico italiano esigente e interessato ad avere in loco eventi culturali di rilievo. In tutto questo, naturalmente, un ruolo importante ce l’hanno le istituzioni, poiché senza il loro appoggio, non riusciremmo ad andare avanti. A mio avviso, si dovrebbe fare ancor di più nel coinvolgere in eventi culturali l’emigrazione non limitandosi soltanto a professionisti italiani in loco.
Per fare delle prove avrete sicuramente bisogno di un luogo di ritrovo, come vi organizzate e dove vi ritrovate?
Abbiamo una sala in cui possiamo riunirci e nella quale ci ritroviamo da molto tempo. Una gran fortuna per noi e un luogo di ritrovo. Inizialmente ci si riuniva alla Caritas Italiana, successivamente nella chiesa cattolica di St. Elisabeth, dove siamo a tutt’oggi. Abbiamo investito del denaro in questa sala per poter riuscire a fare delle prove con un palco e una struttura che ci consentisse di sentire la scena. Senza questa sala, non avremmo sicuramente avuto la possibilità di continuare il nostro lavoro.
Come si svolge il suo ruolo di regista?
Per me è importante che la gente capisca alcune cose delle nostre manifestazioni. Prima di tutto, il rispetto che il pubblico ci riserva, rappresenta per me il punto di partenza. Mai sottovalutare il pubblico e mai deluderlo. Alla fine di uno spettacolo il pubblico deve essere contento e deve poter dire di essere soddisfatto. Noi mettiamo tutta la nostra esperienza e serietà nel lavoro che svolgiamo. Come ho già detto, inizialmente il pubblico che frequentava i nostri spettacoli era un pubblico principalmente religioso che si orientava alle missioni cattoliche del territorio. Quando abbiamo voluto renderci autonomi, molti non hanno subito creduto in noi, ma con il tempo e dimostrando quanto eravamo capaci di fare, anche i più restii si sono ricreduti. Il nostro pubblico è composto dagli affezionati, dai napoletani e da chi è appassionato del tipo di teatro che andiamo a proporre.
Quali sono le maggiori difficoltà che incontrate nel vostro lavoro?
C’è sempre maggiore difficoltà nel reperire fondi e sostegno da parte delle istituzioni. È in quest’ottica che avrei l’idea di un progetto che potesse permettere a chi vuole avvicinarsi al treatro di poterlo fare liberamente. Sarebbe auspicabile un contatto con le strutture locali tedesche che si occupano di teatro per evitare il problema di poter fare una sola rappresentazione. Allora potremmo dividere il pubblico numeroso che si aggira di solito tra le 250/300 persone, in diverse serate e rappresentazioni. Un nuovo inizio che possa far sì che si sia presenti a Stoccarda non meno di sette, otto volte l’anno.
Natale in Casa Cupiello è stato il vostro primo pezzo e quello che avete riproposto quest’anno per festeggiare il venticinquennio del gruppo, cosa è cambiato nel pezzo da voi rappresentato e cosa invece è rimasto uguale?
Nel nuovo pezzo si sono aggiunte nuove leve, dunque una speranza per il futuro! Il nostro gruppo, non è ancora stanco di avere nuove idee, di accogliere nuove leve e di rimettersi in gioco per il nuovo. Un lavoro serio il nostro e professionale e dunque ci fa piacere alla fine della serata vedere che il pubblico ha apprezzato il nostro lavoro. Ci tengo a ribadire che quello che ci ha aiutato è stata l’accoglienza e l’entusiasmo delle persone che ci hanno visto. Ci sono città che ancora non siamo riusciti a raggiungere con i nostri spettacoli: esse rappresentano il nostro obiettivo!