Speranze e aspettative per l’anno nuovo 2021 appena iniziato
Siamo in tempo di Covid, chissà ancora fino a quando, e di severo distanziamento. Bisogna stare lontani, ci dicono e ci ripetiamo, per ridurre il pericolo di contagio. E va bene. Ma dentro a questa precauzione pur necessaria e che rispettiamo per il bene personale e collettivo si sta diffondendo una certa diffidenza nei confronti dell’altro e che sta lentamente rovinando il nostro sguardo sulle persone e sulle cose. E anche questo è il frutto avvelenato del virus che non dobbiamo sottovalutare perché inquina la nostra umanità. Covid-19 sta contaminando milioni di corpi, ma possiamo impedire che contamini milioni di cuori? Possono bastare certe frasi come “andrà tutto bene” che ci diciamo al telefono e qualcuno espone ancora alle finestre?
Non è un caso che molti cartelli con queste parole, così numerosi durante il lockdown della scorsa primavera, siano scomparsi e pochi ne siano comparsi di nuovi, quasi una tacita conferma di quanto fosse fragile quell’auspicio che il tempo e la realtà hanno messo in crisi. Ci vuole qualcosa di più per vincere lo scetticismo, la rassegnazione, la paura che stanno prendendo possesso dei cuori. Ci vuole qualcosa di speciale per affrontare questa sfida. E’ necessaria la coscienza che nessuno si salva da solo, la stessa che papa Francesco ci ricorda nell’enciclica Fratelli tutti. E per i cristiani è la stagione, tanto impegnativa certo, in cui mettere alla prova se la fede è capace di reggere l’urto di un attacco potente come quello contenuto nell’invisibile coronavirus che ci assedia, oppure se la fede è solo un bel soprammobile da collocare in evidenza su una mensola del salotto dei valori, qualcosa che può regalarci un po’ di consolazione ma non diventa esperienza vissuta e testimonianza da offrire al mondo all’inizio di questo nuovo anno.
Le aspettative per il 2021 sono tante: il primo obiettivo è sconfiggere la pandemia, salvare subito il maggior numero di vite umane, poi tornare alla normalità, far ripartire tutte le attività economiche ed anche culturali e religiose, porre fine al senso di impotenza e di incertezza. Sul 2021 proiettiamo tutte le speranze di rivedere la luce a cui eravamo abituati. Per ora si tratta di resistere e di trarre lezioni da questa pandemia a tutti i livelli della società. La speranza è che serva da lezione a tutti, anche a ognuno di noi, che ci insegni quanto è importante il prossimo che ci sta accanto, e quanto c’è da ringraziare il cielo quando stiamo bene e neppure, distratti e superficiali come siamo, ce ne rendiamo conto.
A questo punto ricordo una scena del romanzo Divisione Cancro del grande Aleksandr Solzenicyn. Tra i personaggi, due si ammalano ed entrano in ospedale: Pavel ed Oleg. Il primo, un funzionario del partito, è arrabbiato, ritiene ingiusta la malattia, perché lui è sempre stato ligio ai suoi doveri; il secondo invece, un ex galeotto, accetta con rassegnazione la nuova prova, come un prolungamento della sua detenzione. Entrambi poi guariscono ed escono dall’ospedale. Pavel dalla sua auto con l’autista che è venuto a prenderlo guarda fuori il mondo ma niente lo meraviglia, la guarigione gli era dovuta; Oleg invece se ne esce a piedi, tutto gli pare nuovo, il sole roseo, tutto come un miracolo. E ritorna nella città vecchia a vedere l’albicocco in fiore; prima non l’aveva mai visto così bello, così grande. Due modi di uscire dalla malattia: per Pavel è lo sguardo del “dovuto”, che non si meraviglia di nulla; per Oleg lo sguardo del “donato” che vede tutto nuovo, come una nuova creazione. Per Pavel la guarigione era scontata, per Oleg invece una vita aggiunta.
Ma noi come usciremo da questo difficile tempo di prova? Il peggior modo sarebbe quello di non aver imparato né cambiato nulla.