La depenalizzazione del suicidio assistito e una breve recensione della nuova opera di Ferdinand von Schirach, Gott (Luchterhand, 2020)
“A chi appartiene la vita? Un uomo ha il diritto di decidere come e quando morire? Si tratta dell’ultima libertà che ognuno di noi ha? Siamo la misura di tutte cose?”.
Sono queste le domande che Ferdinand von Schirach, autore del “Caso Collini” (Longanesi, 2012), pone sul retro di copertina del suo ultimo libro, l’opera teatrale edita da Luchterhand e pubblicata quest’anno. In poco più di 150 pagine l’autore tedesco mette in scena una commissione etica che avrà il compito di chiarire se Richard Gärtner, un uomo di 78 anni, abbia (o meno) il diritto di richiedere una dose mortale di acido barbiturico per – appunto – potersi liberamente togliere la vita.
Il motivo di questa sua richiesta?
Tre anni fa l’amata moglie Elizabeth è venuta a mancare. Richard è “semplicemente” stanco di vivere. Non è malato, non è depresso, ma vuole mettere fine ad una vita ricca di alti e bassi, emozioni ma anche delusioni. E, soprattutto, vuole mettere fine alla sua solitudine. Al suo fianco si batte l’avvocato Biegler, che deve contrastare e confutare soprattutto le obiezioni della dottoressa Brandt e del vescovo Thiel, entrambi contrari alla decisione di Richard Gärtner.
Il retroscena giuridico dell’opera teatrale è la sentenza della Corte Costituzionale tedesca (in ted. Bundesverfassungsgericht) enunciata a febbraio di quest’anno: i giudici di Karlsruhe riconoscono a ognuno la libertà piena di decidere come e quando morire, depenalizzando il suicidio assistito, che dal 2015 era reato a norma dell’art. 217 del codice penale.
Ma la sentenza della Corte Costituzionale va oltre: chi vuole morire, potrà farlo in ogni fase della vita, e non soltanto in presenza di una malattia incurabile. Ci si può, dunque, rammaricare che qualcuno prenda una decisione del genere, si può tentare qualsiasi cosa per fargli cambiare idea, ma alla fine bisogna “accettare la sua decisione”, aveva affermato il presidente della Corte Andreas Voßkuhle dopo aver pronunciato la sentenza.
Alcuni medici e pazienti si erano rivolti alla Corte per far esaminare il divieto al suicidio assistito e le toghe di Karlsruhe hanno dichiarato incostituzionale la norma del codice penale in quanto “limita il diritto di autodeterminazione dell’uomo” (in ted. Selbstbestimmungsrecht des Menschen). Un diritto che deve includere, questo il verdetto epocale dei giudici, anche la possibilità di togliersi la vita.
Ma da dove viene questo diritto di autodeterminazione?
La risposta appare semplice: l’art. 1 della Costituzione tedesca (in ted. Grundgesetz) sancisce l’inviolabilità della dignità umana. In nuce la dignità umana contiene l’autodeterminazione: in quanto individuo, in quanto uomo, ognuno di noi ha il diritto di disporre del proprio corpo, della propria libertà e, dunque, della propria vita. Un diritto “sacrosanto” se si considerano gli eccidi dei nazisti, il vero motivo per cui l’art. 1 del Grundgesetz è la colonna portante di tutti i diritti fondamentali dell’uomo. Ma proprio il “sacro” in questo contesto fa discutere: von Schirach fa parlare un vescovo, Helmuth Thiel, che sfodera un argomento dopo l’altro. “Dio ci ha donato la vita e noi non possiamo rinunciare a questo dono”, sostiene Thiel, difendendo la posizione clericale che dal 452 d. C. vede nel suicidio una delle più gravi forme di reato. Poi aggiunge: “Il suicidio è innaturale, ogni essere vivente ama sé stesso, il suicidio è un peccato che viola l’istinto umano di sopravvivenza”.
Ma l’avvocato non molla la presa: “E la pena di morte, accettata anche dalla Chiesa?”. È giusto accettare la pena di morte ma rinnegare ad ognuno la possibilità di mettere fine alla propria vita? Poi ribatte: “A chi appartiene la vita se non a chi è costretto a viverla?”. Come a dire: un dono è un dono solo se si può rifiutare. E anche la dottoressa, che si appella all’obbligo morale di ogni medico di battersi per la vita di un uomo, costi quel che costi, non riesce a convincere l’avvocato: “La Corte Costituzionale ha precisato che il suicidio assistito è un diritto e non un obbligo”. Dunque, nessun medico mai potrà essere costretto ad aiutare qualcuno a morire.
Insomma, di fronte alla morte la vita è sempre assurda. E ogni dibattito sul diritto al suicidio (assistito) porta dritto alla questione sul “senso della vita”, direbbe Albert Camus, che – nota a margine – non a caso viene citato da von Schirach proprio nell’incipit del libro.
L’autore di “Gott” non offre una soluzione: alla fine – come anche nella sua opera teatrale “Terror” (2016) – è il pubblico a decidere. Ed è proprio questa scelta, quella di lasciare al pubblico l’ultima parola, che stona: cosa c’entra il pubblico con la decisione prettamente individuale di un uomo? Laddove inizia la dignità umana, la società non deve potere mettere piede. Laddove la libertà dev’essere incondizionata, non è permessa una “sorte” democratica. Tutto sommato, però, l’opera di von Schirach pone l’accento su una questione che non sembra aver visto l’ultimo atto. Il sipario si chiude ma la questione resta aperta.