Cristina di Giorgio, la nuova Direttrice dell’Istituto di Cultura, ha salutato il pubblico ed ha aperto la serata. Nuova è anche Monika Haas, responsabile per il nostro Festival presso il Museo del Cinema. La Haas sostituisce Ulrike Stiefelmayer, nostra vecchia amica, ormai icona del Museo che per 13 anni ha organizzato il Festival insieme a Casa di Cultura, Made in Italy, Consolato e Istituto di Cultura.
Andrea Segre non nasce come cineasta ma ha una formazione diversa. In realtà è esperto di analisi Etnografica della produzione video e di pratiche e teorie di comunicazione sociale, in particolare nell’ambito della solidarietà internazionale lavorando sempre a opere sulla marginalità di etnie, popoli e culture. In questi ultimi anni si è interessato all’immigrazione, uno dei temi che ha appassionato molti registi italiani, i quali si sono cimentati in tutte le maniere per portare sugli schermi questa realtà. Segre è stato, inoltre, fino a 4 anni fa, docente di Sociologia della Comunicazione presso l’università di Bologna. Parallelamente alla carriera universitaria iniziò a girare una serie di documentari tutti riguardanti storie di migrazione. “Il motivo per cui non ho più fatto il docente universitario è perché all’università mi dicevano: ‘Tu vuoi fare il ricercatore o il regista?’ Ed io: ‘Tutte e due’. ‘Non si può’ ”.
Sarebbe stato un conflitto d’interessi?
No. Sarebbe stata la possibilità di unire due percorsi di ricerca e di narrazione assolutamente complementari, però voleva dire non appartenere ad una sola realtà.
Hai fatto una lunga serie di documentari e due lungometraggi, tra cui “Io sono Li” che ci presenti stasera. Quanto è stata utile l’esperienza documentaristica per i tuoi lungometraggi?
Ma non è che mi ha aiutato. È stata la mia scuola di cinema. Facendo i documentari ho imparato a fare cinema per cui è inevitabile che la mia regia sia una regia documentaristica.
Veniamo al film…
Protagonista femminile del film è Shun Li, operaia in una fabbrica tessile di Roma in mano a imprenditori cinesi, dove vigono leggi estranee alla società italiana. Shun Li viene mandata a lavorare a Chioggia come barista. Il bar dove lavora è il ritrovo abituale di alcuni pescatori del posto. Vive in solitudine. La sera divide la stanza con un’altra lavoratrice cinese, l’unica alla quale si apre raccontando i suoi problemi. Poi comincia l’amicizia con Bepi, detto il Poeta. Anche Bepi, pescatore di origine slava che divide la giornata con gli altri pescatori chioggiotti, è, come Li, in un certo senso, estraneo a quella comunità. Nasce un certo legame fra i due: un affetto che li lega e forse li fa sentire più forti anche se questo rapporto di amicizia non è ben visto né dagli italiani di Chioggia né dalla comunità cinese. I cinesi proibiscono a Li di avere contatti con gli italiani, i quali sono e devono rimanere “clienti”. È l’incontro di due mondi, due società chiuse e il messaggio che ci arriva è un auspicio per un futuro di integrazione.
Questo film in cui la protagonista è cinese e in cui s’intravede tutto un mondo che vive in penombra, l’hai ambientato a Chioggia, vicinissima a Venezia. Forse perché Venezia è stata da sempre aperta verso l’Oriente?
È stato un incontro reale che mi ha ispirato quel racconto. Chioggia è il luogo dove è nata la mia mamma e dove ho passato molto tempo della mia infanzia e che ancora oggi frequento e quell’osteria dove abbiamo girato è l’osteria dove io ho incontrato la vera Shun Li ed è lì che è nata l’idea. Non è un’invenzione narrativa anche se poi dopo entra nella storia tanta costruzione, poesia, fantasia.
Il film ha partecipato a vari festival internazionali ottenendo dappertutto riconoscimenti: da Venezia, a Reykjavik, a Londra, a Siviglia fino al premio LUX nel 2012 del Parlamento europeo di Strasburgo. Come ti spieghi l’interminabile lista di riconoscimenti che ha premiato il tuo film?
Io credo che “Io sono Li” risponda a uno dei compiti del cinema, cioè riuscire a raccontare la particolarità di un paese e di far vivere al pubblico internazionale la possibilità di conoscere un pezzo particolare di quel paese raccontando però una storia universale. Ed è per questo che “Io sono Li” riesce ad essere apprezzato e ascoltato in tanti luoghi del mondo. Poi molto devo anche ai due grandi attori che hanno lavorato con me. Ai luoghi, alle particolarità delle atmosfere, insomma ci sono tante cose che aiutano il film però di base credo che la sua forza sia questa, di raccontare una piccola storia caratterizzata da un luogo preciso ma nello stesso tempo capace di parlare a tanti altri luoghi, a tante altre storie.
Parlami degli interpreti Zhao Tao (Shun Li) e Rade Sherbedgia (Bepi il Poeta).
Zhao Tao è una ex-ballerina cinese che uno dei più importanti registi della cinematografia cinese contemporanea, Jia Zhang-Ke, ha scoperto e trasformato in grande attrice nonché in sua moglie. Aveva lavorato molto poco fuori dalla Cina, però aveva avuto grandi risultati internazionali. Ha vinto il Leone d’oro, il premio Donatello; ha vinto inoltre vari premi a Cannes. Rade Sherbedgia è forse l’attore più famoso della ex-Jugoslavia. Ha fatto grandi film nella regione dei Balcani e poi ha lavorato con Stanley Kubrick e da lì ha lavorato quasi dieci anni a Hollywood. Quindi è tornato in Jugoslavia.
Il film è stato premiato è per “ … La poesia e la grazia impiegati nel trattamento del tema della integrazione (o mancata integrazione) degli immigrati, nella società occidentale”. A questo punto non possiamo fare a meno di pensare agli imprenditori cinesi. Questa è la storia di Li, del suo sfruttamento. Li che lavora tutto il giorno per poter pagare il viaggio a suo figlio, per poterlo riabbracciare e vivere insieme a lui in Italia. Anche Li è una vittima. Vittima dei suoi stessi connazionali. Conosciamo il non rispetto da parte di molti imprenditori Cinesi per le leggi.
È vero che anche in Italia come in Europa abbiamo bisogno di forze nuove, tuttavia, parlando in generale, da noi sembra funzionare in maniera diversa che in Germania, Nazione che ormai prendiamo sempre come modello. In Germania c’è il rispetto per le leggi, chi sbaglia viene punito, permettendo al resto della società di vivere in pace. Ma in Italia? L’Italia non è neanche in grado di far rispettare le leggi agli stessi Italiani. Quante organizzazioni malavitose continuano a vivere quasi indisturbate… cosa valgono le leggi? Che pacchia per queste aziende orientali…
Il nostro Paese è stato criticato dall’Europa per non svolgere il suo dovere nell’accogliere i clandestini…
L’Italia per 15 anni non ha adeguato il proprio sistema di accoglienza e la propria legislazione alle richieste europee. Non ha applicato le normative. Il sistema di accoglienza è molto basso, male organizzato e non è stato più finanziato. Mentre molto strutturato con grandi finanziamenti è il sistema del contrasto e dell’espulsione. E questo è una contraddizione molto forte perché se uno investe solo sul contrasto e l’espulsione non si ottiene nessuna gestione positiva del fenomeno dell’immigrazione ma continua solo ad alimentare paure ed emergenze.