Scriveva J.R.R. Tolkien: “Dietro è la casa, davanti a noi il mondo, e mille son le vie che attendon, sullo sfondo di ombre, vespri e notti, il brillar delle stelle. Davanti allor la casa, e dietro a noi il mondo, tornar potremo a casa con passo infin giocondo.” Le aspettative non sono certezze, ma ad esse in un certo qual modo “ci si affida”, “ci si rimette”, caricandole di una forte simbologia. Quante volte, infatti, le abbiamo “coltivate”, “tenute vive”, e quante altre volte ancora, invece, siamo stati noi stessi “oggetto” di aspettative?
Ma è giusto fare affidamento sulle aspettative? Nel bene e nel male, esse fanno parte della vita: non nutrirle, non aspettarsi nulla, metterebbe senza dubbio al riparo da qualsivoglia delusione, ma al contempo “impoverirebbe” lo spirito, “alimentato” proprio dall’ attesa per il buon esito di qualcosa. In realtà, come si dice, “In medio stat virtus”, “La virtù sta nel mezzo”, nel senso che non bisognerebbe né “volare basso” né “volare troppo in alto”, ma ricercare un giusto e sano equilibrio senza esagerare. Dunque, nutrire delle aspettative adeguate, aderenti alla realtà delle cose, per quella che essa effettivamente è. Ma anche, e soprattutto, godere del presente, godere dell’“hic et nunc”, del “qui ed ora”, cercando di migliorare gli aspetti della vita quotidiana che poco si apprezzano. Ed ancora, liberarsi del peso delle aspettative, sia proprie che degli altri, per vivere meglio, più liberi ed in pace con sé stessi. Perché, anche se può apparire banale, le cose più belle accadono quando meno le si attende. Ragionare sul futuro significa, pertanto, valutare molti fattori, e non si può trascurare quello che si sta presentando come lo scenario più probabile per il dopo corona-virus nel mondo intero. Era il 1920 quando, dopo la Prima Guerra mondiale, l’Europa ed il mondo dovettero affrontare la peggiore pandemia della storia. L’influenza “spagnola” (virus A sottotipo H1N1) infettò 500 milioni di persone – pari a un quarto della popolazione mondiale – producendo 50 milioni di morti. Una pandemia che fece più vittime della “peste nera” del XIV secolo. Sintomi e conseguenze dell’influenza spagnola – come mal di testa, difficoltà respiratoria, tosse, febbre alta, polmonite – sono molto simili al coronavirus che, a cento anni di distanza, ha colpito il mondo. Allora, come oggi, il mondo iniziò a discutere su come avviare la ricostruzione cercando di superare e risolvere le tante cause che avevano scatenato il conflitto mondiale, e che avevano indebolito la popolazione al punto tale da essere falcidiata dal virus. Era evidente che bisognava cambiare il paradigma politico, economico, culturale e scientifico.
Tuttavia, i gruppi più illuminati fallirono e il mondo vide l’emergere di ideologie dittatoriali e violente. I problemi non furono risolti e, anzi, il sistema mantenne in vita il modello economico utilitarista che legittimava lo sfruttamento sistematico delle risorse, il colonialismo, lo schiavismo e il razzismo, con il risultato che, nel giro di vent’anni, si scatenò il secondo conflitto mondiale, il più sanguinoso della storia. Oggi il mondo si trova ad affrontare i medesimi problemi: pandemia, crisi economica, ideologie politiche discriminatorie, violente e razziste. Una cultura diffusa dell’odio ed un continuo rischio di conflitti regionali che potrebbero innescare un nuovo conflitto mondiale. Si avverte il rischio che tutto possa implodere, ma molti sostengono che le crisi multiple che stanno opprimendo l’umanità potrebbero rivelarsi una opportunità per costruire un mondo nuovo, dove la giustizia, la verità e la bellezza possano governare. La grande differenza – rispetto al 1920 – è che, dal punto di vista culturale, economico, scientifico, tecnologico e sociale, esiste oggi una coscienza di popolo: un’aggregazione planetaria di tipo civile e comunitario che può essere in grado di superare la crisi sistemica ed operare per la costruzione di un mondo migliore. Le linee portanti su cui operare il cambiamento d’epoca si stanno sviluppando all’interno di governi e organismi internazionali, e sono molto simili a quelle indicate da Papa Francesco.
Fin dall’inizio del suo pontificato, infatti, il Pontefice ha invitato ad una “rivoluzione della tenerezza” per sconfiggere la cultura dell’odio, dello scontro, della violenza fisica e verbale. Ha scritto l’enciclica “Laudato sì” per superare la contrapposizione tra ecologisti neomalthusiani e sviluppisti predatori, proponendo un’armonica alleanza tra l’umanità e il Creato per uno sviluppo sostenibile ed una economia circolare. Un programma, quello della “Laudato sì”, che ha trovato il sostegno delle Nazioni Unite con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile e della Commissione Europea con il “Green New Deal”. In merito all’economia, il Papa ha proclamato in tutti continenti che il denaro deve servire e non governare. Si è contrapposto ai modelli che praticano le guerre commerciali e la cultura dello scarto. Ha sostenuto la necessità di un modello economico francescano, basato sulla cultura dell’incontro, della condivisione e della fratellanza. Per difendere la pace, si è opposto ad ogni muro, costruendo ponti, ricucendo strappi, superando divisioni e ostracismi, proponendo la collaborazione con tutte le religioni e indicando la pacificazione, il perdono e l’aiuto ai poveri come finalità primarie.
Indubbiamente, alla luce di alcune notizie riservate che ci sono state raccontate, ci sarebbero tante cose da poter capire e comprendere su ciò che viene detto e scritto, perché per altri versi non sembra essere così. Alla tenerezza si contrappone la durezza delle ritorsioni su altri fronti soprattutto interni, alla misericordia l’inesorabilità di gesti che molti non capirebbero. Ecco allora che veramente un nuovo mondo sta nascendo, ma ci si chiede se in meglio, se il “volemose bene” produrrà i buoni frutti o è solamente un populismo che altri non vuol essere che un eliminare determinate istituzioni tradizionali. Ma basti ricordare che tutto ciò che finisce con …ismo non ha mai portato frutti buoni, basti ricordare il nazismo, il comunismo ecc.…ecc.… Quindi non sempre ciò che si vede all’apparenza poi sia in fondo quello che si vede e forse anche desidera, non sempre – come ricordava una serie televisiva degli anni ’90 – “I gufi sembrano essere quelli che sono”.