Sensazionali novità nel sistema solare
Il pianeta Venere, accanto agli „astri maggiori“ cioè il Sole e la Luna, ha costituito una presenza rilevante nel firmamento già dalle epoche più lontane. Il nostro Dante, appena uscito a riveder le stelle dal buio infernale, per prima cosa viene colpito dal brillare della „stella del mattino“ sopra l’orizzonte:
Lo bel pianeta che d’amar conforta / faceva rider tutto l’oriente / velando i pesci, ch’erano in sua scorta (Purg.I, 19-21) e sarà sempre la luce di Venere a indirizzarlo verso il Paradiso Terrestre: Nell’ora, credo, che de l’oriente / prima raggiò nel monte Citerea / che di foco d’amor par sempre ardente / giovane e bella in sogno mi parea / donna veder andar per una landa / cogliendo fiori…(Purg. XXVII, 94-99).
Oggi ci sono note le cause fisiche di così intenso brillare: Venere è il pianeta più vicino alla Terra (appena 38 milioni di km) è grande quasi altrettanto, ma è più vicino al Sole, ed è interamente coperto di nubi densissime che ne riflettono la luce nascondendone alla vista la superficie rocciosa. Per lungo tempo gli astronomi lo hanno considerato un nostro pianeta gemello, e si è affabulato che la sua superficie fosse ricca di specchi d’acqua e di curiose forme di vita venusiana. La terribile delusione venne con la scoperta che le spesse nubi che lo avviluppano non sono fatte di acqua, ma di acido solforico concentrato, che è un nemico acerrimo delle proteine e degli acidi nucleici. E che la sua atmosfera non contiene ossigeno, ma anidride carbonica, ed è così densa da esercitare sulla sua superficie rocciosa una pressione schiacciante di 90 atmosfere terrestri, equivalente alla pressione che sulla Terra regna a mille metri sott’acqua. E che sulla sua superficie, completamente rocciosa, regna una temperatura intorno fra i +400° e i +500° gradi centigradi, temperatura alla quale i metalli come il piombo e lo zinco sono allo stato fuso. C’era dunque da spettarsi laghi di piombo fuso piuttosto che d’acqua. Nessuna forma di vita a noi conosciuta potrebbe resistervi, neppure per pochi secondi. Perfino le sonde spaziali inviate dai russi su Venere hanno smesso di funzionare in meno di due ore, alcune dopo pochi minuti. Per questo motivo l’interesse per quel pianeta si è andato affievolendo negli anni passati e esplorazioni spaziali si sono andate concentrando sul più lontano e gelido Marte.
Adesso, come un improvviso colpo di grancassa ha agito un articolo pubblicato nel numero di settembre dell’inglese Nature Astronomy un gruppo di ricerca guidato dall’astronoma Jane Greaves della Cardiff University in Inghilterra che ha raccolto i dati delle indagini spettroscopiche misurati sia dal grande osservatorio astronomico americano James Clerck Maxwell sul Manua Kea (Hawai) che dal superosservatorio astronomico europeo ALMA nel deserto di Atacama (Cile), in base ai quali si deduce la presenza diluitissima (20 parti per miliardo) del gas fosfina nell’atmosfera di Venere.
Tutto qui? Forse si tratta di un errore di misurazione, qualcuno ha ipotizzato. Ma quanto è probabile che due rinomati istituti di ricerca si siano sbagliati indipendentemante l’uno dall’altro della stessa quantità? Questi risultati sono stati controllati più volte, ed in realtà nessuno sospetta che la seriosa Royal Astronomical Society possa essere un’emula in taglio anglosassone di Mariastella Gelmini.
Ma vediamo cosa c’è di tanto strano nella notizia.
La fosfina (chimicamente triidruro di fosforo, PH3 detta anche idrogeno fosforato) è una sostanza inorganica, un gas incolore e velenosissimo che si sviluppa accompagnato da una puzza nauseabonda. In piccole concentrazioni si sviluppa anche sul nostro pianeta, ad esempio, dalla putredine delle paludi, dalla cacca dei pinguini o dalla lenta decomposizione dei cadaveri, e la sua ossidazione nell’atmosfera produce il fenomeno spettrale dei fuochi fatui nei cimiteri. Infatti non è stabile all’aria e si ossida lentamente a fosfato. Ma nemmeno nelle condizioni fisico-chimiche che regnano su Venere la fosfina può essere stabile, quindi la sua presenza in una concentrazione molto piccola, ma costante, può solo significare che tanta se ne consuma quanta se ne produce in continuazione. Altrimenti scomparirebbe in breve giro di tempo.
Già, ma che cosa diavolo può produrre in continuazione la fosfina su Venere?
Questo è l’enigma. Qualunque sia la sorgente di questo poco simpatico gas, essa dovrebbe essere localizzata fra i 50 e i 60 km di altitudine sopra la superficie di Venere, dato che al livello del suolo risulta completamente assente. Quindi non può essere il prodotto di esalazioni di natura geologica. Mentre la nostra atmosfera terrestre già è molto rarefatta all’altitudine di 10 km e la sua temperatura è di circa -50° (la nostra stratosfera incomincia a 15 km di altitudine), l’atmosfera venusiana è incredibilmente più spessa, e che solo fra i 50 ed i 60 km di altitudine essa si rarefa assumendo condizioni di temperatura e pressione simili a quelle che esistono sulla superficie terreste. E, guarda che coincidenza, è proprio in quella zona che si produce la fosfina. Ora, un intero team di scienziati inglesi si è spremuto le meningi prendendo in considerazione tutte le possibilità pensabili di processi chimico-fisici che potrebbero produrla in continuazione, dalle reazioni di riduzione in fase gassosa, alle scariche elettriche ed alla caduta di micrometeoriti: e non ne hanno trovati.
Alla fine hanno pubblicato i risultati lasciandone l’interpretazione come un problema aperto per qualcuno che ne capisca più di loro. Si dà il caso che, usando il rasoio di Occam, quei dati li si potrebbe interpretare come una prova dell’esistenza di vita su Venere. Di fatto, sulla Terra, tutta la fosfina è di origine biologica, e viene prodotta da alcune particolari specie di batteri della putrefazione che vivono idrogenando il fosforo che ricavano da un substrato organico. Se ne potrebbe ipotizzare che anche la fosfina nell’atmosfera di Venere sia di origine organica, prodotta da batteri venusiani che vivono sospesi nella sua atmosfera incredibilmente densa. Essa è costituita al 96,4% di anidride carbonica CO2 e al 3,5% di azoto N2 e il restante 0,1% è composto da tracce di ossigeno, anidride solforosa, ed ora sappiamo di fosfina. E poi ci sono le nubi di acido solforico che „impellicciano“ Venere. Nel 2014 la sonda spaziale europea ESA Venus Express è riuscita a fotografare perfino un arcobaleno venusiano prodotto da goccioline in sospensione di acido solforico anziché d’acqua. Anche in quella terrestre sono noti dei batteri che vivono sospesi in microgoccioline d’acqua.
Ma quale tipo di batteri extraterrestri potrebbero vivere in un mezzo così anidro come l’atmosfera di Venere? Trascinati da venti turbinosi che soffiano a 360 km/h? E come potrebbero resistere all’acido solforico?
Certo non potrebbero mai essere come quelli terrestri. Ed a questo punto le speculazioni, più o meno campate per aria, spiccano il volo verso i nebbiosi domini della fantascienza. Gli scienziati inglesi ci tengono a sottolineare che la presenza della fosfina non si può in alcun modo considerare una prova incontrovertibile della presenza di attività biologica, come una specie d’impronta digitale della vita; al massimo come un indizio. Ma uno molto eccitante. Ciò malgrado si deve tener presente che, malgrado tuttoil suo fascino, l’ipotesi biologica è di terza scelta: dovendo scegliere fra un enigma chimico, uno geologico ed uno biologico, la priorità spetta ai primi due.
Comunque è probabile che adesso si risvegli l’interesse per questo nostro pianeta vicino dello spazio e più facile da raggiungere di tanti altri. Si spera che presto sonde apposite siano inviate a squarciare gli emozionanti misteri dell’atmosfera venusiana. Già pochi giorni dopo l’annuncio la NASA si è fatta avanti con il progetto di due sonde spaziali denominate rispettivamente „Davinci“ e „Veritas“ da inviare su Venere in missione della durata di tre anni, e sulla cui realizzazione si dovrà decidere l’aprile prossimo. Davinci studierà accuratamente la composizione dei diversi strati dell’atmosfera venusiana per mezzo di un sensibilissimo spettrografo infrarosso mentre Veritas si occuperà della superficie rocciosa del pianeta che, per quel che sembra, non è più antica di mezzo miliardo di anni, si è interamente solidificata cioè, quando sulla superficie terrestre già si aggiravano i trilobiti.
Questo è un altro enigma. Ma anche i russi, seguiti dai giapponesi e dagli indiani, hanno annunciato il lancio di nuove sonde, dichiarando Venere un „pianeta russo“. L’astrobiologo David Grinspoon, collaboratore della NASA, ha dichiarato che se si vogliono controllare i risultati dello studio di Jane Greaves, allora la scelta logica è il programma Davinci. Bisogna viaggiare fin laggiù e vedere che succede nell’atmosfera. Ma i poeti contemporanei sapranno trarne ispirazione? E questo, forse, è un altro enigma.