Lo stretto collegamento della bioetica con la Dottrina sociale della Chiesa è stabilito in modo incontestabile dalla “Evangelium vitae” la quale collega direttamente sé stessa con la “Rerum novarum”. Il testo è noto: “Come un secolo fa ad essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era la classe operaia, e la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese, proclamando i sacrosanti diritti del lavoratore, così ora, quando un’altra categoria di persone è oppressa nel diritto fondamentale alla vita, la Chiesa sente di dover dare voce con immutato coraggio a chi non ha voce” … “Ad essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita è oggi una grande moltitudine di esseri umani deboli e indifesi, come sono, in particolare, i bambini non ancora nati”. La questione bioetica veniva così inserita dentro la questione sociale o, se vogliamo, la questione sociale veniva ampliata a comprendere la bioetica.
In questo senso la “Evangelium vitae” è da collegarsi con la “Humanae vitae” di Paolo VI, dato che la bioetica non può non interessarsi della procreazione e quindi della sessualità umana nella sua valenza pubblica; ed è da collegarsi con l’Esortazione “Familiaris consortio” di San Giovanni Paolo II, in quanto non si può parlare di apertura alla vita senza parlare dell’unico contesto umanamente adeguato per la sua accoglienza, ossia il contesto matrimoniale che la politica deve proteggere. Questi tre documenti sono da tenere sempre insieme, sicché quando si nega o si pensa di riconsiderare l’uno si hanno ripercussioni negative anche sugli altri. La sessualità, la procreazione, il matrimonio, la famiglia non sono fatti privati, sono certamente personali ma non individuali, hanno invece una originaria dimensione pubblica, quindi sociale e politica. In questo senso bisogna dire che la questione bioetica rientra nella questione sociale. Se invece sessualità, procreazione, matrimonio, famiglia sono intesi come fatti individuali, privati, ludici, tecnici, oppure come delle semplici scelte o preferenze, allora la questione bioetica non solo non rientra nella questione sociale ma non esiste nemmeno come questione. In questo caso basterà il bio-diritto positivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di tutti i legislatori statali che vorranno applicarlo. Davanti alle progressive innovazioni tecniche nel campo bioetico, con le conseguenti sfide morali, la Chiesa ha elaborato aggiornati insegnamenti, come esempio l’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede “Donum vitae” o l’Istruzione del medesimo dicastero “Dignitas personae”. Dato che, come già osservato, la bioetica riguarda la procreazione e le sue condizioni morali, essa tocca anche gli aspetti pubblici della sessualità umana e, di conseguenza, della convivenza eterosessuale di fatto, delle unioni omosessuali, della fecondazione artificiale e, oggi, della filiazione senza padre o dell’utero in affitto.
Sulla questione del gender si è pronunciata la Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo. La bioetica non concerne solo le problematiche etiche sull’inizio della vita, ma anche quelle relative alla sua fine come l’eutanasia e il suicidio assistito. Venendo alla storia recente, bisogna riconoscere che si sono svolti due processi: il primo riguarda la crescente radicalità delle leggi e delle politiche contrarie ai principi della bioetica, l’altro concerne l’indebolimento delle convinzioni su questi punti all’interno della Chiesa. Se la Dottrina sociale della Chiesa non assume in sé la bioetica e tutti gli aspetti che questo comporta, termina di svolgere la propria funzione anche come Dottrina sociale della Chiesa. Purtroppo è proprio questo che sembra stia accadendo. Se esaminiamo le strategie messe in campo nella Chiesa di fronte all’attacco senza precedenti costituito dalle sfide alla bioetica, notiamo la loro debolezza e la loro funzionalità, nel lungo termine, al fronte opposto. Ecco allora che una prima strategia consiste nel lottare per la completa applicazione delle leggi in vigore su tematiche bioetiche. Si tratta delle tattica che consiste nel valorizzare eventuali aspetti positivi contenuti in leggi negative. Il caso più tipico riguarda la 194 che disciplina l’aborto. I cattolici pensano di mantenerla e di applicarla nei punti che, secondo loro, sono positivi. Quasi nessuno infatti parla più di abrogazione della legge.
Una seconda strategia consiste nel darsi da fare affinché in queste leggi sia riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza. In questo modo non si tiene conto che il fatto di prevedere l’obiezione di coscienza non rende giusta una legge ingiusta. Se la legge prevede l’obiezione ciò non dispensa dal combatterla fino all’abrogazione. L’obiezione di coscienza non è un fatto individuale, ma politico, ossia un modo per resistere di fronte all’ingiustizia e per lottare per la giustizia, altrimenti esprime un relativismo morale: “io voglio che mi si riconosca il diritto di fare come voglio e io riconosco il diritto agli altri di fare come vogliono”. Una terza strategia è di lavorare per il male minore. I vescovi francesi hanno invitato i parlamentari a “migliorare” la legge sulla bioetica, come se il male fosse migliorabile. I vescovi italiani hanno sostenuto la proposta di legge sul suicidio assistito che, in cambio del mantenimento del fatto come reato, depenalizzava quasi completamente il fatto stesso.
Nel dibattito parlamentare sulla legge Cirinnà, molti deputati cattolici hanno votato a favore della legge dopo aver ottenuto che essa non prevedesse la stepchild adoption, vantandosi per ciò di averla migliorata. Anche i “certi casi” in cui si prevede il diritto al suicidio sono destinati ad ampliarsi. Ciò che oggi sembra il male maggiore da evitare mediante l’accettazione del male minore, diventerà domani il male minore che verrà accettato per evitare un male ancora maggiore. Chi accetta il male minore ha già perso in partenza e ha già prenotato l’accettazione futura del male maggiore.