Poche città si sono identificate con un loro illustre concittadino come Castelfranco si è identificata con Giorgione, suo figlio prediletto. Lo si avverte subito entrando nella piazza centrale della città, raffinata ed elegante, vero salotto cittadino. Lo sguardo è subito catturato dall’imponente statua di Giorgione, che si erge su un alto piedestallo, all’angolo nord-est del duecentesco castello, a dominare tutta la scena, i giardini, il fossato, le mura, che, assieme alle case affrescate ed ai vicoli del Castello costituiscono il contesto in cui l’artista “respirò le prime aure di vita… qui operò e si fece grande”.
Forse non fu proprio così, perché di lui non si sa molto: l’anno di nascita (1477 o, più probabile, 1478); il luogo, Castelfranco, anche se sussiste l’ipotesi di Vedelago, dove la madre naturale sarebbe stata mandata a partorire il figlio illegittimo di un Jacopo Barbarella (curiosa l’analogia con la nascita di Leonardo da Vinci); il riconoscimento da parte della famiglia Barbarella, con casa dentro le mura ed altre case e terreni a Vedelago; l’infanzia trascorsa a Castelfranco, ma l’istruzione a Venezia; la formazione artistica nella bottega dei Bellini, Gentile e Giovanni; la data della morte prematura, il 1510, di peste.
Accanto alla casa dei Barbarella, bene identificata dentro le mura, si era stabilito Tuzio Costanzo, famiglia di origine germanica, inserita nella nobiltà del Regno di Napoli, passato al servizio della regina di Cipro, Caterina Cornaro; fu lui ad accompagnarla nel ritiro dorato di Asolo, dove l’aveva costretta la Serenissima per ragion di Stato. Tuzio prese dimora a Castelfranco, ancora integra come città fortificata, divenuta “uno bello borgo”, anche per l’insediamento di alcune case signorili, come quelle dei Venzato, degli Zabottin, dei de Castellis, dei Piacentini, ed appunto dei Barbarella e dei Costanzo, in origine attratti dall’esenzione delle imposte per chi si fosse assunto l’onere della difesa del castello (da cui il nome Castelfranco). Nel territorio circostante si insediarono i Soranzo, i Morosini, i Priuli, i Barbarigo, i Corner, i Mocenigo, che andavano costituendo grandi proprietà terriere in una campagna fertile e bene irrigata.
Dopo i primi anni trascorsi a Castelfranco e quelli dell’istruzione a Venezia, si può pensare che Tuzio Costanzo abbia introdotto Giorgione nella corte principesca di Caterina Cornaro, dov’erano ospitati artisti, letterati e le nobildonne del tempo. Si parla addirittura di un ritratto della Regina, opera del giovane Zorzi da Castelfranco, descritto come un bel giovane dall’animo gentile ed amoroso, appassionato di poesia e di musica, denominato Zorzόn o Giorgione “per le fattezze della persona e la grandezza dell’animo”.
Tra Venezia e Castelfranco
Venezia agli inizi del ‘500, ricca, cosmopolita, popolosa (150.000 abitanti), una delle più importanti città d’arte, con le sue prestigiose botteghe di pittura, era la meta ambita da ogni giovane artista dotato di talento. Tra le più rinomate le botteghe di Vittore Carpaccio, di Alvise Vivarini e quella dei Bellini, dove si formò Giorgione.
I primi quadri sono ritratti od opere di devozione, in cui il giovane artista manifesta già i tratti del suo modo nuovo di intendere la pittura, i colori accesi, l’attenzione al paesaggio, più morbido e trasfigurato, i personaggi, dolcemente assorti, quasi indifferenti e per questo ancor più misteriosi.
Restano forti i suoi legami con la terraferma ed in particolare con Castelfranco. Così, quando Tuzio Costanzo vuole dare una degna sepoltura nella chiesa di San Liberale, nella cappella di famiglia, al figlio Matteo, condottiero deceduto nel 1503 nella guerra del Casentino, affida la commessa di un quadro commemorativo proprio a Giorgione. E Giorgione lo ripaga con un capolavoro, che va sotto il nome di Pala di Castelfranco, innovativo al punto da far scrivere ad uno dei più accreditati critici d’arte attuali che senza questo suo dipinto “la storia dell’arte sarebbe stata diversa”.
Il tema del dipinto è necessariamente religioso, “la Madonna con il Bambino tra San Francesco e San Nicasio” (un santo armato, siciliano come i Costanzo e come loro militante sotto la bandiera dell’ordine di San Giovanni da Rodi), ma non c’è più l’impianto tradizionale delle “sacre conversazioni” rinascimentali: la Vergine è assisa su un trono altissimo, che poggia su un piedestallo e sul sarcofago in porfido di Matteo Costanzo (identificato con lo stemma di famiglia), e soprattutto, fatto nuovissimo, è immersa nella luce effusa di un paesaggio aperto su campagne e colline, in cui si profila un castello medievale.
È la campagna trevisana che entra nel dipinto, quella dei borghi murati, delle torri, dei casoni, dei boschetti di carpini e di aceri, delle colline in lontananza, quasi un omaggio che Giorgione rende alla sua città. Il tutto in un clima sospeso, meditativo ed in un trionfo di colori, che vanno dal rosso, al verde, al giallo dorato, ma sempre morbidi e mirabilmente compenetrati. Una “pittura tonale”, in cui il colore diventa più importante del disegno e della composizione.
Il mito di Giorgione nei secoli
La novità della sua arte viene subito riconosciuta dai contemporanei: le più importanti famiglie veneziane si contendono le sue opere, tanto che alla sua morte due proprietari di sue tele dichiarano di non essere disposti a cederle ad alcun prezzo; ma rapida fu la diffusione dei suoi quadri di piccolo formato, facilmente trasportabili, anche all’estero. I più importanti musei nazionali ed internazionali vantano ancor oggi la proprietà di almeno una delle sue opere, dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, agli Uffizi di Firenze, alla National Gallery di Londra, al Louvre di Parigi, all’Ermitage di Pietroburgo, al Kunsthistorisches di Vienna al Castel Howard nello Yorkshire… a Castelfranco.
La cittadina veneta nel corso dei secoli ha assunto le caratteristiche di una vera e propria “città giorgionesca”, non solo per la Pala o per il Museo dedicato all’artista, ma perché è riuscita ad includere il mito di Giorgione dentro le pietre, la città murata ed i suoi paesaggi, con una serie di studi e ricerche, di vie e di luoghi dedicati e delle due case legate alla sua memoria.