Raffaella Milandri si occupa, da diversi anni, di diritti umani e tematiche ambientali con focus sui popoli indigeni
Da poco ha pubblicato il suo ultimo libro «Gli Ultimi Guerrieri. Viaggio nelle Riserve Indiane» in cui si occupa dei Lakota. Con uno stile fresco e scorrevole, la Milandri, ci presenta la popolazione, gli usi e i costumi, ponendo l’accento sull’umanità dei suoi personaggi (reali) e non mancando di raccontare anche situazioni meno piacevoli. Grazie alla scrittura, dettagliata e descrittiva, il lettore ha l’impressione di vivere tutto in prima persona e di avere avuto il privilegio di poter far parte di un mondo speciale, da un punto di vista privilegiato. Pur essendoci qualche accenno di critica a chi, di tutto, vuole semplicemente fare uno spettacolo, il libro non mira alla critica sociale, bensì alla constatazione dell’attuale situazione, evidenziandone tutte le peculiarità e le necessità.
Ecco cosa ci ha raccontato.
Cosa ha fatto nascere, in te, il desiderio di avvicinarti alla cultura dei nativi americani?
Non è un segreto: da piccola, nella mia solitudine di figlia unica, leggevo i fumetti di mio padre: Tex , Zagor e altri della Bonelli, nelle storie dei quali si spezzava sempre una lancia a favore dei Nativi Americani. E sognavo di questi popoli. Quindi, appena ho iniziato a viaggiare sono andata a visitare in primis in Navajos, gli Apache, gli Hopi. È stato un colpo di fulmine con una Umanità con la U maiuscola, scevra da tanti orpelli mentali e consumistici di noi occidentali.
E come sono nati i primi contatti con la tribù Lakota? Quale è il fascino di questo popolo?
I primi contatti sono stati attraverso amici Crow, della tribù che mi ha adottato. Mi hanno messo in contatto via email con leader Lakota. Poi ho fatto altre conoscenze, anche su facebook, e sono andata in Sud Dakota a trovare in particolare Isaiah, un profondo conoscitore delle tradizioni del suo popolo, che mi ha fatto da guida e mi ha svelato il suo mondo. Il fascino dei Lakota è che sono ancora oggi guerrieri. Senza arco e frecce, ma combattono tutti i giorni per proteggere l’ambiente, la Natura, l’acqua, in sostanza Unci Maka, Madre Terra. Loro sanno perfettamente che l’uomo bianco era ed è dalla parte del torto, e cercano di osteggiare l’avanzare di miniere, inquinamento, oleodotti, che invadono le loro terre sacre. Loro sanno che tutto è connesso, e che danneggiare gli ecosistemi vuol dire nuocere a piante, animali, fiumi, e all’essere umano stesso. Ogni ferita alla Madre Terra, è una ferita di cui loro soffrono, ogni giorno.
Quale è l’errore che l’uomo bianco fa nei confronti dei nativi americani?
Ah, di errori ne sono stati fatti tanti, e clamorosi. Ma mai a caso, perché sono ci sono sempre state azioni perpetrate in nome del denaro e del potere. L’errore più grande oggi è quello di non ascoltarli e di non imparare da loro, di non fare tesoro della loro saggezza universale.
Come è possibile sensibilizzare il resto del mondo alla situazione dei popoli nativi, senza scadere nella strumentalizzazione?
Non ho una bacchetta magica, altrimenti la userei. L’unica via è quella della divulgazione, della informazione, di cercare di spiegare a un grande pubblico cosa è successo e cosa sta ancora accadendo. Qualche piccolo passo avanti è stato fatto negli ultimi anni, come la candidatura al Nobel per la Pace 2019 del capo del gruppo indigeno brasiliano Kayapo, Raoni Metuktire. Impensabile fino a pochi anni fa. Purtroppo non ha vinto.
Una lingua, complessa e molto ricca di significati. Quale è il tuo termine preferito e perché?
Ce ne sono molti, e verranno citati nel prossimo libro in uscita “Lessico Lakota”, un dizionario Italiano-Lakota scritto a quattro mani con Myriam Blasini. Direi Mitakuye oyasin, una delle frasi più conosciute in Lakota, che vuol dire “siamo tutti connessi”. Nulla di più vero. La cosa curiosa è che la lingua Lakota è molto più facile da pronunciare per noi italiani, piuttosto che per gli inglesi.
Ti senti più ospite o famiglia quando visiti i tuoi fratelli/amici?
Mi sento più famiglia, certo. Sento il bisogno di fare qualcosa di buono per loro, e al tempo stesso di essere all’altezza della fiducia che mi dimostrano. L’essere bianco, in molte parti del mondo, non è una buona referenza. Checchè ne dicano certi personaggi tronfi e sbruffoni.
Hai ottenuto il tuo nuovo nome?
Il nome Cherokee? No, ahimè ancora no. La Four Winds Cherokee Tribe avrebbe celebrato il proprio pow wow a fine ottobre, e in quella occasione avrei ricevuto il mio nome durante una cerimonia. Purtroppo, il mio amico Len, il capotribù, mi ha dato una pessima notizia: i soldi della tribù sono stati rubati, il pow wow è stato cancellato. Dovrò aspettare ancora. Nel frattempo, ho una lettera che mi autorizza a rappresentare la tribù in Italia. Ma devo pensare bene come usarla, bisogna pensarci su per avere dei risultati positivi per la tribù.