Emanuele Severino (Brescia, 26 febbraio 1929) è un filosofo, accademico,
Il padre era un militare di carriera siciliano originario di Mineo trasferitosi a Brescia, mentre la madre era una bresciana di Bovegno in alta Val Trompia.[2] Si laurea all’Università di Pavia nel 1950, come alunno dell’Almo Collegio Borromeo, discutendo una tesi su Heidegger e la metafisica sotto la supervisione di Gustavo Bontadini. L’anno successivo ottiene la libera docenza in filosofia teoretica. Dal 1954 al 1969 insegna filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. I libri pubblicati in quegli anni entrano in forte conflitto con la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica, suscitando vivaci discussioni all’interno dell’Università Cattolica e nella Congregazione per la dottrina della fede (l’ex Sant’Uffizio). Dopo un lungo e accurato esame (condotto da Cornelio Fabro) la Chiesa proclama ufficialmente nel 1969 l’insanabile opposizione tra il pensiero di Severino e il Cristianesimo.
Il filosofo, lasciata l’Università Cattolica, viene chiamato all’Università Ca’ Foscari di Venezia dove è tra i fondatori della Facoltà di Lettere e Filosofia, nella quale hanno insegnato o insegnano alcuni dei suoi allievi (Umberto Galimberti, Carmelo Vigna, Luigi Ruggiu, Salvatore Natoli, Italo Valent). Dal 1970 è stato professore ordinario di filosofia teoretica, ha diretto l’Istituto di filosofia (diventato poi Dipartimento di Filosofia e Teoria delle scienze e, oggi, Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali) fino al 1989 e ha insegnato anche Logica, Storia della filosofia moderna e contemporanea e Sociologia. Il filosofo è stato insignito del premio internazionale Friedrich Nietzsche 1985. Una curiosità che avvolge la figura di questo intellettuale e lume della filosofia è il suo aspetto da compositore musicale, ricordiamo che in Italia il 17 Aprile 2018 è stata eseguita in prima nazionale alla Sala Puccini del Conservatorio di Milano una suite per strumenti a fiato composta in gioventù da Emanuele Severino, Zirkus Suite. Definita dal grande filosofo italiano un suo “peccato di gioventù”, la suite in sette movimenti per ensemble di fiati, marimba e timpani, ha atteso settanta anni la sua prima esecuzione pubblica, avvenuta per iniziativa del filosofo Massimo Donà. La revisione critica è stata curata dal Maestro Alessandro Bombonati, docente del Conservatorio di Milano. I riferimenti musicali del Severino musicista sono Stravinskij, Bartók, Schönberg, l’avanguardia, negli anni Quaranta del Novecento. L’arte astratta, per Severino, è l’arte astratta dalla regola, in campo musicale la musica dodecafonica di Schönberg e non è un caso se in quegli anni in Unione Sovietica, la musica atonale dodecafonica venne condannata proprio in quanto considerata “la distruzione di ogni regola”. Anche la musica — come arte, religione, filosofia, scienza, tecnica, mito — è riconducibile, secondo Emanuele Severino, al fenomeno arcaico della festa, definita “l’opera che genera il mondo sociale”. La festa comincia con un grido dissonante intorno al quale l’uomo si raccoglie intorno e la storia della musica è la rievocazione di questo grido arcaico. Severino ritiene che la filosofia abbia sempre cercato riparo contro il terrore che scaturisce dall’imprevedibilità dell’esistenza perché innanzitutto si è sempre creduto nell’evidenza del divenire degli enti, del loro uscire dal nulla e rientrarvi. Anche le grandi forme di epistème come quelle di Aristotele ed Hegel, che tendono a dare un ordine ed una configurazione prestabiliti all’esistenza, si muovono sullo stesso terreno.
L’intera storia dell’Occidente è quindi per Severino storia del nichilismo. La radicale distruzione dell’epistème operata da parte della filosofia contemporanea e la rapida ascesa della scienza moderna ai vertici del sapere sono conseguenze inevitabili di questa forma di pensiero (la civiltà della tecnica è, infatti, la forma estrema di volontà di potenza). Secondo la logica severiniana, tutto ciò che appare appare in maniera necessaria ed il progressivo manifestarsi degli eterni non segue, quindi, una sequenza casuale. Ciò significa che la libertà dell’uomo non esiste, ma appare all’interno di quell’essente (anch’esso eterno) che è il nichilismo dell’Occidente. Ed è proprio all’interno dell’Occidente che appare il “mortale” come noi lo conosciamo.
Ma, per Severino, l’Occidente è destinato al tramonto, per fare spazio al Destino della verità, la verità che testimonia la follia della fede nel divenire. Solo all’interno del Destino della verità la morte acquista un significato inaudito: in realtà la morte è la persuasione dell’assentarsi dell’eterno. Cosi nella musica avviene l’invitabile cioè : Nel corso della storia della filosofia, e nel pensiero della Chiesa cattolica in particolare, l’affermazione dell’esistenza di qualcosa di immutabile (tra cui Dio in tutti i diversi modi nei quali filosofia e religione lo hanno concepito) è sempre stata fatta partendo dal presupposto che il divenire non significhi necessariamente la nascita dal nulla e il tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano. Quest’affermazione è, inoltre, sempre avvenuta con l’intento di risolvere le varie contraddizioni che quel presupposto implica e di inventare un “rimedio” per l’”angoscia” che il pensiero dell’annientamento provoca. Questo genere di immutabilità è, quindi, di segno diverso da quella che compete agli enti sulla base dell’impossibilità assoluta che qualcosa si annulli. Per questo motivo è impossibile che esista un Dio come è stato pensato dalla religione e dalla filosofia. A maggior ragione è impossibile per Severino che esista il Dio del cristianesimo, che è tradizionalmente concepito come dotato della capacità di creare gli enti dal nulla e di mantenerli in esistenza grazie alla sua libera volontà (altrettanto libero potrebbe essere, per Dio, l’”annichilimento” – diverso dal concetto fisico di annichilazione -, e cioè la volontà di far cessare la durata della loro esistenza per farli ritornare nel nulla).
Essendo ogni ente eterno, non può esserci né creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio comunemente inteso. Alla luce del “Destino della verità”, ogni ente, anche il più insignificante, acquista un significato inaudito. L’uomo si porta quindi radicalmente al di là del superuomo e della volontà di potenza: l’uomo è un “superdio”, ben più grande del Dio della tradizione religiosa.
L’inconciliabilità fra la dottrina dell’Essere di Severino e il Tomismo è stata sostenuta da Cornelio Fabro. In conclusione io credo che Emanuele Severino faccia parte di quella terra dei giganti della cultura, non sia sono un filosofo , ma sia una razionalità che vive a seconda delle regole, distruggendo ogni regola data come dogma. La distruzione di ogni regola in Severino impone una nuova regola morale liberata da ogni dogma.