Alcuni spunti di riflessione sugli accordi tra Italia e Cina
Con gli accordi bilaterali sottoscritti con la Cina, il nostro governo ha cominciato una lunga marcia su un terreno minato. Un terreno dove si sta giocando una partita geopolitica, non solo economica, fra Stati Uniti, Cina ed Europa.
Il governo Italiano ha pensato a fare affari, ed in effetti l’occasione di diventare oggetto degli investimenti di Pechino, e di incrementare le esportazioni in Cina era davvero troppo ghiotta. Per questo il governo si è impegnato nella firma di un memorandum d’intesa (Mou) sulla nuova Via della Seta, sull’apertura del “sistema italiano di trasporti e infrastrutture” per favorire la “connettività tra Europa e Cina”. Poco importa se la firma di questo memorandum ha causato una rottura con la UE e con gli USA. Il vicepresidente del Consiglio Di Maio ha spiegato che nel campo del commercio vale la regola “Italy First”.
Il problema è che in un rapporto bilaterale tra Italia e Cina, “Italy First” rischia di essere sottomesso a “China First”.
L’Iniziativa del governo Cinese di creare una nuova Via della Seta, una strada sia terrestre che marittima che colleghi la Cina a tutto il mondo, ha fatto sì che la Cina stringesse accordi di vario tipo con numerosi paesi sparsi in tutto il globo. La Via della Seta ha portato alla firma di un totale di 171 documenti con 150 paesi e organizzazioni internazionali.
In alcuni di questi paesi, molti dei quali in via di sviluppo, la Cina si è riuscita ad imporre come partner principale, prestando denaro per costruire infrastrutture, porti, eccetera. Il problema per questi paesi è l’impossibilità di pagare la alte percentuali di interesse richieste dal governo cinese. Questo ha fatto sì che, in Sri Lanka come in Pakistan, la Cina ha ripreso controllo di quello che aveva aiutato a costruire. Il risultato è che questi due paesi hanno dovuto rinunciare a parti del loro territorio nazionale (due porti, uno in Sri Lanka e uno in Pakistan), che sono adesso amministrate direttamente dal governo cinese. E i due paesi asiatici sembrano essere solo l’inizio di una lunga serie, che va da Papua New Guinea alle Maldive, dalla Malesia al Laos, dal Kazakistan al Kenia ed al Sud Africa.
C’è da sperare che il governo si muova con cautela e con la necessaria conoscenza di tutti questi fattori molto complessi. A questo si aggiunge il fatto che l’Italia è l’unico paese del G7 che ha firmato un accordo di questo genere con la Cina. La speranza è che la collaborazione economica non si trasformi in pressione politica da parte cinese.
A questo ultimo pensiero si lega un altro aspetto che la firma dell’Italia a questo memorandum ha fatto venire in risalto. All’interno dello scenario odierno che ci viene offerto dal sistema Europeo, dove ogni paese decide per sé stesso, dove non esiste una politica estera comune (ma neppure una politica sociale comune), i singoli paesi rischiano di essere marginalizzati dagli orientamenti politico-economici del mondo, e diventare periferia dello stesso. In altre parole, presentandosi come singoli staterelli i singoli paesi europei non possono fare nulla, ognuno cercherà di accaparrarsi investimenti cinesi o americani, ma saranno costretti a giocare il ruolo di semplici province nello scacchiere politico-economico internazionale.
E questo i padri fondatori dell’Europa, De Gasperi, Adenauer, Schuman, lo sapevano bene, nei loro scritti si legge la convinzione che un’Europa divisa non sarebbe potuta sopravvivere ai vincitori della Seconda Guerra Mondiale, a cui oggi si aggiungono di prepotenza Cina e India.
Questo succede perché nel mondo contemporaneo non esiste nessuna strategia economica che non sia politica. Alcuni studiosi hanno coniato il termine Capitalismo Politico per descrivere la situazione di quegli stati, come la Cina, dove non si può separare il potere economico da quello politico. Il risultato di questa situazione è che si sta sempre più chiaramente delineando una contrapposizione di “spazi imperiali”, in particolare tra USA e Cina. Questa contrapposizione, sia ben chiaro, non vuol necessariamente dire conflitto, perché ci sono anche strategie e convergenze comuni. Non possiamo sapere come questa situazione evolverà, ma sicuramente ognuna delle potenze coinvolte cercherà di allargare la propria influenza su più territori possibile.
In questo contesto, l’Europa rischia di diventare sempre di più l’anello debole di questo nuovo disordine politico ed economico mondiale. Questa fragilità del nostro continente, a livello politico e sociale, fa comodo agli Stati Uniti, alla Cina e persino alla Russia, che mettono in pratica la vecchia politica del divide et impera. Per questo gli Stati Uniti da una parte, con la politica di Trump, e la Russia dall’altra lavorano perché la politica Europea non proceda, non maturi e non dia frutto. Indagini portate avanti da giornalisti e organi inquirenti hanno più volte accertato l’influenza Russa sulle elezioni Americane, e anche sulle elezioni dei singoli paesi europei, come ad esempio il nostro o l’Austria.
La mancanza di una UE forte impedisce di trovare regole generali che proteggano e regolino gli accordi di questo tipo fra i paesi europei e la Cina. Quello che la UE dovrebbe fare, sarebbe di trattare con la Cina un sistema di regole condivise all’interno delle quali poi ogni paese fa la propria partita. Altrimenti ci troveremo – e non solo l’Italia – in condizioni di minoranza, perché i singoli stati sono troppo piccoli per trattare alla pari con la Cina.