Da Fanzolo di Vedelago (Treviso), sede di Villa Emo, la “perfect house” di Palladio presentata in un articolo precedente, prendendo la direttrice nord verso le dolci colline dell’Asolano, dopo poco più di dieci chilometri, si staglia improvvisa ai nostri occhi Villa Barbaro, poco fuori dell’abitato di Maser. E la visione è incantevole.
Se uno, poi, ha la ventura di salire dal cancelletto in basso, sulla strada, grazie alla gentilezza di un signore che si presenta come custode (ma si rivela poi come l’attuale proprietario, Vittorio Dalle Ore), allora ha modo di apprezzare ancor più lo splendido scenario naturale in cui la villa è inserita, incorniciata da un folto bosco, quasi intagliata a mezza costa su un pendio dei Colli Asolani.
Si tratta di Palladio, indubbiamente: la facciata ispirata alla fronte di un edificio classico, il corpo centrale con le quattro possenti colonne doriche a reggere l’architrave ed il timpano, le ali porticate che terminano nelle colombaie, per la prima volta allineate alla casa domenicale, anche per adattarsi all’orografia dell’ambiente. Quindi una villa in origine con funzione di fattoria, assicurata dai portici rurali, “luoghi da far vini e stalle”, e dalle colombaie, destinate non solo all’allevamento dei piccioni ma anche ad accogliere al piano terreno prodotti ed arnesi agricoli.
Ma si coglie subito qualcosa che non rientra negli schemi palladiani: il corpo centrale proiettato in avanti rispetto alle ali, come mai si era verificato nelle altre ville, ed, osservando più da vicino, il frontone insolitamente carico di addobbi trionfali ed addirittura la trabeazione del timpano interrotta da un’esuberante decorazione in stucco, che inquadra ed esalta lo stemma dei Barbaro. Modifiche, soprattutto queste ultime, estranee al suo progetto, come conferma Palladio stesso nei suoi Quattro libri dell’Architettura (1570), in cui riporta il disegno della facciata al progetto originario.
I prestigiosi committenti
A Maser Palladio si trova di fronte agli esponenti della potente famiglia veneziana dei Barbaro, a Daniele, fine umanista, appassionato di antichità, patriarca di Aquileia, ed al fratello Marcantonio, ambasciatore della Repubblica veneta, fine intenditore di architettura e scultore dilettante, con i quali aveva da tempo un rapporto di stretta collaborazione. Con Daniele era stato a Roma nel 1554 per preparare la traduzione e l’edizione critica di Vitruvio, pubblicata in seguito con illustrazioni del Palladio stesso. I due fratelli Barbaro, poi, avevano con forza promosso il suo inserimento nell’ambiente veneziano. Quindi per Palladio non erano semplicemente dei committenti, ma i suoi maggiori sponsor ed insieme studiosi ed esperti in grado di dare consigli, pareri, giudizi, con finalità ben dichiarate: celebrare i fasti della famiglia e destinare la villa soprattutto allo studio delle arti ed alla contemplazione intellettuale.
Il genio e la creatività di Paolo Veronese
I Barbaro, inoltre, in rapporti di amicizia con i più grandi artisti del tempo, affidano la decorazione interna della villa nientemeno che a Paolo Veronese, che proprio nel ciclo di affreschi della Villa di Maser raggiunge il punto più alto, poeticamente più intenso, della sua arte. Quelle di Villa Barbaro non sono tanto pareti da ornare, né lui si accontenta di essere il “frescante” di turno, ma, nelle sei stanze che ha a disposizione nel piano nobile, concepisce un progetto grandioso che da un lato va a soddisfare la cultura umanistica dei committenti ed il loro bisogno di essere rappresentati e dall’altro dà libero sfogo alla sua geniale fantasia creativa.
Quindi spazio, soprattutto nella decorazione dei soffitti, ad episodi mitologici ed alle più importanti divinità, con citazioni erudite e visioni celesti, ma anche inserimento di scene di vita contemporanea, di momenti di vita domestica, con ritratti dal vero ispirati ad un realismo diretto e vitale. E poi pareti aperte sulla natura circostante, fughe di arcate e finestre tra colonne che inquadrano paesaggi, porte e balaustre da cui si affacciano personaggi della stessa famiglia Barbaro, in un trionfo di colori splendenti e luminosi ed in un gioco illusionistico che trasfigura gli ambienti.
Il tema dominante è quello dell’Armonia umana ed universale, rappresentata nel braccio breve della Sala a Crociera dalle raffinate figure delle Giovani donne musicanti e soprattutto nella Sala dell’Olimpo dal consesso di divinità olimpiche dipinte al centro della volta a botte, disposte attorno ad una figura femminile (la Sapienza divina o Demetra), che schiaccia un drago con un piede. Ma attorno, su finti loggioni, sono rappresentati personaggi reali, la moglie di Marcantonio Barbaro, Giustiniana Giustiniani, con la vecchia nutrice ed il figlio Alvise, mentre gli altri due figli, Almorò e Daniele, compaiono sul lato opposto. Lo stesso Veronese si affaccia alla finta porta di una stanza nei panni di un gentiluomo che torna dalla caccia col suo cane.
Ancora figure mitologiche nelle due stanze anteriori, destinate a sala da pranzo e da ritrovo, che rappresentano Bacco che svela agli uomini il segreto del vino ed il Tribunale d’amore o Sala dell’amore coniugale, in cui una coppia di sposi viene giudicata favorevolmente da Giunone, Venere ed Imeneo. Altre due stanze più piccole, rivolte a nord, ed un tempo utilizzate come camere da letto dai due fratelli, presentano temi religiosi e morali; l’una è chiamata la Stanza del cane, per la presenza nel basamento di un simpatico cagnolino, e l’altra la Stanza della lucerna, con riferimento alla luminosa raffigurazione della fede.
È un ciclo di affreschi unico per il continuo gioco di illusioni ottiche e prospettiche, ma che non risulta in accordo con lo scenario architettonico realizzato da Palladio all’esterno: l’architettura disegnata negli interni dal Veronese, quelle colonne, quelle strutture, quelle aperture delle pareti sono altra cosa, per non parlare degli interventi indebiti del pittore sulla facciata. E Palladio, infastidito dall’ardire del pittore, presenta Villa Barbaro nei suoi Quattro libri senza nemmeno citare il Veronese come autore dell’apparato decorativo.
Il visitatore, comunque, pur rilevando le differenze stilistiche, resta ammaliato dal fascino di Villa Barbaro, un fascino non ben definibile ma nutrito di armonia, di eleganza, di equilibrio, che fa della villa una dimora da sogno ma da sempre abitata, grazie alla vivacità ed all’immediatezza di quegli inserti di vita familiare.