Tutti, parigini e non solo, abbiamo sentito almeno una volta pronunciare l’espressione “Parigi val bene una messa” non conoscendone storia e spesso anche significato. Questa celebre frase pronunciata da Enrico di Navarra e risalente alla fine del ‘500, periodo in cui la Francia era devastata da una terribile guerra civile conosciuta come la “guerra dei tre Enrichi”: Enrico di Guisa, Enrico III e appunto Enrico di Navarra, rappresenta il capovolgimento di quelle che erano le proprie origini o idee.
Dopo anni di sanguinosa guerra vinse Enrico di Navarra, divenendo così il primo monarca del ramo Borbone a prendere il trono di Francia. Però, a questo punto, divenne necessario per il futuro Re, che era ugonotto e di religione protestante, convertirsi al cattolicesimo per poter salire sul trono di Francia ed è proprio prima di farsi cattolico che Enrico IV pronunciò la famosa espressione “Parigi val bene una messa”, indicando con tali parole che “vale la pena sacrificarsi per ottenere uno scopo alto”, ossia rinunciare alla sua fede protestante in favore di quella cattolica pur di conquistare il regno di Francia. Da allora l’espressione è divenuta un modo di dire popolare che ancora oggi viene sistematicamente utilizzato per sottolineare delle concessioni che vengono accettate o l’importanza di una rinuncia che vale la pena di fare per arrivare ad ottenere ciò che desideriamo, anche se moralmente indecoroso, come nel caso di Enrico IV che abiurò il calvinismo per il cattolicesimo pur di conquistare Parigi.
Ecco allora venire a noi, popolo diviso e mai unito da quello che fu considerato il giorno in cui fatta l’Italia bisognava fare gli Italiani. Era il 18 febbraio del 1861 quando si riunì per la prima volta il Parlamento dell’Italia unita. Ma purtroppo fatta l’Italia non son mai stati fatti gli italiani e mai potranno essere fatti, perché l’italiano vero non esiste, proprio perché come Enrico di Navarra ognuno tende a mantenere ciò che ritiene meglio e più giusto per se senza vivere una coesione ed è così come esiste solo nell’immaginario della finzione letteraria l’isola che non c’è.
Infatti Edoardo Bennato cantava “…. Son d’accordo con voi non esiste una terra dove non ci son santi né eroi e se non ci son ladri se non c’è mai la guerra forse è proprio l’isola che non c’è, che non c’è”. L’italiano vero può esistere solo se esiste l’isola che non c’è. È solo un processo di omologazione, di mera forzatura, di astrazione assoluta che può spingere l’individuo ad esternare in una sintesi la rappresentazione dell’italiano attraverso un concetto arcaico e fuorviante quale quello di italiano vero. Siamo quelli che siamo, abbiamo le nostre origini, le nostre identità, le nostre specificità. Per qualcuno l’italiano vero è colui che ha la fede nel credere, obbedire e combattere, ma ciò significherebbe solamente insultare l’italiano, per altri può essere quello che ha dato la propria vita per l’idea della nazione, a prescindere dalle alleanze sostenute, ma significa limitare l’italiano e ricondurlo nei meandri di quell’eroismo e nazionalismo che stona proprio con la storia vera d’Italia, per altri ancora può essere quello che ha lottato nella resistenza, forse quello è stato l’unico momento di riscatto per l’Italia e l’italiano in quanto individuo ma non parlerei neanche in quel caso di italiano vero, perché gli ideali inseguiti erano così alti, così profondi e concreti che andavano ben oltre l’astrazione del concetto dell’italiano vero, per arrivare poi ai costumi, agli usi, agli spaghetti, che oramai si mangiano in ogni angolo del mondo, alla pizza, al gelato, al vino, all’arte, e chissà cosa ancora.
Insomma, parlare di italiano vero, è come credere, da adulti, ancora nell’esistenza di Babbo Natale. Perché siamo una moltitudine di italiani, di identità, di soggettività, con percorsi diversi, storie diverse, identità diverse, perché non esiste una sola Italia ma tanti piccoli e connessi frammenti di un Paese tanto giovane, quanto eterno per la sua storia che nella loro interazione costituiscono l’Italia, nel loro insieme formano l’Italia, ma andando oltre l’armatura arrugginita dell’italiano vero.