È stata un’iniziativa assai lodevole dell’Ufficio Scuola del Consolato Generale di Francoforte sul Meno quella di programmare una serie di incontri fra gli scolari italiani delle scuole medie e degli scienziati di grido nei vari campi dello scibile umano. L’evento inaugurale riguardava la storia, ed il referente è stato Amedeo Feniello, ordinario di Storia all’Università dell’Aquila e ricercatore del CNR presso l’Istituto di Storia del Mediterraneo, già professore presso la Nothwestern University di Chicago nonché directeur d’études invité presso la Ècole de Haute Ètudes en Sciences Sociales di Parigi. Autore di numerosi studi molto significativi, ha anche pubblicato numerosi libri per i nonaddetti- ai-lavori fra cui: Sotto il segno del Leone. Storia dell’Italia musulmana (Laterza 2014), Il bambino che inventò lo zero (Laterza 2014), Dalle lacrime di Sybille. Storia degli uomini che inventarono la banca (Laterza 2015), Napoli 1434. Le origini di un sistema criminale (Mondadori 2015). L’incontro con gli studenti si è svolto presso la Scuola Europea di Francoforte, in tutto più di 60 scolari italiani hanno appreso la rigorosa metodologia scientifica che è la base della ricerca storica. L’argomento trattato era l’introduzione del numero zero nella matematica europea, che fino al tardo medioevo ne era all’oscuro.
Professor Feniello, Lei è a Francoforte per la prima volta: che impressione ne ha?
È una città straordinaria da diversi punti di vista, con una commistione perfetta tra elementi di estrema modernità ed il recupero del passato, soprattutto in questa zona che è stata ricostruita negli ultimi anni, ed è stata inaugurata ultimamente con il recupero del centro antico e gli edifici che danno un lustro particolare: modernità ed antichità che si coniugano assieme dando una città godibile e bella, appassionante sotto molti punti di vista.
Lei è un esperto di banche?
Sono soprattutto un esperto di economia medievale, mi sono occupato soprattutto di storia della banca, nascita delle banche, ed anche della prima crisi che le ha colpite negli anni ‘40 del ‘300 con degli effetti molto simili a quelli che abbiamo visto nel 2008, da un capo all’altro dell’Europa, e che dimostra che assieme alla banca nasce anche il suo aspetto più negativo, cioè appunto la crisi. La nascita della banca è un evento misterioso e rapidissimo intorno al 1250, quando in Italia, che è il cuore pulsante della grande rivoluzione commerciale del medioevo, avviene una trasformazione di tale portata da coinvolgere le strutture economiche dell’intero continente.
Lei si è incontrato oggi con degli scolari. Che impressione ne ha ricavato del loro interesse per la storia?
Innanzitutto ho due cose da dire. La prima riguarda oggi la mia esperienza di oggi in questa straordinaria scuola di Francoforte, la Scuola Europea, dove ho avuto la possibilità di incontrare tutti i sessanta ragazzi e dialogare con loro su un tema che riguarda la nascita e l’arrivo in Europa dei numeri indo-arabi. Devo dire che ho trovato una platea attentissima, erano ragazzi vivaci e curiosi che mi hanno subissato di domande su tutto un seguito di aspetti: dal mestiere di storico al tema che trattavamo, cioè i numeri dalla serie di Fibonacci alla nascita di questo zero dalle giungle della Cambogia alle coste del Mediterraneo. E poi, non esiste una sola maniera di raccontare la storia, ma ne esistono tante diverse a partire però dall’approfondita conoscenza d’un tema. I registri che si possono utilizzare sono tanti, da quelli più semplici adatti ai ragazzi, a quelli più complessi per gli addetti ai lavori. Il tema resta lo stesso, la capacità dello storico nel raccontare dev’essere di saper modulare i registri, sapersi adattare al pubblico partendo però da un nucleo di conoscenze più saldo possibile. Bisogna coniugare una grossa capacità filologica con la capacità -avrebbe detto Galileo- di fare teatro, poiché l’insegnamento è anche teatro.
Ho avuto l’impressione, seguendo le Sue conferenze registrate su YouTube, che ogni volta che Lei introduce un personaggio storico, ce lo faccia vedere come persona, come il personaggio d’un romanzo, e così riusciamo meglio a seguire la narrazione.
La storia è fatta di uomini. Il grande maestro Marc Bloch diceva che lo storico è come l’orco delle fiabe perché va sempre a caccia del sangue degli uomini. La storia altro non è che la vicenda degli uomini nel loro divenire; quindi il mestiere dello storico è di creare un dialogo empatico con questo passato e raccontare nel presente nella maniera più sensibile gli elementi di questo passato, anche se ne siamo molto distanti, soprattutto il medioevo, non solo dal punto di vista cronologico, ma anche dal punto di vista psicologico e antropologico. Raccontare la storia della crisi bancaria del ‘300 è una cosa fredda, ma raccontare la storia di Sybille, una donna che ha vissuto direttamente questo dramma, rende tutto molto più vicino, molto più umano. Ci possiamo confrontare nel suo dramma perché è lo stesso che hanno vissuto tante persona colpite dal fallimento della Lehman Brothers, cioè la perdita d’un patrimonio. Questa è la migliore maniera per rappresentare una vicenda storica.
Adesso mi piacerebbe che Lei ci parlasse del Suo ultimo libro „Napoli 1343“.
È il frutto di uno studio lunghissimo dedicato a Napoli, durato forse più di venti anni, sulle fonti relative al ‘200 e al ‘300 napoletano; è un libro però che nasce da una domanda contemporanea, come sempre dev’essere quando si parla di storia. Nel caso specifico si trattava di cercar di capire perché esiste un fenomeno criminale così radicato nel tessuto sociale napoletano come la camorra, che negli ultimo vent’anni ha fatto qualcosa come quattromila morti. È un fenomeno che è stato spiegato sotto molteplici molti punti di vista: l’ha fatto in maniera magistrale Roberto Saviano nel suo „Gomorra“, però sempre con una lettura del tipo economico-sociologico-antropologico; io ho cercato invece di proiettare questo discorso sull’aspetto storico, cioè di andare a vedere se ci sono delle radici. E devo dire d’aver trovato non la camorra, ma alcuni elementi che sono già presenti nella società napoletana medievale. Oltre ad una forte violenza – ma è un elemento comune al medioevo di molte altre città, come ad es. Genova e Firenze – gli elementi che appaiono chiaramente sono relativi al senso di appartenenza al clan, alle strutture familiari, e soprattutto al controllo del territorio.
Ultima domanda: è riuscito a rintracciare lo Scarabone Buttafuoco del Boccaccio?
Negli ultimi anni sono state fatte delle ricerche. A Udine c’è uno storico napoletano molto bravo chiamato Bruno Figliolo che si è interessato a definire se ci siano degli elementi di veridicità nella famosa novella del Boccaccio. Anche Benedetto Croce se ne è occupato, ed a proposito dello Scarabone Buttafuoco fa notare -questo deve far riflettere- che è molto simile a un odierno guappo della camorra. Vorrei aggiunger questo: secondo me non può esistere un libro di storia che non abbia anche una passione civile. Il mio libro nasce da un disagio, da un dolore forte, dalla consapevolezza d’una città bellissima che vive al suo interno questo dramma, questo coagulo insanguinato. Pensare che ci sia stato un momento di nascita della camorra ci può far capire una cosa: che così come è nato, questo fenomeno può pure morire.