L’annunciato smantellamento di Riace è un colpo mortale a un modello di integrazione riuscito. Le conseguenze non riguardano solo la collettività, ma ciascun individuo
Il nome Riace è legato indissolubilmente al mare. Due sono gli eventi che hanno reso famoso il minuscolo borgo situato sulla costa ionica della Calabria. Il 16 agosto 1972 un sub dilettante scoprì, a pochi metri di profondità, le sagome di due statue di bronzo del V secolo a.C. di straordinaria bellezza ed eccezionale stato di conservazione.
Il secondo evento risale al 1° luglio 1998 ed avrebbe reso Riace ancor più famosa, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Quel giorno davanti alla spiaggia di Marina di Riace apparve un veliero carico di curdi, centinaia di uomini, donne e bambini provenienti dall’Afghanistan e dall’Iraq. Al loro sbarco trovarono l’accoglienza della gente del posto. Tra loro anche Domenico Lucano, detto Mimmo, attivista dell’associazione Città Futura, dedicata a don Giuseppe Puglisi. Dopo quello sbarco Riace e un pezzo della costa ionica calabrese non sarebbero stati più gli stessi. L’arrivo dei migranti avrebbe trasformato Riace da borgo fantasma a modello di accoglienza per il resto del mondo.
Due anni fa in un’intervista rilasciata al giornale Repubblica Lucano ha raccontato la sua vita prima di quel giorno. «Sono stato emigrante anch’io, a Torino e a Roma, dove ho lavorato come insegnante. Tornare in Calabria è stata la scelta più difficile: come tanti, avrei potuto costruire la mia vita al Nord, ma la voglia di tornare era troppo forte. Poi, nel ’98, sulle nostre coste è sbarcato quel veliero … »
Mimmo Lucano, calabrese, classe 1958. Eletto sindaco di Riace il 12 giugno 2004, carica che ha mantenuto per tre mandati. Il 3 ottobre 2018 è stato posto agli arresti domiciliari con l’accusa di favoreggiamento dell’emigrazione clandestina e abuso d’ufficio per aver affidato la raccolta differenziata dei rifiuti a due cooperative sociali prive di documenti attestanti l’iscrizione all’albo regionale. Alcuni giorni dopo l’arresto Lucano ha potuto riottenere la libertà, ma gli è stato ordinato di non risiedere a Riace. Dunque l’esilio, misura punitiva umiliante e, per un sindaco legatissimo al suo territorio, anche peggiore degli arresti domiciliari.
La notizia dell’arresto di Mimmo Lucano è stata accompagnata dall’annuncio dello smantellamento della comunità di migranti di Riace, ordinato dal Viminale, e del loro trasferimento in altri centri urbani italiani, notizia poi parzialmente smentita. I capi di imputazione e i provvedimenti decisi hanno dato adito a sospetti relativamente ai moventi politici che potrebbero averli determinati. Moltissime persone hanno reagito con indignazione e rabbia. Ciò non ha riguardato soltanto la politica. Proteste energiche sono arrivate dalla società civile, in particolare dalle numerose associazioni di volontari impegnati nell’accoglienza ai migranti e nella miriade di attività finalizzate alla loro integrazione.
In una regione in cui il legame tra criminalità organizzata e territorio è capillare e non disdegna nessuna attività lucrosa, smaltimento dei rifiuti compreso, l’arresto di Mimmo Lucano prima ancora dell’indignazione ha suscitato incredulità e sorpresa. Con il “modello Riace” di accoglienza e integrazione Mimmo Lucano ha utilizzato i fondi del sistema SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) concessi ai comuni per l’accoglienza ai migranti. Ma Lucano non ha fatto solo accoglienza, ha anche pensato all’integrazione. Così quei fondi (35 euro al giorno per migrante, ndr) li ha usati anche per ristrutturare case dismesse in cui ospitare i profughi, per sostenere la nascita di cooperative miste composte da cittadini del luogo e da profughi dando lavoro ad entrambi e creando integrazione effettiva. Una di queste cooperative si occupava della raccolta differenziata dei rifiuti e lo faceva porta a porta, utilizzando al posto dei camion degli asinelli per percorrere le ripide stradine del paesino.
Ma proprio gli asinelli sono diventati oggetto delle indagini. Altre iniziative messe in piedi dal sindaco hanno riguardato “diversi laboratori di artigianato etnico, camere e appartamenti per il turismo dell’accoglienza, fattorie didattiche, un frantoio oleario, un ambulatorio medico, tutte iniziative che hanno permesso alla comunità locale di allargare le opportunità di lavoro e di impiego sul territorio”. Sono parole che lo stesso Lucano ha pronunciato in una recente intervista televisiva trasmessa da La7.
I riconoscimenti ottenuti dal “modello Riace” sono stati molteplici e svariati. Nel 2010 Lucano è risultato terzo nel premio “World Major” (miglior sindaco al mondo) e un commentatore partecipante alla premiazione lo ha definito “il Mahatma Gandhi dei nostri tempi”. Sempre nel 2010 il regista Wim Wenders ha realizzato il cortometraggio “Il Volo” basato sulla storia di Riace dopo l’arrivo dei profughi curdi. La rivista “Fortune” dei leader più influenti al mondo gli ha riservato nel 2016 un posto (il 40esimo) insieme ai grandi della terra.
Che il sindaco di Riace non fosse perfettamente in regola con le leggi era cosa nota già da tempo. Lui stesso lo aveva confessato pubblicamente. Le indagini erano partite già da almeno un anno, ma gran parte dei capi d’accusa si sono rivelati infondati. Il Gip, giudice per le indagini preliminari Domenico Di Croce, ha parlato di “malcostume” e di “estrema superficialità” nei comportamenti del sindaco, ma non ha rilevato la sussistenza di flussi di denaro né è stata riconosciuta l’associazione a delinquere.
Probabilmente l’arresto di Lucano era un atto dovuto e il nostro giornale non vuole contribuire a fare eco alle strumentalizzazioni che si sono appropriate della vicenda. C’è però una questione che ci riguarda tutti e che non può essere sottaciuta. E’ una questione che ci riguarda come individui prima che come cittadini appartenenti alla collettività, come esseri umani ed anche come cristiani, se ci è concesso l’uso del termine. Perché prima dei cambiamenti che si manifestano in una società, ci sono mutamenti che avvengono nelle menti e nei cuori delle persone ed è di questo che dovremmo essere consapevoli.
In Italia da qualche tempo qualcosa di molto preoccupante e grave si sta insinuando nella vita delle persone e ne sta cambiando la mentalità e la cultura. Complici la paura, la globalizzazione, la migrazione, la crisi economica, il nostro “sentire” comune di italiani sta mutando sotto l’influsso della politica. Mi si consenta, sotto l’influsso del populismo. Gli eventi sui quali i populisti costruiscono il consenso dei cittadini sono sotto gli occhi di tutti. Pochi giorni fa a Roma una sedicenne è stata drogata, stuprata e uccisa. Autori degli omicidi dei neri giunti in Italia per richiedere asilo. Alcuni mesi fa a Macerata un’altra giovane donna è stata uccisa e fatta a pezzi. Delitti gravissimi che tuttavia non giustificano il proliferare di reazioni, violente e contro innocenti, anche loro neri, anche loro migranti, cui stiamo assistendo. Il risultato è che oggi in Italia il razzismo rischia di radicarsi nella società. Ne abbiamo scritto nell’articolo “Italiani brava gente” disponibile online nel sito del nostro giornale.
Dunque, una metamorfosi lenta sta trasformando l’Italia. Da noi succede più che in altri paesi, per lo meno in Europa. Perché ciò stia accadendo è difficile dirlo. Forse perché l’Italia è più lenta a uscire dalla crisi economica. Forse perché in Italia la crisi, da crisi economica è diventata crisi di valori. Riconoscere le cause di questa crisi è difficile e tuttavia è doveroso. E’ un dovere di ciascun individuo e lo è tanto di più in considerazione dei gravi effetti che sta producendo.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà” ha scritto Italo Calvino ne “Le città invisibili”: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Riace è un modello riuscito di integrazione, un’idea di solidarietà e di libertà che deve durare, che merita spazio. Quattro anni fa chi scrive insieme a un gruppo di connazionali diede vita a Monaco di Baviera alla manifestazione “Siamo tutti migranti”. Il gruppo si chiamava “Un’altra Italia, e vi facevano parte associazioni attive sul territorio e singoli cittadini. Tre giorni di dibattiti e una rassegna cinematografica sulla migrazione. I dialoghi del film “Il Volo” di Wim Wenders furono tradotti e sottotitolati in tedesco. Il pubblico accorse numeroso. Alla manifestazione partecipò anche Mimmo Lucano. La comunità italiana e tedesca si strinse intorno al sindaco calabrese, manifestò interesse ed espresse sostegno per il suo progetto diventato modello in Italia e in Europa. Sono passati solo quattro anni e sembra che siano trascorsi anni luce. Anche in Germania la collettività italiana si è ritirata in se stessa. Ciascuno si è richiuso in se stesso. Come è potuto succedere?
Le recenti notizie giunte dal borgo di Riace ci riguardano tutti. In esse è racchiusa una minaccia che ci riguarda tutti e nello stesso tempo un monito e un appello a riscoprire i valori che tengono insieme una collettività.