“Autopsia di un diritto politico” è un libro che analizza i risultati delle circoscrizioni estero nelle ultime politiche
Uno scossone degli equilibri politici
I risultati delle elezioni svoltesi lo scorso 4 marzo hanno scombussolato gli equilibri del quadro politico con esiti del tutto imprevedibili e imprevisti per lo meno nelle dimensioni in cui si sono verificate. Ci si aspettava una crescita del Movimento 5 stelle, ma non ci si poteva immaginare che sarebbe arrivato al 32,7%. Era scontato un indebolimento del Partito Democratico, ma nessuno pensava a un tracollo al 18,7%. E anche la Lega di Matteo Salvini col 17,4% e il primato all’interno del campo di centro-destra ha ottenuto un successo superiore alle previsioni. L’effetto più clamoroso sortito dalle elezioni di marzo è stata la successiva nascita del governo Conte, un esecutivo giallo-verde del tutto inedito, fondato sul “contratto” di coalizione tra Movimento 5 Stelle e Lega. Qualcuno è arrivato a parlare di “terza Repubblica”, anche se con questo tipo di periodizzazioni a tavolino sarebbe meglio restare molto cauti.
Probabilmente a causa delle eclatanti novità dei risultati e degli scenari successivi, questa volta, diversamente dalle precedenti tornate elettorali, poca attenzione è stata dedicata dai mass media al voto degli italiani all’estero. Eppure proprio il modo in cui si sono espresse le comunità italiane fuori dal Paese può essere un termometro utile per comprendere i profondi mutamenti che sta attraversando la politica italiana. È questa per lo meno la scommessa lanciata da Maddalena Tirabassi, direttrice del Centro Altreitalie, nell’introduzione di un recente volume dedicato al tema. Il titolo del libro è Autopsia di un diritto politico. Il voto degli italiani all’estero nelle elezioni del 2018, a cura di Simone Battiston e Stefano Luconi, con una postfazione di Piero Bassetti, pubblicato dalla casa editrice torinese Accademia University Press (prezzo € 14).
Il voto degli italiani all’estero
Dunque, come hanno votato gli italiani all’estero? Prevalgono le analogie con il voto degli italiani in patria oppure le divergenze? E la legge elettorale, la fatidica “Legge Tremaglia”, approvata nel 2001 e applicata per la prima volta nel 2006, regge all’usura del tempo o si rivela inadeguata rispetto alla novità della ripresa dei flussi emigratori dall’Italia verso l’estero? Delineare un quadro omogeneo è praticamente impossibile. I vari autori dei saggi che compongono il volume, dedicandosi ciascuno all’analisi del voto degli italiani in una diversa nazione (Gran Bretagna, Francia, Germania, Argentina, Australia etc.), mostrano chiaramente come vi sia una forte divergenza di interessi e di orientamenti tra le varie generazioni migratorie, così come notevole è la differenza tra i Paesi meta di migrazioni storiche (come l’America Latina), con comunità dominate da istanze di tipo locale, e quelli in cui si è assistito ad un profondo rinnovamento della presenza italiana con i massicci arrivi degli ultimi anni (Europa, USA) e il prevalere di una prospettiva transnazionale.
Un dato su cui vale la pena riflettere è la scarsa partecipazione al voto, con un’ulteriore diminuzione rispetto alla tornata del 2013. E pensare che nell’ultimo decennio il numero di italiani iscritti all’Aire nel mondo è aumentato di 2 milioni passando dai 3.106.251 del 2006 ai 4.973.942 del 2017, con conseguente incremento degli aventi diritto al voto. Ebbene, ciononostante la percentuale dei votanti nella circoscrizione estero (consultazioni per la Camera dei deputati) è diminuita dal 38,9% (elezioni 2006) al 29,8%di quest’anno.
Tra gli aspetti che emergono e che marcano la differenza rispetto al risultato nazionale ci sono la miglior tenuta all’estero delle forze politiche tradizionali, in particolare del Partito Democratico, il risultato contenuto della Lega e delle altre forze di centro-destra (Forza Italia e Fratelli d’Italia), il buon successo del Movimento 5 Stelle, che però si mantiene molto al di sotto della percentuale italiana, e il boom di +Europa, la lista di Emma Bonino che in Italia ha conseguito un deludente 2,5%.
Il voto in Germania
Per i lettori del “Corriere d’Italia” è di particolare interesse l’analisi del voto espresso dagli italiani residenti in Germania. Il saggio della sociologa Edith Pichler, docente e ricercatrice presso l’Istituto di Economia e Scienze Sociali dell’Università di Potsdam, offre una disanima precisa e accurata dei risultati. In termini generali anche in Germania si deve registrare un incremento dell’astensionismo: ha inviato la scheda al consolato di riferimento solo il 27,3% di quanti l’hanno ricevuta, quando nel 2006 (prima applicazione della legge Tremaglia) lo aveva fatto il 35,8%. Il partito più votato sia alla Camera che al Senato è stato il PD, attestatosi al di sopra del 30% in molte circoscrizioni elettorali (Wolfsburg, Hannover, Colonia, Francoforte e Monaco), mentre il Movimento 5Stelle, primo partito in Italia, tra gli elettori di Germania non va oltre il terzo posto e non riesce a sfondare da nessuna parte (se non nella circoscrizione di Friburgo) il tetto del 30%. La lista di centro-destra, presentatasi unita con Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, ottiene un exploit nelle circoscrizioni di Dortmund e Stoccarda (primo partito rispettivamente col 34,3% e col 31%), ma in generale consegue un risultato peggiore di quello raccolto nel territorio nazionale. Sorprendente infine il risultato di +Europa che sfiora il 6% ed è la quarta formazione più votata.
Wolfsburg e Berlino: due casi paradigmatici.
Il caso della Germania è emblematico della coesistenza di due elettorati che rispecchiano le diverse istanze delle vecchie e nuove migrazioni. Mentre nelle aree di emigrazione più datata prevale nettamente il PD (a Wolfsburg, roccaforte dell’emigrazione del secondo dopoguerra, il PD arriva al 43%), in una città come Berlino, una delle mete preferite delle nuove mobilità italiane, il panorama è del tutto differente: qui fanno scalpore i risultati altissimi di +Europa al 19,5% e di Liberi e Uguali al 14,8%, mentre la Lega col tutto il centro-destra è ferma al 10% e il M5S non va oltre il 26%. Quanto al PD, il 27,4 tributatogli dagli elettori berlinesi è un discreto risultato, ma al di sotto di quello riscontrato nelle altre circoscrizioni in Germania. Un voto così anomalo si spiega con la particolarità degli italo-berlinesi, un elettorato “metropolitano-europeista e libertario”, scrive Edith Pichler, con forti legami diretti con l’Italia e un elevato livello di scolarizzazione e informazione