Nelle più svariate circostanze della vita – relazioni, lavoro, famiglia – capita a volte di porsi delle domande che iniziano con” E se…?”. Solitamente in esse è previsto il verificarsi di una condizione negativa e suonano più o meno così:
• E se lui/lei dovesse lasciarmi?
• E se dovessi risultare stupido/a?
• E se non dovessi passare l’esame?
• E se poi mi diranno di no?
• E se poi quello che ho fatto non piacerà agli altri?
• E se dovessi fare la figura dell’incapace?
• …
Preoccuparsi delle possibile conseguenze di un evento per noi cruciale è utile nella misura in cui riusciamo a prefigurarci i vari scenari e di conseguenza a elaborare differenti strategie per affrontarne gli esiti. Il problema con questo tipo di domande è che possono divenire paralizzanti, cioè ci fanno vedere solo il lato negativo delle cose e ci impediscono di pensare a delle soluzioni utili.
Talvolta, la paura che possa verificarsi l’esito infausto è così forte dall’impedirci di provare: non inviamo un curriculum per paura di essere inadatti, non iniziamo una frequentazione per paura di essere lasciati, non accettiamo l’invito ad una festa per paura di fare brutta figura,…
Nessuno di noi possiede una palla di vetro in cui vedere il futuro: perché allora partire dal presupposto che le cose andranno male? E, anche se dovesse accadere, perché non provare a cercare una soluzione?
Se è vero che molti eventi sfuggono al nostro controllo, ce ne sono molti altri in cui possiamo intervenire, prima o dopo. Per poter uscire dalla trappola del pensiero “ E se…?” possiamo focalizzarci su questi aspetti:
• Ho paura ma è perfettamente normale. Non sono né la prima né l’ultima persona a sperimentarla, posso provare a gestirla!
• Sì,potrebbe succedere questa cosa che temo molto. Ma possono verificarsene anche altre:…;
• Se accadrà qualcosa di negativo farò del mio meglio per affrontarlo. Ho le risorse per farlo!
• Non posso impedire a queste paure di limitare la mia vita. L’indecisione non mi farà crescere, il tentativo sì.
• Se sbaglierò, rimedierò e imparerò a far meglio la prossima volta.
• E se invece dovesse andare bene?
Questo genere di pensieri è più “aperto”: contemplano anche gli esiti positivi, senza diventare irrealistici. Tengono conto delle possibilità negative ma vanno oltre perché prevedono la possibilità di affrontarle.
Se il pensiero “ E se…?” diventa catastrofico e interferisce sulla qualità della propria vita minandone il benessere, può essere utile consultarsi con uno psicologo per lavorare insieme sul potenziamento delle risorse e sulla ricerca di nuove strategie per il trattamento e la gestione del malessere.