Da bambini eravamo naturalmente portati a ricercare il piacere in ciò che facevamo ed eravamo guidati nelle nostre scelte e quindi nelle nostre azioni da ciò che desideravamo: se volevamo una cosa facevamo di tutto per averla! Ti ricordi?
Se qualcosa attrae un bambino, non è importante quale sia il rischio o la fatica da compiere per ottenerla: la vuole punto e basta. Crescendo riceviamo soprattutto un’educazione che ci porta via da quello che vogliamo, il messaggio principale che subiamo è: “Non fare questo altrimenti succede quest’altro.” o “l’erba voglio cresce solo nel giardino del re” o “chi assai desidera, assidera”. Questo tipo di indicazioni servono all’adulto ad uscire dal senso di colpa di non poter soddisfare tutto quello che chiede il bambino e a preservarlo dal dolore, dalle delusioni e delle sconfitte. Così, poco alla volta, ci focalizziamo sul potenziale dolore e insegniamo alla nostra mente a pensare, come prima cosa, “cosa potrebbe accadere se…” e, giorno dopo giorno, evitare il dolore diventa automatico. Evitando il dolore però evitiamo anche le sfide e tutto ciò che va fuori dal nostro ordinario e ci chiudiamo in un mondo sempre più piccolo e poco emozionante.
Da piccoli non abbiamo ancora questa forma mentis. Dubito infatti che quando da bambino ti sei messo in testa di imparare ad andare in bicicletta tu abbia desistito o ti sia fatta condizionare più di tanto dalle possibili conseguenze sgradevoli. Sapevi benissimo che potevi cascare e farti male, ma non te ne sei preoccupata e non l’hai visto come qualcosa di negativo da sfuggire a tutti i costi. Anzi quando sei caduto, hai pianto, hai sentito male ma, dopo il bacino della mamma, ti sei subito rimesso a pedalare.
Anni e anni di condizionamenti da parte della famiglia e della società, basati su ciò che non si deve fare e sulle conseguenze negative, uniti magari a qualche esperienza spiacevole senza essere supportati, hanno poco per volta modificato il nostro modo di pensare e di approcciare le situazioni. Adesso andiamo in bicicletta pensando alle cadute precedenti, alla brutta figura che abbiamo rimediato, al fatto che non siamo stati bravi come avremmo voluto essere e, allo stesso tempo, preoccupandoci del fatto che potremmo cadere ancora, che qualcuno potrebbe metterci i bastoni tra le ruote o che potremmo non pedalare bene come vorremmo. Alla fine, in questo turbinio di sensazioni negative, non ci sono spazi per godersi l’andare in bicicletta e provare piacere e soddisfazione perché stiamo pedalando, che era il motivo che ci aveva spinto inizialmente a farlo.
Il problema non è che ci viene insegnato a prestare attenzione alle possibili conseguenze negative delle nostre azioni, anzi questa è senz’altro una cosa positiva. I bambini sono per natura del tutto incoscienti ed è dovere del genitore fargli vedere anche l’altro lato della medaglia. Il problema è che ci insegnano solo questo! Il costante focus mentale è sul pericolo, su quel che non si può o non si deve fare, sullo stare attenti a, ci fa perdere, poco per volta, l’abitudine a pensare all’aspetto positivo delle cose. Un’educazione corretta dovrebbe insegnare a mostrare i due lati della medaglia. Da una parte avvertire sui pericoli dell’andare in bicicletta e dall’altra sottolineare quanto è bello farlo e quanto è bravo il bambino che sta imparando.
Teniamo conto che i nostri genitori sono stati a loro volta abituati a fare così e per la sopravvivenza è più importante eliminare i rischi che incentivare il benessere. I genitori fanno il meglio che possono per proteggere i loro figli, si preoccupano per le possibili conseguenze negative perché sono i responsabili. Ci sono adulti che fanno paura ai bambini pur di farsi ubbidire, minacciando per es. di chiamare l’uomo nero oppure minacciando che se il bambino si fa male saranno poi loro a dargli il resto. Questo è un atteggiamento governato dalla paura: paura che possa succedere qualcosa di male al bambino, ma anche paura del genitore di come si sentirebbe se succedesse qualcosa al figlio.
Per equilibrare positivo e negativo i nostri genitori avrebbero dovuto utilizzare almeno altre due emozioni positive altrettanto forti per farci spostare il focus sulle conseguenze positive nel futuro. Ma non credo che ti vengano in mente… Infatti difficilmente ci sono state perché non veniamo condizionati a pensare alle conseguenze positive di ciò che facciamo. Ci viene esclusivamente insegnato a focalizzarci sul negativo. Ci dicono cosa accadrà di brutto se facciamo una cosa, ma non ci fanno mai sapere cosa succederà di bello se non la facciamo o se facciamo qualcos’altro. Per es. si potrebbe rinforzare il bambino dicendogli che se studia potrà trovare un lavoro che gli permetterà di comprare tutti giochi che vorrà, oppure gli potremo dire “se smetti di gridare e giochi più silenziosamente, io non mi arrabbierò e riuscirò a finire prima quello che sto facendo e dopo potremo stare un po’ insieme”.
Alcuni studi a riguardo dicono che mediamente un ragazzo di 16 anni si è già sentito dire almeno duecentocinquantamila volte ciò che non può fare.
Con questo tipo di imprinting è difficile fare progetti per il futuro o sognare o desiderare cosa vogliamo, molti infatti nell’età adulta smettono di sognare. Ma se non immaginiamo non realizziamo. Ogni cosa viene creata due volte: prima mentalmente, poi concretamente. La prima creazione è visione, è l’inizio del processo che porta a reinventare se stessi come persone. La visione rappresenta i desideri, i sogni, le speranze, gli obiettivi e i progetti. Ma questi sogni o visioni da fantasie possono diventare progetti, come il progetto di una casa prima di essere costruita o le note sul pentagramma prima di essere suonate.
Quindi inizia a sognare…