Fra le prime mete culturali di grande interesse ma non frequantate come meriterebbero, bisogna segnalare Subiaco, in una valle sperduta e pittoresca degli Appennini in provincia di Roma. Il luogo non è immediatamente accessibile come Montecassino o Loreto: la via più breve consiste nel seguire l’autostrada Roma-L’aquila fino a Vicovaro, di lì prendere la SR 5 e poi risalire la valle dell’Aniene lungo la SR 411 (Sublacense) in mezzo a suggestivi paesaggi montani. Cosa giustifica questo lungo viaggio? Subiaco è solo un graziosa cittadina appenninica disposta a piramide sotto un castello e lambita alla base dal fiume Aniene, che in quel punto è attraversato da un bel ponte del ‘300. Tutto qui? No, perché immediatamente fuori del paese, l’Aniene fuoriesce dal fondo d’una gola aspra e selvaggia sulle cui pareti rocciose sta appeso come un nido d’aquila il Sacro Speco. E questo è un luogo davvero straordinario dal punto di vista storico-artistico.
Infatti è impossibile sottovalutare l’importanza del monachesimo che ha dominato la storia europea per un millennio, perdendo influsso solo in età moderna, e quindi l’importanza del suo iniziatore, quel San Benedetto da Norcia che verso la fine del V secolo d. C. venne a ritirarsi proprio in questo angoletto remoto alla ricerca della sua vocazione. A quell’epoca però il panorama era molto diverso: un’imponente diga, meraviglia dell’ingegneria romana, sbarrava lo sbocco della gola costringendo l’Aniene a formare un vasto lago, e da qui proviene il nome di Subiaco „Sub Lacus“.
L’imperatore Nerone l’aveva fatta costruire al solo scopo di abbellire con uno specchio d’acqua una sua villa sontuosissima che si estendeva sulla superficie di ben 75 ettari: i castelli del re di Baviera sono una bazzecola al confronto. Dopo poco però, come racconta lo storico latino Tacito, l’imperatore l’abbandonò perché spaventato dal prodigio d’una folgore caduta vicinissima alla sua mensa, e fece precipitosamente ritorno a Roma. All’epoca in cui vi giunse San Benedetto la villa era abbandonata ed in rovina ed il santo ne approfittò per costruirci sopra il primo dei suoi 13 conventi. Ma prima trascorse tre anni in solitudine dentro una grotta inaccessibile sotto un’alta parete rocciosa. Il ventenne anacoreta si impose una severissima disciplina, ma era continuamente tormentato dalle tentazioni della carne, e per punirla si gettò nudo dentro un cespuglio di rovi. Gran parte delle storie e leggende della vita di S. Benedetto, narrate da San Gregorio Magno e poi affrescate da grandi pittori fra cui Luca Signorelli a Monte Oliveto Maggiore, sono ambientate a Subiaco. In esse il santo deve intervenire con qualche miracolo a risolvere una situazione difficile. I monaci non riescono a rimuovere un masso perché il diavolo ci si è seduto sopra? Il santo fa il segno della croce, il diavolo fugge ed il masso si lascia smuovere. Ad un operaio si stacca la punta della roncola e cade in fondo al lago? Il santo immerge il manico nell’acqua e hopplà la roncola torna intera da sola. Un monachello sta affogando nello stesso lago? Il santo gli manda un soccorritore che cammina sulle acque. Un servo gli sottrae una bottiglia di vino? E il santo gliela trasforma in un serpente. E così via. Così, con il passare degli anni, la comunità monastica sublacense cresce sempre di più, finché uno dei monaci, un certo Fiorenzo, che non aveva saputo resistere alle tentazioni della carne tradendo la sua vocazione, cerca di eliminare il santo. Prima gli fa servire un appetitoso panino avvelenato, ma un corvo interviene miracolosamente portandolo via dal desco.
Allora il diabolico Fiorenzo gli manda nel giardino del convento una comitiva di belle puelle dai facili costumi. E contro di esse il santo non ha alcun rimedio miracoloso, se non la fuga precipitosa.
Fa le valigie e si trasferisce a Montecassino dove nel 529 d. C. fonderà la famosa abbazia, da allora casa madre dell’ordine. Dei tredici conventi di Subiaco ne sono rimasti solo due, ma molto importanti. Quello superiore, il Sacro Speco, domina la gola rupestre dal cui fondo sale lo scroscio dell’Aniene, e si può considerare assieme al Montserrat in Spagna, il Mar Musa in Siria, al Suomela in Turchia, al Meteora in Grecia, al S. Michele in Piemonte, a Melk in Austria e a pochi altri, uno dei conventi in posizione più pittoresca al mondo. Lo spazio sacrale interno è tutto disposto su di una antica scalinata che scende a fianco della roccia nuda fino alla grotta del santo ed è interamente affrescato con vivacissime immagini medievali. La più interessante di queste è il più antico ritratto di San Francesco di Assisi, che fece visita a Subiaco pochi anni prima della sua morte. Il ritratto è autentico, mentre quelli di Giotto sono idealizzati, dato che il grande pittore non ha mai visto di persona il santo poverello.
Il convento inferiore, più grande, è dedicato a Santa Scolastica sorella di San Benedetto, ma è tenuto da frati e non da suore. Sull’ingresso cameggia il motto ORA ET LABORA che qui fu concepito. Il numero dei frati con l’andare del tempo si è piuttosto ridotto non per le insidie d’un perfido Fiorenzo, ma per la generale crisi delle vocazioni. Gli spazi vuoti vengono ora riutilizzati come alloggio per i pellegrini, che giungono in continuazione. L’importanza storica di Subiaco è legata pure all’“invenzione del millennio“: nel 1454 si completò la prima edizione a stampa della Bibbia di Gutenberg a Mainz. Ed appena 10 anni dopo a Subiaco venne aperta la prima ufficina stampa in Italia. Non deve meravigliare che siano stati proprio i benedettini a prendere l’iniziativa: la loro millenaria tradizione amanuense, come immortalata da Umberto Eco nel Nome della Rosa, imponeva loro anche di tenersi al corrente del più moderno Know Out.
Fu probabilmente il cardinale Giovanni da Torrecremata, abate in commendam di Santa Scolastica, ad invitare a Subiaco i due discepoli di Gutenberg Conrad Sweynheym ed Arnold Pannartz, che vi arrivarono nel 1464. E non si limitarono a pubblicare 4 libri a stampa, fra cui 275 esemplari del il De Civitate Dei di S. Agostino, ugual numero del De Oratore di Cicerone e di opere di Lattanzio, ma crearono pure nuovi caratteri meno angolosi di quelli germanici. È chiaro dunque perché questa remota cittadina laziale ha lasciato un’impronta indelebile nella storia d’Italia e d’Europa?