È stato detto che il nostro è un mondo senza vita spirituale, un mondo senz’anima. Eppure ogni mattina nella Messa dico “nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo” e ci credo veramente anche perché riesco a riconoscere la presenza dello Spirito Santo, meglio ancora i suoi “gemiti” nelle grida di disperazione che escono dai poveri fino a diventare urla quando son seguiti dal suicidio. L’anima è ciò che unisce tutto il corpo e tiene insieme tutte le sue parti in maniera che organicamente siano a servizio della vita. Stupisce invece vedere non soltanto la divisione ma la soddisfazione nel vedere la divisione in atto tra coloro che dovrebbero collaborare al bene comune.
Il Concilio Vaticano II ha definito il bene comune come “l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni, il conseguimento più pieno della loro perfezione” (Gaudium et spes 74). Evidentemente, la perfezione dei singoli, delle famiglie e delle associazioni, rimanda a qualche denominatore comune, a tutti i diversi soggetti indicati, nonché all’interno di ciascuna categoria; altrimenti si dovrebbe semplicemente sommare ciò che ognuno – da solo o raggruppato – intende o desidera per sé. In questa ottica, potrebbe sembrare che l’individualità debba essere sacrificata alla molteplicità, ma non è così, poiché ogni soggettività – sia individuale che collettiva – trova se stessa non esclusivamente in se stessa, ma anche nella dimensione comunitaria: ogni “io”, infatti, è aperto e teso a un “noi” che non lo annulla o mortifica, ma lo arricchisce e lo compie in un rapporto dinamico di dare e ricevere. È questa relazione, a cui la società deve sempre tendere e convertirsi, che permette ad una moltitudine di diventare una comunità di vita, capace di integrare ognuno dei suoi membri – a cominciare dai più deboli – secondo giustizia. Sappiamo che la politica ha come scopo il perseguimento del “bene comune”, categoria che mai deve essere svuotata fino a diventare un puro nominalismo; né deve essere piegata a letture di tipo ideologico. Ciò farebbe venir meno ogni possibilità di visione e quindi di obiettivo.
Il bene comune – una volta individuato nei suoi elementi essenziali – deve poi essere tradotto e sviluppato all’interno di ogni aspetto della vita sociale e dell’ordinamento dello Stato, secondo un dinamismo ancorato da una parte ai principi fondamentali del bene stesso, e dall’altra alle peculiarità dei diversi ambiti. Abbiamo assistito all’elezione del nuovo Parlamento Italiano e si è cercato di eleggere delle persone e dei partiti in cui tutti si potessero più o meno riconoscere. La cosa è andata bene? Lo sapremo tra qualche giorno se si formerà il nuovo governo. Trovare il consenso unanime su una persona (presidente del consiglio) e su un partito o coalizione che abbia gli stessi ideali e programmi è meno interessante delle divisioni che si son volute sottolineare durante il cammino per raggiungere la formazione del nuovo governo. Fa tristezza voler sadicamente rilevare le divisioni a svantaggio di ciò che unisce. Avremo un governo che possa stare insieme miracolosamente con l’augurio che il miracolo continui a condizione, che tutti amino la loro Patria più di se stessi? Dopo l’unità raggiunta è l’ora della collaborazione e della corresponsabilità: sarà l’occasione per credere che la nostra Italia abbia una vita interiore e non solo, ma che sappia ritrovare quella coesione che sembra mancare per un individualismo (regionalismo) che non porta a nulla.
Per questo delicato compito, è necessaria un’autorità politica capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso l’individuazione del bene comune, ma non in forma meccanica o dispotica, bensì innanzitutto come forza morale alla luce della libertà e della coscienza del compito ricevuto. In tale prospettiva, la Chiesa da sempre stima degna di considerazione l’azione di quanti si dedicano al bene della cosa pubblica in tutti i suoi aspetti, e assumono il peso delle relative responsabilità.