Spett.le Redazione del Corriere d’Italia,
mi chiamo Fadi Karajeh, sono palestinese della Striscia di Gaza con tessera Urnwa, vivo e lavoro a Ravenna e risiedo in Italia da 12 anni.
Mi permetto di inviare la presente per esporLe la mia situazione personale e domandare il Suo aiuto per dare risalto e rendere pubblica la ripetuta violazione nei miei confronti di convenzioni internazionali atte ad evitare discriminazioni razziali e a tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, da parte del Dipartimento delle libertà civili, della cittadinanza e delle minoranze del Ministero dell’Interno italiano.
Come potrà evincere dalla corrispondenza intercorsa recentemente tra me e il Ministero dell’Interno, mi sento ingiustamente privato del diritto ad avere una cittadinanza (sono rifugiato politico, senza alcuna cittadinanza dalla nascita, non riconosciuto apolide essendo palestinese) in quanto il Ministero dell’Interno intende negarmi il riconoscimento della cittadinanza italiana forte del “potere discrezionale” di cui gode per la valutazione dei requisiti.
Da parte mia contesto la motivazione adottata a sostegno del preavviso di diniego ed indico, sul piano dei diritti umani, le ragioni per cui invece la mia storia personale richiederebbe una illuminata, e non ottusa, discrezionalità nella valutazione dei requisiti.
La condizione di incertezza in cui sono costretto a sopravvivere mi logora giorno per giorno, impotente e senza possibilità di confronto diretto con chi deve decidere del mio futuro e della mia libertà e dignità personale, disgustato del fatto che se fossi un personaggio famoso o avessi contratto un matrimonio di convenienza oggi non mi troverei in questa situazione, perché sarei stato degnato di maggiore considerazione umana; non pretendo che la cittadinanza mi venga “regalata” ma chiedo che mi venga concessa avendone i requisiti oltre alla reale necessità di averne una e non al solo scopo di evitarmi lungaggini burocratiche come, invece, per la stragrande maggioranza dei richiedenti la cittadinanza.
La prego vivamente di aiutarmi alla luce del vostro ruolo e del vostro impegno all’informazione pubblica.  Vi ringrazio per l’attenzione riservatami, dichiarandomi disponibile a fornirLe ogni necessario chiarimento.
Con i migliori saluti. Fadi Karajeh
Egregio amico, non possiamo indagare più a fondo sul Suo caso, ma pubblichiamo volentieri la lettera e uno degli articoli che ci ha mandato, dandoLe ragione perlomeno su un fatto: se Lei fosse un calciatore famoso o una star del cinema, o anche solo la escort di qualche politico, la cittadinanza la riceverebbe a casa senza doversi muovere.
Mau. Mont.

Fadi, cittadinanza negata per una multa di sei anni fa

Il pacchetto sicurezza è entrato in vigore nel 2009 ma il Viminale lo applica in modo retroattivo nei confronti di un giovane rifugiato della Striscia di Gaza a cui ha mandato un preavviso di diniego per la richiesta di cittadinanza. Fadi Karajeh, 33 anni di cui 12 passati a Ravenna, “non ha raggiunto un grado sufficiente di integrazione che si dimostra anche attraverso il rispetto delle regole di civile convivenza” scrive un funzionario del Ministero dell’Interno.

La sua colpa è una contravvenzione di sei anni fa, quando fu trovato oltre i limiti all’alcol test. Multa pagata, reato estinto e patente rinnovata per 10 anni. “Recenti disposizioni di legge e, in particolare la legge n.94/2009 mirano a rendere più efficace e incisiva l’azione di prevenzione della criminalità e di tutela della sicurezza pubblica, proprio con riferimento a reati del genere che destano allarme sociale e mettono a rischio l’incolumità dei cittadini”, si legge nella lettera arrivata al giovane palestinese ai primi di luglio. Karajeh resta in Italia perché gli è stato riconosciuto l’asilo politico, in che modo concedergli la cittadinanza minerebbe la sicurezza pubblica resta un mistero.
 

“Se non fossi ben integrato non farei l’interprete arabo per il Tribunale – dice Fadi – mi sento ingiustamente privato del diritto ad avere una cittadinanza. La condizione di incertezza mi logora.  Convivo dal 2002 con una ragazza italiana che non posso sposare perché non risulta da nessuna anagrafe che sono celibe, se muoio non c’è un posto in cui rimpatriare il mio cadavere. Il mio babbo è morto e non sono potuto andare al suo funerale a Gaza, né ho potuto prendere la piccola eredità che mi ha lasciato”. In precedenza gli era stata rifiutata anche l’apolidia perché ha la nazionalità palestinese in linea di discendenza paterna, anche se l’Italia non riconosce giuridicamente l’esistenza di uno Stato in  Palestina.

Fadi ha scritto al presidente Napolitano, all’Onu e al Consiglio d’Europa per protestare e ha chiesto al Viminale una nuova valutazione della sua richiesta. Non avere una cittadinanza vuol dire essere condannati a una vita di serie B. “Ho bisogno della tutela e dell’aiuto che con la Convenzione di Ginevra gli Stati aderenti intendevano garantire a chi per razza, come me, è costretto a vivere privato di diritti fondamentali e a sopravvivere in attesa di una svolta”, dice nel suo appello.

Secondo il ragazzo palestinese, quello del Ministero dell’Interno è un abuso, “un eccesso di potere”, vista la sua condizione di rifugiato che integra il secondo principio che ispira la normativa italiana per la concessione della cittadinanza, ovvero le ragioni della solidarietà umana. (Raffaella Cosentino)