Il 21 settembre ad Amburgo è stato presentato il libro del sedicente giornalista Francesco Sbano: Giuliano Belfiore. Die Ehre des Schweigens. Ein Mafiaboss packt aus. (Giuliano Belfiore. L’onore del silenzio. Un boss della mafia parla.)
L’autore era già finito al centro di un aspro dibattito a causa della sua raccolta di romantiche canzoni di ’ndrangheta ( ‘Musulinu galantomu‘, ‘Ammazzaru lu Generali‘ – Dalla Chiesa -, ecc.), inserite nel volume fotografico Malacarne. Esso contiene anche testi di personalità come Roberto Saviano, Rita Borsellino e Nicola Gratteri, senza però che questi fossero stati precedentemente informati del contesto in cui le proprie parole dovevano essere inserite.
Mentre il volume, dopo le sconcertate proteste degli interpellati, venne in Italia ritirato dalla casa editrice, restò ed è tuttora acquistabile in Germania e continua a nutrire quel bisogno di sicurezza insito nell’anima tedesca, infondendovi la sensazione di come le mafie continuino ad essere un fenomeno folcloristicamente tipico italiano.
È scabrosa la pena che s’insinua negli spettatori al racconto di Sbano. La cosiddetta analisi del sedicente giornalista è chiara: non esistono alternative per i nati nel Meridione se non entrare a far parte della mafia. Eccole, le vere vittime, dunque: poveri giovani costretti ad ammazzare. Mitra, acido, esplosivo.
L’altro pilastro del grandioso lavoro di Sbano, il giornalista del notissimo settimanale tedesco Der Spiegel, Andreas Ulrich, non trova evidentemente termine più adatto a descrivere la realtà ndranghetista calabrese se non quello di “bizarr”, mentre altri penserebbero forse alle parole di Saviano “la morte fa schifo”. Ma intanto il pubblico, per lo più tedesco, sorride ai racconti da feulleton su corruzione e impotenza delle istituzioni italiane.
Sbano sembra non sapere quanto il fenomeno delle mafie abbia da tempo oltrepassato i confini e il pubblico ascolta compiacente. Dopo tutto si tratta di miliardi che arricchiscono ormai anche numerose lobbi sul territorio tedesco, europeo, mondiale e non tutti vorrebbero o potrebbero rinunciarvi. È facile quindi appiattire la rappresentazione di fatti sconcertanti colorandoli di particolari ed allusioni estremamente fuori luogo. Ad esempio le pillole dimagranti ingerite da Antonio Pelle che andrebbero inserite nel disegno da lui perseguito di costringere i giudici responsabili a tramutare la propria pena in arresti domiciliari e successivamente rendere attuabile la fuga. Le stesse pillole diventano nel racconto di Sbano un mero segno della vanità del boss latino e Nicola Gratteri, che ne aveva reso possibile la cattura, un semplice e povero simbolo dell’impotenza istituzionale.
La mafia viene banalmente considerata come uno stato nello stato senza che si ritenga opportuno accennare almeno fugacemente alla questione dell’osmosi fra stato e mafie o ai confini sempre meno definiti fra criminalità economica e criminalità organizzata.
Anzicché soffermarsi sulla brutalità die crimini di stampo mafioso, quant’è bello cullarsi nell’integrità di questi uomini e nei loro – seppure arcaici -„valori“.
La donna ad esempio, essere puro ed inviolabile. E Maria Concetta Cacciola, anni 31, suicidata tramite ingerimento di acido muriatico dopo che lo scorso maggio aveva coraggiosamente deciso di collaborare con la giustizia? Lea Garofalo, 35, rapita, ammazzata e fatta scomparire, sempre con l’acido, due anni fa, dopo che anche lei aveva iniziato nel 2009 una collaborazione con la giustizia? E Tita Buccafusca? Stessa fine. Per non parlare delle numerose donne uccise per aver imbrattato l’onore della famiglia. Neanche i bambini si possono sottrarre a questa enorme integrità, come accadde ad esempio a Marcella Tassone, il viso trucidato da 7 colpi di arma da fuoco.
Una serata pericolosa quella del 21 settembre ad Amburgo. A chi, col dovuto rispetto, ma con indignazione (e un po’ di noia), aveva pazientemente aspettato il dibattito, non è rimasta che un’enorme delusione: per annotazioni critiche non era previsto alcuno spazio. Resta una domanda da rivolgere agli organizzatori del festival HarbourFront: sapevano chi avevano invitato a presentare in luogo sacro (la St. Pauli Kirche) il proprio “romanzo”? Evidentemente no. Un gioco col fuoco per il quale gli organizzatori del festival andrebbero chiamati a rispondere.