Penose e inaccettabili giustificazioni di Volkswagen, Daimler e Bmw per i test eseguiti su scimmie e su cavie umane. I test eseguiti dalla Volkswagen con Daimler e BMW che avrebbero dovuto fornire la prova della compatibilità ambientale dei motori diesel rivelano un preoccupante lato oscuro della potente lobby tedesca dell’auto. Lo scandalo del diesel continua a far vittime tra i manager dell’industria tedesca. Sospeso alla Volkswagen il manager, Thomas Steg responsabile delle relazioni pubbliche e alla Daimler il responsabile della difesa dell’ambiente, Udo Hartmann. Alla Bosch e alla Audi sono in corso diverse indagini nei confronti di manager sospettati di aver partecipato alla manipolazione dei motori diesel. La Bassa Sassonia, il più grande azionista VW, ha definito i test “assurdi e nauseabondi”. Unanime condanna anche del governo federale di Berlino e dell’Unione Europea.
Per quindici anni l’industria automobilistica tedesca ha manipolato i motori diesel nel mercato americano e anche nei più importanti Paesi dell’Unione Europea. A più di due anni dal dieselgate – lo scandalo della centralina che manipolava i dati delle emissioni dei motori diesel Volkswagen – l’opinione pubblica internazionale è ancora una volta scioccata dalle sconcertanti notizie emerse sulle manipolazioni del motore diesel protagonista di test con scimmie e con esseri umani, i primi svoltisi negli Usa, i secondi nella clinica dell’Università di Aquisgrana. Ancora una volta i vertici dei tre grandi gruppi automobilistici tedeschi – Volkswagen, Daimler e BMW – sono visti costretti a scusarsi dei confronti di un’allarmata opinione pubblica internazionale per gli errori commessi “da alcuni dipendenti all’insaputa dei vertici a loro totale insaputa”.
L’opinione pubblica internazionale sta cominciando a chiedersi se l’ossessione del “diesel pulito” non abbia finito per offuscare l’intelletto dei manager ai vertici di Volkswagen, Daimler e BMW. Perché quando si arriva a dire che truffe di simili dimensioni e durata escogitate da dipendenti di secondo grado sarebbero passate inosservate per quasi un ventennio ai tre grandi gruppi automobilistici si finisce per offendere deliberatamente l’intelligenza anche di quello che comunemente si usa definire come” il semplice uomo della strada”. Il caso ha voluto che la notizia degli esperimenti fatti negli Usa dalla Volkswagen con alcune scimmie rinchiuse in una camera e costrette a respirare l’ossido di azoto emesso da un motore diesel giungesse nelle redazioni dei giornali sabato 27 gennaio proprio nella ricorrenza della Giornata della Memoria in ricordo dell’olocausto degli ebrei, di cui oltre un milione, com’è noto, è finito nelle camere a gas del Terzo Reich. Una notizia già di per sé piuttosto inquietante, sennonché il giorno dopo ne è giunta un’altra ancora più sconvolgente che riferiva di altri test eseguiti quasi parallelamente a quelli sulle scimmie e però questa volta su esseri umani, quest’ultimi in ogni caso consenzienti, nei laboratori dell’Università di Aquisgrana.
Ai fini della realizzazione dei test, Volkswagen, Daimler e BMW, affiancati dalla Bosch, avevano dato vita nel 2007 all’associazione EUGT, un ente per la difesa dell’Ambiente e della Salute di chi opera nel settore dei Trasporti. Oggi non si fa difficoltà a capire che tutti i test, sia quelli su una decina di scimmie, sia quelli su esseri umani, 25 uomini e donne, usati dalla EUGT come cavie, avrebbero dovuto confermare la tesi dell’innocuità dei gas di scarico dei motori diesel, o quantomeno di un accettabile contenimento della loro pericolosità per l’ambiente e per la salute dei suoi abitanti. Una simile conferma, comunque, non si trova in alcun documento e ciò non meraviglia dopo le ammissioni che sono state fatte dalla Volkswagen davanti alle autorità giudiziarie americane dopo la scoperta del dieselgate nel 2015.
Ammissioni, dalle quali si deduce che dal 2007 l’industria automobilistica tedesca non avrebbe fatto altro che lavorare al perfezionamento di un software in grado di simulare, durante i test che un’auto diesel deve superare per ottenere per la sua omologazione, emissioni di gas di scarico con un livello di ossido di azoto al di sotto dei limiti massimi previsti dalle vigenti norme ambientali. Dopo lo scandalo dieselgate, Martin Winterkorn, l’indiscusso onnipotente boss del gruppo Volkswagen se n’è andato con una pensione annua milionaria assicurando candidamente fino all’ultimo di non aver mai potuto immaginare che sotto la sua direzione alcuni manager avessero potuto organizzare una truffa di così ampie e gravi dimensioni. Il software che equipaggiava i motori diesel truccati delle auto tedesche era così raffinato da essere in grado di riconoscere che l’auto si trovava su un rullo di prova, simulando così il rispetto delle vigenti norme ambientali, e di capire invece quando l’auto si trovava su strada dove era libero di passare ad una funzione reale e fortemente inquinante.
Il tutto senza che nessuno mai si accorgesse di nulla. Va anche ricordato che la trascrizione in grande scala di un simile astuto espediente è stata possibile soltanto perché tutta l’industria automobilistica tedesca ha sempre operato, di fatto, sin dalla fine della seconda guerra mondiale in un ferreo regime di cartello. Un sistema all’interno del quale BMW, Daimler e VW hanno sempre strettamente coordinato le loro politiche tecnologiche, commerciali e strategiche.
La Volkswagen di Wolfsburg, ma anche la Daimler di Stoccarda e la BMW di Monaco, sapevano esattamente di mentire quando presentavano le loro vetture diesel elogiandone le loro caratteristiche ambientali. Nessuna ha mai tradito l’altra e l’unica cosa che ancora continua a sorprendere è che ci sono voluti soltanto gli americani perché qualcuno finalmente scoprisse una truffa destinata a restare come la più grande nella storia dell’industria automobilistica mondiale. Per quanto riguarda le autorità di Bruxelles, alle quali i Paesi europei hanno affidato la responsabilità di gestire l’Unione Europea, esse non si sono mai accorte di nulla o hanno fatto finta di non accorgersene. Anche alcune ben precise“soffiate” non sono riuscite ad abbattere il muro di omertà della potente lobby tedesca. Col tempo la campagna pubblicitaria del “diesel pulito” è andata concentrandosi soprattutto negli Usa, un grande mercato che nutre un’avversione quasi atavica nei confronti del motore ad autoaccensione, fino a degenerare in una vera e propria lotta contro il rigore ambientalistico della commissione governativa californiana CARB (California Air Resources Board).
Per quanto riguarda l’Ue, a smorzare le richieste della Commissione di Bruxelles nel 2014 è intervenuta in un momento critico la cancelliera Merkel riuscendo con la sua autorità, allora del tutto ancora intatta, a far rinviare di qualche anno la decisione di abbassare il livello dell’inquinamento causato dai motori diesel. Una decisione importante per l’auto made in Germany che fino a qual momento era riuscita a superare tutti gli ostacoli. VW, Daimler e BMW erano allora ancora convinte (e forse in parte lo sono ancora oggi) che i tecnici tedeschi sarebbero riusciti nella difficile impresa di salvare il motore diesel, un aggregato efficiente fin che si vuole ma anche decisamente “sporco” con le sue forti emissioni di biossido di azoto (NO2).
Lo scandalo degli esperimenti con il motore diesel con scimmie ed esseri umani giunge, oltre a tutto, in un momento piuttosto difficile per la Germania. Secondo il CAR (Center Automotive Research) dell’Università di Duisburg-Essen almeno dieci grandi città tedesche, nelle quali la concentrazione del NO2 supera ormai stabilmente i limiti previsti dalla legge di 40 mg per metro quadro. Una decisione che i vari Tribunali comunali non potranno rinviare ancora a lungo considerazione delle statistiche delle molte morti premature causate dall’ossido azoto dei motori diesel, in media 100mila l’anno a livello mondiale, di cui circa 11mila in Germania.