Volano in Europa le city car della Fiat
Negli ultimi mesi le vendite delle piccole vetture Fiat sono andate benissimo e nel primo trimestre dell’anno Panda e 500 insieme si sono assicurate sui mercati europei una quota di mercato del 30,4% nel segmento delle city car. Un risultato importante e che sorprende soltanto chi ultimamente non aveva registrato con la dovuta attenzione l’aumentata presenza delle due piccole vetture Fiat sulle strade delle grandi città europee. Nel primo trimestre 2017 la Fiat 500 con oltre 55.100 unità è la vettura più venduta nel suo segmento e assicura così un decisivo contributo alla crescita della Fiat in Europa. Insieme con la Panda nel primo trimestre dell’anno garantisce alla marca torinese una crescita del 17,1% in un mercato continentale europeo (Ue più Efta, vale a dire Svizzera, Norvegia e Islanda) che complessivamente è aumentato soltanto del 10,9%, secondo i dati ufficiali forniti dall’Acea di Bruxelles, l’associazione europea dei costruttori automobilistici. C’è da aggiungere che a marzo tutti i cinque principali mercati europei registrano forti aumenti di vendite, addirittura a due cifre percentuali in Italia (18,2%), Spagna (12,6%) e Germania (11,4%) e dell’8,4% in Gran Bretagna e del 7% in Francia. I vari centri di analisi fanno a gara nell’interpretare le cause della crescita della domanda automobilistica, la quale senza dubbio ha a che vedere con i primi incoraggianti sintomi della crescita economica, ma anche con gli effetti di un’innovazione tecnologica dell’auto che reagisce così alla crisi del diesel e alle aumentate problematiche nella difesa dell’ambiente. Uno sviluppo che interessa in modo particolare l’industria automobilistica tedesca la quale fatica visibilmente a rinunciare al diesel, sinora il suo grande cavallo di battaglia. Per quanto riguarda i marchi della Fiat-Chrysler sono tutti in netta crescita e anche la prestigiosa Alfa Romeo non scherza con un tasso di crescita di 45 per cento.
Manca un grande alleato
Dopo la scomparsa di Giovanni Agnelli nel 2003 e circa un anno dopo quella di suo fratello Umberto, il gruppo automobilistico Fiat sarebbe di fatto sparito se non fosse arrivato Sergio Marchionne. Al manager italo-canadese riuscì di convincere il presidente americano Barack Obama a salvare la Fiat e farne insieme con la Chrysler, anch’essa in difficoltà, un gruppo unico: la Fiat-Chrysler-Automobiles (FCA). L’operazione ha avuto pieno successo e oggi la Fca è una ben delineata realtà multinazionale nel settore dell’auto impegnata in un mercato globale dove affronta concorrenti molto agguerriti e finanziariamente molto solidi. Marchionne, nei due anni che ha davanti ancora davanti a sé come amministratore delegato della Fca ha un obiettivo ben preciso, quello di un’alleanza con un gigante internazionale dell’auto. La preferita sarebbe l’americana General Motors oppure in alternativa il gruppo tedesco Volkswagen o la giapponese Toyota o magari anche uno dei tanti gruppi cinesi emergenti. La General Motors è già stata più volte interpellata da Marchionne ma senza successo. La Volkswagen aveva presentato la sua candidatura ma fu Marchionne a opporre un deciso “no” a Ferdinand Piech. Per quanto riguarda giapponesi e cinesi si sa che ci sono contatti ma non si hanno particolari. Sergio Marchionne ha, comunque, dimostrato di avere un grande talento nella scelta di alleati ed è chiaro che egli farà tutto il possibile per ottenere un risultato concreto entro i prossimi due anni.
Le tecniche ibride
Fino alla primavera del 2019 il manager italo-canadese dedicherà molte energie anche all’ulteriore messa a punto delle due piccole vetture di casa Fiat, la Panda e la 500. Due ottime piccole vetture che offrono sì pochi margini di guadagno ma che, come gli ultimi dati di vendita confermano, assicurano al gruppo Fca un’ottima immagine in considerazione dei problemi ambientali di cui l’opinione pubblica mondiale ha preso coscienza in seguito allo scandalo Volkswagen che ha decretato la fine dei piccoli motori diesel. Marchionne ritiene inevitabile il ricorso all’ibrido anche per la piccole Fiat, ma la questione non è tanto la tecnologia quanto quello di capire se il cliente sia disposto a pagare un forte prezzo di una auto ibrida di piccola cilindrata . Come è noto, si definiscono ibride le auto che utilizzano un sistema di un doppio propulsore, composto cioè da un motore termico (benzina o diesel) e da un motore elettrico. Il vantaggio di questi tipo di auto deriva da due fattori: da un maggior risparmio di carburante dovuto all’intervento del modulo elettrico, ma soprattutto dal fatto che nelle città le auto possono correre senza consumare benzina o diesel e quindi senza emettere sostanze nocive per l’ambiente, ossido di carbomio (CO2) pericoloso per il surriscaldamento del pianeta oppure, nel caso del diesel, ossido di azoto (Nox), molto dannoso per la salute degli abitanti delle grande città. Le batterie, generalmente sistemate sotto il pianale dell’auto, possono essere caricate o da una presa nel garage, oppure attraverso un meccanismo di ricarica a bordo dell’automobile.
Nel primo caso si parla di sistema “ibrido plug-in” che è poi anche il più costoso, mentre la seconda soluzione è più economica ma è anche quella che all’auto consente un grado di autonomia decisamente inferiore. Il fatto è che secondo Marchionne per un produttore di un numero piuttosto elevato di piccole vetture, come è il caso della Fiat, montare l’ibrido nella sua versione normale equivarrebbe a un suicidio e quindi si dovranno adottare altre soluzioni ancora più sofisticate, come per esempio il sistema a 48 Volt, in grado di assicurare una maggiore spinta al motore nelle ripartenze e in grado di recuperare energia nelle frenate e nelle decelerazione. Sarà un sistema che vedremo nelle nuove generazioni della Panda e della Fiat 500 in grado di rispettare le più severe norme antinquinamento con nuove tecniche di riduzione dei gas di scarico e che saranno presentate sul mercato a partire dal 2019.
Berlino, così si lamenta la Ue, sta ricorrendo a ogni possibile stratagemma pur di bloccare un inasprimento dei controlli dell’industria automobilistica in fatto di emissioni dannose, ignorando sia gli appelli del ministro federale Hendricks all’indirizzo delle marche tedesche a ridurre le emissioni dannose dei loro motori diesel di almeno della metà. Anche l’Ufficio federale dell’Ambiente (UBA) critica le forti emissioni di ossido di azoto (Nox). La norma Euro 6 di 80 milligrammi per chilometro viene rispettata nelle prove di laboratorio ma nei percorsi su strada la media delle emissioni arriva a superare i 500 milligrammi per chilometro.