L’ondata conservatrice si ferma a Parigi. Marie Le Pen non sfonda. Ma la parola d’ordine in Francia e altrove resta: protezionismo!
La valanga conservatrice, alcuni la chiamano populista, altri la chiamano di destra, non ha sfondato a Parigi. Con grande preoccupazione gli europeisti convinti hanno tremato fino alla chiusura della conta dei voti al primo turno alle elezioni presidenziali francesi del 23 aprile. Ovviamente, nessuno si aspettava la vittoria netta dell’uno o dell’altro candidato. Il ballottaggio è sempre scontato. La domanda era un’altra: chi sarà in testa al ballottaggio che si terrà il 5 maggio, quando questo giornale sarà già stampato e in mano ai suoi lettori? La risposta è stata netta. Non ha vinto la corsa Marie Le Pen del Front National. È arrivata sì al ballottaggio, ma con uno scarto di voti del 4% circa rispetto al suo avversario Emmanuel Macron, libero candidato, fuori dallo schieramento dei partiti e già ministro dell’Economia. Mentre questo giornale va in stampa, sono quindi solo certi i perdenti, che sono gli esponenti dei partiti tradizionale Francois Fillon, repubblicano, e Benoit Haamon socialista.
E ora possiamo entrare nel vivo dell’argomento di questo mese: cosa succede in Europa e nei Paesi vicini (ma anche in quelli lontani come gli Stati Uniti) con un ritorno ai gusti politici conservatori, di destra e di estrema destra. Ha cominciato la Gran Bretagna, fuori dall’Unione Europea. Poi la Turchia, tutti i poteri all’uomo forte, nel nome dell’orgoglio nazionale. Non parliamo degli Stati Uniti, dove hanno eletto un presidente dai modi bizzarri, protettore della nazione. Poi la Francia, con una barca di voti alla candidata anti europeista e protezionista. Ed ecco il termine adatto: protezionismo. Sembra proprio che tutti sentano l’esigenza di proteggersi. Gli inglesi hanno deciso di tagliare i ponti col continente per proteggersi dalle ingerenze europee negli affari di casa loro ma anche per proteggersi da un’invasione di estranei che, con la scusa del possesso di un passaporto europeo, avrebbero potuto occupare silenziosamente l’isola di Robin Hood.
Il Front National francese promette la protezione contro la minaccia interna fatta, sempre di estranei, che hanno il passaporto francese ma che in realtà appartengono a un esercito d’invasori con la scimitarra tra i denti. Gli americani parlano di muri per proteggersi da un’orda messicana vista come le termiti, che si mangiano le case di legno degli onesti coloni nelle praterie texane. La paura. Ecco cosa traspare, un diffuso senso di paura. Possibile mai che Paesi civili e progrediti, come quelli in cui si chiede sempre più una maggiore “ protezione”, non siano in grado di garantire la sicurezza ai propri cittadini con i mezzi democratici e con una buona dose di fiducia in se stessi? Sembra proprio di no. L’afflusso in massa dei rifugiati è stato affrontato in maniera maldestra da quasi tutti i governi composti dai partiti di stampo tradizionale.
Nel frattempo, la gente comune continua a leggere sui giornali che l’Europa è, tutto sommato, economicamente stabile (soprattutto la Germania) ma costata che da questa stabilità non ne ricava nulla e che, alla fine del mese, lo stipendio non basta. A pancia vuota, i concetti come la pace stabile in Europa, la fratellanza e l’unione nella diversità, hanno scarso effetto. E se, nel frattempo, si vedono girare di notte i “cosiddetti profughi”, che sono poi mantenuti con le pubbliche risorse, la pentola che già bolle, facilmente scoppia. E qui entrano in ballo i professionisti delle pentole a pressione. Quelli che in realtà non hanno una propria visione della società civile, ma si limitano a criticarla, offrendo una sola soluzione: alziamo i muri, stringiamoci a coorte, difendiamoci, proteggiamoci. Eppure attacchi interni, cioè il terrorismo in generale, non sono un fenomeno nuovo. Gli inglesi ricordano benissimo le bombe irlandesi, e gli italiani non hanno certo dimenticato le Brigate Rose e la mafia stragista Gli spagnoli hanno avuto sempre problemi con gli attentati baschi e i tedeschi non hanno dimenticato la RAF di Baader e Mainhof.
Forse una differenza tra quegli anni di piombo e i giorni nostri esiste e riguarda i mezzi di comunicazione. Mai come ora le notizie, vere o false che siano, si sono diffuse alla velocità della luce. SMS, WhatsApp, Twitter, Facebook e tutta questa roba si contraddistinguono con la velocità ma anche con sinteticità della comunicazione. Maniera sintetica, quindi breve e di conseguenza superficiale. Ora, chi ha fatto della paura il proprio cavallo di troia per entrare nell’animo dei cittadini (elettori) trae molto profitto dal modo di comunicare con frasi brevi, slogan, filmini di pochi secondi che servono non certo a informare ma solo ed esclusivamente a impressionare e spesso a impaurire.
I moderni mezzi di comunicazione favoriscono i protezionisti. È impossibile spiegare Voltaire e Rousseau in una sola frase (per altro sgrammaticata come vuole lo stile moderno) è però possibilissimo mettere in giro il filmino dell’arabo cattivo e che fa paura. Quella paura che non è mai stata buona consigliera ma che è stata sempre uno strumento ideale di esercizio del potere e di condizionamento sociale. Non resta che chiedersi come mai l’umana pietà non riesce a prendere il sopravvento sulla paura. Insomma, invece di prendere i mattoni e alzarci attorno dei muri per chiuderci in una prigione sicura, ma pur sempre una prigione, perché non ci abituiamo a capire che il mondo sta cambiando e che il concetto di benessere materiale va rivisto e deve tenere conto di una nuova voce di spesa: il sacrificio che si fa nel nome dell’umana solidarietà. Ecco: immaginiamo l’aumento della tassa sulla benzina. Tutti la accettiamo, di malumore, ma la accettiamo.
E se dovessimo pagare la “tassa dell’umana solidarietà” per premettere ai meno fortunati di potersi costruire un’esistenza dignitosa nei propri paesi? E se veramente ci unissimo per contrastare i dittatori infami che maltrattano intere popolazioni, stabilendo una volta e per tutti che sulla faccia della terra posto per despoti non deve più essercene? Ecco, è solo un sogno. Ma, nel frattempo, stiamo attenti perché rinchiusi dentro quattro mura, si vive veramente male, soprattutto se le mura s’innalzano nei cervelli e nei cuori della gente.