Non siamo lontani da Goethe, quando a Valmy nel 1792, di fronte alla vittoria dell’esercito rivoluzionario francese contro gli austroprussiani della prima coalizione, pronunziò una delle sue più famose dichiarazioni: da oggi inizia una nuova pagina nella storia del mondo. Purtroppo, Luigi Sturzo, poco più di un secolo fa, dovette rammentarla quando Benito Mussolini, nel celeberrimo discorso parlamentare del 3.1.1925, assunse le responsabilità politiche e storiche del Delitto Matteotti, dando la stura alla successiva legge fascistissime antidemocratiche che diedero di lì a poco alla fine dello Stato liberaldemocratico.
Se Goethe disse quelle parole inebriato di speranza sul futuro delle notevoli diseguaglianze del suo momento storico; non fu così per il pretino del sud che il 18 gennaio del 1919 aveva lanciato l’appello ai liberi e forti, il manifesto dell’impegno politico di un gruppo di cattolici democratici. L’ora era fondamentale: dopo una guerra disastrosa per l’Italia, con una classe dirigente a pezzi ed una crisi economica paurosa,dove nessuna famiglia Italiana era esente da lutti e da conseguenze di salute di almeno un componente, Luigi Sturzo, già convinto che un impegna sociale del mondo cattolico laico in politica doveva levarsi di dosso la catena ideologica del non expedit – non partecipare alla vita politica dell’Italia unita – e costituire piuttosto un partito politico di centro, né socialista, né liberale, cooperando alla sicurezza della patria, senza limiti ideologici, purché obbediente al messaggio cristiano di giustizia e libertà.
Un Partito Popolare a favore della libera concorrenza, dell’agricoltura moderna, contro il capitalismo industriale che aveva fortemente danneggiato l’economia meridionale, rivolto allo sviluppo del Sindacato, del lavoro e della piccola impresa, con un sistema bancario disponibile al credito al consumo, con un sistema amministrativo regionale e con l’ampliamento delle funzioni di governo locale, già già dotate di un marcato regime autonomista. Il proclama del 1919 – frutto della sua pregressa esperienza di sacerdote progressista e di politica locale nelle terre siciliane – faceva il paio con un progetto proposto dai cattolici tedeschi che da diversi decenni erano riusciti a conquistare la Renania settentrionale fin dall’età romantica, divenendo dopo il 1870 – anno della fondazione di un partito di Centro – un movimento politico nazionale, opponendosi a Bismarck ed all’imperatore Guglielmo II fino alla Prima Guerra Mondiale.
Il Zentrum, occupava nel parlamento imperiale una buona parte degli scranni, fronteggiava l’ideologia conservatrice neocolonialista e monopolista industriale; e dell’altra parte difendeva gli interessi dei contadini rispetto agli industriali guerrafondai ed alle masse socialiste a queste forze ormai asservite dietro la promessa , spesso non mantenuta, di sostanziali riforme sociali. Sopratutto, aveva un anima regionalista e popolare, primeggiando nelle campagne contro lo spirito mercantilista protestante,tutto votato al capitalismo industriale e di stampo militarista, ereditato dal paternalismo prussiano.
Tale cultura era prevalsa negli anni iniziali del ‚900 ed aveva trascinato l’impero tedesco nella Grande Guerra, malgrado lo scetticismo popolare, insufficiente a fermare l’espansionismo industriale. La disfatta della Germania, ridotta alla fame, non meno dolorante dell’Italia vittoriosa, era di palmare evidenza. Ed in quello stesso 1919, l’8 di agosto, nasceva la Repubblica di Weimar dalle ceneri dell’Impero, frutto dell’alleanza sociale fra liberali progressisti, il centro popolare ed i socialdemocratici ferocemente anticomunisti. Un altro prete di provincia, Clemens August von Galen, di famiglia nobile, appena quarantenne, legato al Zentrum cattolico, diveniva parroco a Berlino in una chiesa cattolica – San Matteo – circondata da comunità protestanti e socialiste, che dallo scontro fisico di quegli anni, passarono al più esasperato laicismo della Repubblica di Weimar, dissolutrice della coesione sociale che la Germania aveva conosciuto prima della guerra. Lo stesso era avvenuto per Luigi Sturzo, balzato dalla provincia contadina a Roma invasa da una forte corruzione morale favorita dai governi giolittiani, ormai in decadenza dopo l’interessante sperimentazione di una non belligeranza con le forze socialiste, troppo pretenziose di riforme sociali immediate, collaborazione che aveva ritardato i conflitti sociali che scoppieranno subito dopo la grande guerra.
Fino al 1925 von Galen stigmatizzò gli orrori del dopoguerra: attentati terroristici – come quello di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, capi del Partito Comunista; fino a quelli di Erzberger, un liberale cattolico, nonché la prima grande crisi economica del paese del 1921-1922, senza contare il putsch di Monaco del giovane Hitler. Conobbe e stimò per tutta la vita Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII, dal 1920 Nunzio apostolico in Germania ed insieme a lui concordò su come la cultura tedesca stesse deviando verso forme estreme di Paganesimo.
Intanto, Luigi Sturzo, attraverso il giornale romano Il popolo nuovo, egregiamente raggruppava attorno a sé forze popolari interclassiste, opponendosi alla vecchia classe liberale che con Nitti e Giolitti tentava di resistere alle violenze fasciste, movimento ormai legato al carro del partito Agrario e pronto a salire al potere sfruttando le incertezze dei socialisti e le ancora deboli coesioni fra i Popolari, tra i quali non mancava la tentazione di condividere il potere con Mussolini, le cui pretese si consideravano erroneamente temporanee.
Al Congresso di Torino del 1923, Sturzo insistette nel considerare il Fascismo antinomico al populismo cattolico ed alla democrazia. La scissione dei fautori popolari al governo fascista fu provocato del resto dal tentativo riuscito del Duce di accattivarsi le masse cattoliche a seguito del Concordato del 1929. Le gerarchie Vaticane invece cedettero alle promesse di chiudere in vantaggio la questione romana.
La campagna giornalistica, e poi subito poliziesca, contro il prete sinistrorso, produsse la sua fuga all’estero, dopo l’omicidio di Matteotti e l’attentato a Giovanni Amendola, cui seguiranno le leggi fascistissime del 1925-1926, il passaggio allo Stato Totalitario già preconizzato dallo stesso Sturzo. L’esilio americano – dopo Londra e Parigi – durò 22 anni, fin al 1946, durante il quale consolidò il suo pensiero sociologico di stampo cristiano sociale, peraltro legandosi a due esponenti laici come Einaudi e Salvemini, che lo ammirarono per le sue certezze di fede nella giustizia e nella carità.
Nello stesso periodo, Clemens von Galen, divenne vescovo di Münster, ma accettò con qualche dubbio il Concordato fra stato nazista e chiesa cattolica del 1933, giurando nelle mani di Göring fedeltà di cittadino, benché testimoniasse le sue perplessità alle varie vicende di prevaricazione del regime, che non solo pretendeva di approvare i docenti che il vescovo locale immetteva nelle scuole cattoliche, ma anche quando negava l’obiezione di coscienza degli studenti di teologia ad iscriversi alle SS.
La rottura con Rosenberg – teorico nazista – sulle origini del mito, che von Galen bocciò come una forma di neopaganesimo, senza contare l’adesione alla famosa enciclica Con viva preoccupazione di Pio XI, di massima avversione al Nazismo. Espresse poi roventi critiche sulla notte antiebraica dei Cristalli (9-10 novembre del 1938) e la relativa legislazione razziale rivolta alla deportazione ed allo sterminio del popolo ebraico.
Negli anni a venire von Galen divenne la bandiera della maggioranza silenziosa cattolica e non solo, tanto che si rifiutò energicamente ma pacificamente alla guerra nel 1939. In vari momenti del suo ultimo periodo di Vescovo, il popolo cattolico lo definì come il leone di Münster. Il 3 agosto del 1941, in un omelia affollatissima dichiarò apertamente come il nazismo fosse il campione dalla negazione del non uccidere; il 13 settembre del 1943 si prodigò a favore della popolazione di Münster bombardata violentemente dagli americani; per tutto il 1944 diffuse volantini delle sue omelie per tutta la Germania, accusando le gerarchie naziste, tanto che Goebbels a stento lo sottratte alle ire di Bormann.
Sopratutto nel maggio del 1945, si pronunziò favorevolmente per il riconoscimento delle colpe della Germania, ma ne spiegò le cause dovute alle fredde condotte dei paesi occidentali che a Monaco nel 1938 non seppero seriamente frenare le mire di Hitler. Morì improvvisamente nel 1946,per effetto di una malattia dovuta alle privazioni connesse al periodo di guerra. Nel 2005 Benedetto XVI, lo ha beatificato per la sua costante denunzia dei mali nazisti e della sua difesa del popolo tedesco, colpevole di aver accettato senza reagire quel maledetto regime oppressivo e per avere tollerato lo sterminio del popolo ebraico.
E Luigi Sturzo? Il suo essere ritornato in patria nel 1946 e l’avere ritrovato un movimento cattolico politico di maggioranza germinato dalla sua creatura, la Democrazia Cristiana, divenuta rapidamente maggioranza nel nuovo parlamento democratico costituzionale, non lo soddisfò a pieno. Il partitismo, lo statalismo e l’abuso del pubblico denaro, la corruzione presto riapparsa nei palazzi romani, la democrazia imperfetta, fu per lui quella che De Gaspari gli presentò nel 1948, motivando le sue critiche sul fatto che la nuova Italia aveva taciuto sulla sua teoria di inesorabile cancellazione completa di quel regime, misura drastica che avrebbe reso veramente libera e forte l’Italia repubblicana.
Morì quasi isolato nel 1959 e soltanto dal 2017 si attende la sua beatificazione, a dimostrazione della massima evangelica secondo cui nessuno è profeta in patria.