Conversazione con la scrittrice Cristina Caboni.

Cristina Caboni ha cominciato a scrivere poco più di dieci anni fa, ed è stato subito un successo: “mi sono resa conto che la scrittura era il modo in cui mi confrontavo, il modo in cui raggiungevo gli altri”. Il suo esordio letterario nel 2014 Il sentiero dei profumi, ha scalato le classifiche italiane ed estere. I suoi romanzi sono tradotti in inglese, spagnolo, francese, tedesco. È l’autrice più venduta nella classifica tedesca di narrativa italiana di Amazon. Lo scorso 22 ottobre è uscito in Italia il suo nuovo romanzo, La ragazza senza radici, il dodicesimo, poco dopo la Fiera del Libro di Francoforte dove è stata ospite del padiglione italiano. Cristina Caboni vive vicino a Cagliari, in Sardegna, con il marito e i tre figli dove si occupa anche dell’azienda apistica di famiglia. I suoi libri sono pubblicati in Italia da Garzanti e da Blanvalet in Germania. L’ultimo tradotto in tedesco: Der Zauber der Lagune (Blanvalet, 2024), La collana di cristallo, è ambientato nel mondo della scuola del vetro di Murano e ha per protagonista una giovane donna che la frequenta, non senza opposizione della famiglia. La ragazza senza radici uscirà in tedesco all’inizio del 2026.

Che cosa racconta La ragazza senza radici?

La ragazza senza radici è la storia di un’amicizia tra due donne, una giovane, Adeline Weber, che lavora come archivista al municipio di Nizza e un’anziana donna italiana, Miranda, di origini istriane, imprenditrice vinicola con una grande azienda a Sanremo. Mentre sta presenziando ad un concorso enologico ha l’impressione di vedere tra la folla un volto conosciuto e questo la riporta indietro nel tempo, scardinando tutte le sue certezze, perché immagina che possa essere suo figlio, quel figlio che, le avevano detto, era morto alla nascita. Dunque, questa donna cerca risposte e si reca all’ufficio anagrafe del municipio di Nizza dove incontra Adeline che l’aiuta. È un libro che parla di gesti gentili. Miranda, per ringraziarla di questa amicizia e assistenza, le invia una bottiglia di vino non comune, perché è stato affinato in fondo al mare. Le manda questa bottiglia ricoperta di conchiglie e questo vino avrà un effetto dirompente su Adeline perché cambierà la sua vita.

È Adeline la ragazza senza radici?

Sì, Adeline non ha mai conosciuto niente del suo passato perché è nata da un parto anonimo e dunque, nel momento in cui incontra Miranda, che sta invece disperatamente cercando notizie di suo figlio, rimane quasi folgorata. È una sofferenza comune: una donna senza passato, senza madre, e una madre senza figlio. Nasce un legame veramente forte e l’amicizia tra loro diventa così importante che traggono forza l’una dall’altra.

La ricerca di sé delle protagoniste e l’incontro casuale che può cambiare la vita sono temi ricorrenti nei tuoi libri. E in questo incontrarsi di Adeline a Miranda cambia l’idea di considerare le proprie radici?

Sì perché Adeline non ha le radici biologiche, però può scegliere, può costruirsene altre esattamente come le piante quando vengono sradicate e poi riescono a continuare la loro esistenza grazie a delle radici nuove.

Una persona può scegliere di costruire fitte relazioni che l’aiutano ad andare avanti.  

Ci sono dei modi e degli approcci all’esistenza umana, c’è quello con la famiglia e la forza della famiglia ti permette, attraverso gli antenati, di procedere con una certa forza e sostegno verso il futuro; c’è anche l’esistenza umana con l’assenza totale di questo supporto genealogico. Ne La ragazza senza radici c’è la ricostruzione, attraverso i contributi di donne che, attraverso gesti gentili, cercano di portare qualcosa di buono nella vita degli altri. Miranda è l’esempio di una donna-faro. Lei è figura di quella parte di umanità che, nonostante sia stata devastata dalle azioni del destino, lei profuga istriana, dunque le è stato confiscato tutto, i suoi genitori sono stati infoibati, scacciata da Capodistria, ha trovato accoglienza, in un altro luogo, in un piccolo borgo della Sardegna, vicino ad Alghero. Lì la comunità non solo l’ha accolta, ma si è anche premurata di fornirle gli strumenti spirituali, psicologici e anche e anche concreti per riprendere la sua vita e lei in quel modo è diventata da vittima passiva a donna forte, artefice del suo destino. Miranda è diventata luminosa, capace di estendere tutta questa sua energia benefica questa sua luce l’ha ereditata dalla sua benefattrice, una vecchietta che coltivava la vigna nella sabbia davanti al mare.

Adeline è una giovane donna molto provata. Scopre che il suo nome, Adeline Weber, è nato da un adempimento burocratico. Credo che non ci sia niente di più triste di questo. Noi portiamo un nome che è stato scelto con amore dai nostri genitori, dalle nostre famiglie. Per lei non è così. Quando ha consapevolezza di questo, si rende conto di essere sola e decide di diventare un elemento della società che la gente possa rispettare: si laurea, diventa un funzionario dell’amministrazione pubblica francese. Ha una casa, uno stipendio, ha un posto nel mondo, ma si distacca completamente dalle sue emozioni. Perché le sue emozioni le sono di intralcio, perché la fanno soffrire. Perciò quando riceve da Miranda il vino e lo beve, questo il vino la proietta violentemente nel suo io più profondo e la mettendola in contatto con la verità.

Le protagoniste dei suoi libri tessono genealogie femminili non solo familiari, sono linee di appartenenza fatte di scelte, di sorellanza, di affinità anche lontane nel tempo, come ne La collana di cristallo, fra la protagonista Juliet e Marietta Barovier, la prima vetraia, nel ‘400.

Ogni donna ha dentro di sé qualcosa di speciale, atavico ed è la capacità di unione, di unirsi e di condivisione, è qualcosa che a noi ha fatto sempre veramente bene. È una peculiarità di creazione non solo biologica. Per esempio, in Sardegna abbiamo il fillus de anima. Ne ha parlato Michela Murgia nel suo libro, Accabadora. È una sorta di maternità che nasce dall’anima. Tu diventi madre, diventi creatrice non perché hai messo fisicamente al mondo qualcuno, ma perché che te ne sei preso cura, perché gli hai consegnato tutta la tua sapienza, tutto ciò che tu avevi e che avresti comunque dato ai tuoi figli e invece lo dai a qualcheduno che scegli. È una maternità di scelta. C’è inoltre anche la capacità di empatia. E l’empatia ti porta alla tolleranza, alla condivisione.

Per me le donne sono come l’acqua che scivola sulle pietre, crea fessure e in queste fessure si infila, fino a trovare la strada che avevano deciso di percorrere e le raggiungono.

Ne La collana di cristallo, che hai citato, Marietta Barovier è una vetraia della fine del 1400 che, pur non avendo il permesso perché la Serenissima impediva alle donne di usare la canna da soffio, con molta pacatezza e con molta gentilezza, riesce a ottenere la patente di vetraia. Di queste donne è piena la storia. In Sardegna Grazia Deledda (premio Nobel per la letteratura nel 1926, la prima e unica italiana a riceverlo, n.d.r) ha parlato di donne come le canne al vento, si piegavano, ma non si spezzavano mai.

Anche lei non si è mai piegata, ha trovato il modo di raggiungere i suoi obiettivi. Penso che il mondo venga cambiato da persone come loro, che con pacatezza, con determinazione raggiungono gli obiettivi.

Ritorna in questa conversazione parola gentilezza. Che cos’è la gentilezza?

L’istintiva cura verso chi ci circonda e anche verso il luogo dove siamo; ma è anche prendersi la responsabilità di quello che accade intorno. Un gesto gentile non è mai un gesto sprecato. Oggi la gentilezza è considerata una debolezza, piangere è diventata una vergogna, la generosità è da sfigati. Tutte quelle virtù che ci rendevano umani sono diventate una barzelletta. Ecco, questo è una cosa devastante perché ci allontana dalla nostra umanità, dalle nostre relazioni. Noi possiamo avere la forza, trovare la forza solo nella nostra umanità.

Che cosa ti dà il lavoro con le api?

Appena si apre l’arnia la prima cosa che si fa è annusare, l’olfatto riprende il suo predominio sui sensi. Attraverso l’odore che sale dall’arnia, possiamo capire come sta la famiglia. Poi dobbiamo osservare le api, come si comportano.

Questo impone un modo di approcciarti anche a tutto il resto, non solo alle api, ossia quello dell’osservare. Osservare è capire. Se guardi la persona, ti rendi conto del linguaggio del corpo, di tutte le difficoltà che può avere, di quello che ti stai dicendo. La società delle api è altruista e non esiste altro che il benessere della colonia. Noi invece abbiamo perduto la concezione della collaborazione.

Di che cosa hanno bisogno le api in questo periodo?

Hanno bisogno di riposo fa un po’ più di freddo e stanno intorno alla regina. La stagione estiva è stata difficile perché l’escursione termica è stata pazzesca, con temperature folli, e dove è piovuto tantissimo ma raramente. E dunque i fiori non hanno potuto far sbocciare e le api sono entrate in una situazione di sofferenza. E adesso è arrivato il momento di riposare e di prepararsi alla primavera. La primavera è la speranza e noi non dobbiamo mai perdere la speranza che le persone si rendano conto di tutto quello che c’è di bello intorno a loro.