È sempre la stessa sensazione. Torni dalle vacanze in Italia e arrivi in Germania dove, nell’arco di poche ore, ti assale un diffuso senso di malessere. Il tassista tedesco non apre bocca per venti minuti. La cassiera tedesca ha la consistenza di un ectoplasma e al semaforo il tizio nella macchina accanto ha le sembianze di un manichino senza vita.
Ho descritto questa sensazione come “Depressione post Italia” che è comune in tutti i racconti che ci facciamo appena tornati dalla vacanza tipo “Germania – Italia, andata e ritorno”.
Ora, il ritorno di quest’anno è stranamente più deprimente del solito. All’Aldi, al Lidl o al Rewe facce ancora più tese, scaffali ancora più tristi. Tutto pare più fermo di prima. Tutto, l’economia, la ricchezza, la prosperità che compensava in questa società tutti gli altri deficit umani, psichici e sociali tipici della Grande, ma sempre deprimente, Germania.
Ora anche l’ultima allegria tedesca, quella economica, sembra sparita. L’economia tedesca si è fermata. Lo afferma con teutonica determinazione l’istituto di ricerca bavarese IFO (Information und Forschung). Il prodotto interno lordo (PIL), quella somma, cioè, dei beni e dei servizi finali prodotti da un Paese, in Germania non cresce più ed è fermo a quota zero.
Uno dei boss dell’IFO, Timo Wollmershäuser, non usa mezzi termini quando parla di depressione e di blocco dell’economia.
L’economista Wollmershäuser spiega anche le cause: “gli investimenti sono troppo scarsi, soprattutto nel settore manifatturiero, e la produttività è stagnante da anni”. Anche l’Unione Europea, che prima era trainata dalla Germania, ora sembra fungere da freno anche con la sua politica ambientale: “la decarbonizzazione, la digitalizzazione, il cambiamento demografico, la pandemia di coronavirus, lo shock dei prezzi dell’energia e il ruolo mutevole della Cina nell’economia globale stanno esercitando pressione sui modelli aziendali consolidati e costringendo le aziende ad adattare le loro strutture produttive”.
La conseguenza?
Depressione e non solo economica ma anche sociale. In Germania il denaro resta fermo nei depositi in banca e sotto i materassi poiché regna l’incertezza.
Il massimo del pubblico avvilimento lo raccontano televisione e giornali. Le ferrovie tedesche sono uno scatafascio, l’acquisto di macchine elettriche è stagnante, i tedeschi fabbricano armi per difendersi da potenziali invasori dall’Est e ora arrivano pure gli italiani, quelli che fino a dieci anni fa insieme con i greci erano i pezzenti dell’Europa, che vogliono comprare le banche tedesche! Più deprimente di così…
La depressione è, però, per definizione un termine psicologico, più che economico ma non mancano grossi cervelli che ci spiegano quanto la psicologia sia economia. È accertata l’influenza della stabilità economica sulla serenità della psiche umana. Quanto pesa la ristrettezza economica, la “recessione” del proprio Paese sulla felicità del singolo individuo? Parliamoci chiaro -e chiedo scusa subito a tutti i lettori tedeschi, amanti della Germania e ammiratori di questa grande società- ma se alla Germania togliete la potenza economica, il ruolo di leader nell’economia europea e mondiale, il ruolo di locomotiva della Unione Europea, che cosa rimane? Che cosa rimane se la felicità e l’emancipazione dell’essere sono definiti nel numero di Mercedes parcheggiate in garage?
Il pericolo della debolezza economica della Germania è nascosto nelle reazioni sociali che comporta.
Ma qualcuno è veramente convinto che il successo della destra politica estrema come la AFD poteva mai essere così netto in una situazione di crescita e di stabilità economica in Germania?
Qualcuno ha dimenticato cosa è successo negli anni Venti del secolo scorso quando un chilo di pane costava in Germania Milioni di Reichsmark a causa dell’inflazione? L’esigenza del Capo, del Condottiero (uomo o donna che sia) che offre soluzioni nette e coraggiose è una delle pericolose conseguenze di una depressione economica.
L’attuale Capo del Governo tedesco è certamente una persona onesta e intelligente come è certo che con intelligenza e onestà non si cambia l’umore di una società. Manca un elemento irrazionale, di natura mistica oppure -per restare in argomento- di natura psicologica e suggestiva.
È il discorso delle “lacrime e sangue” stile Churchill che propone una prospettiva basata sull’orgoglio da raggiungere e realizzare, però, solo a caro prezzo. Vedere i nostri amici tedeschi in stato di avvilimento stringe il cuore.
E viene voglia di dire “ragazzi, noi siamo da quarant’anni nei guai; eppure, non abbiamo perso la voglia di vivere”.
E da parte italiana un avvertimento: chi con toni enfatici annuncia che la crescita del PIL in Italia è superiore a quella tedesca, sia molto cauto. La crisi tedesca di oggi è la crisi italiana di domani e quando il commerciante Italia perderà il suo migliore cliente Germania, subito dopo dovrà chiudere i battenti e la crisi sarà anche nostra.