Nella foto: Angelica Sepe durante l'esibizione. Foto di ©Daniele Messina

L’Italia fa un bello spettacolo

Non è la prima volta che l’Italia viene invitata come ospite d’onore alla Fiera del Libro di Francoforte; c’era già stato un precedente molto importante. In quel passato lontano, oramai leggendario, in cui l’Italia era dominata dal CAF (Craxi-Andreotti-Forlani) e la politica italiana s’aggirava fra gli estinti dinopartiti democristiano, socialista e comunista, e Berlusconi non era ancora entrato in lotta per la sopravvivenza, ed i ghiacciai sovietici occupavano ancora mezza Europa, mentre non esistevano ancora né internet né i telefonini portatili… Correva l’anno del Signore 1988, ed in quella data così remota in Italia si vendevano circa 50 milioni di libri l’anno, mentre oggi se ne vendono ben 112 milioni. Chi se l’aspettava, allora, che l’editoria italiana diventasse la quarta in Europa? I grandi intellettuali di allora insistevano nelle loro foschissime profezie circa il futuro della cultura italiana, a meno che non sopraggiungesse a redimerla, la dittatura del proletariato.

La Fiera del Libro 2024 a Francoforte si è aperta il 15 ottobre scorso e chiusa il 20, con un afflusso di 230 mila visitatori in tutto. Si è quindi verificato un aumento di 15 mila visitatori rispetto al 2023, però è ancora troppo poco in confronto alle cifre anteriori al Covid.

Il programma ufficiale

„Radici nel futuro“ era il titolo ufficiale scelto dagli organizzatori italiani, con un marchio molto accattivante che sembrava ispirato alla vecchia canzonetta di Sergio Endrigo: sullo sfondo del cielo azzurro si stagliava un gigantesco fiore della specie zantedeschia (detta volgarmente calla), su cui stava comodamente seduto un lettore come su di una poltrona. Anche per fare il markrting ci vuole un fiore…

L’ambiente espositivo, situato all’ultimo piano del Forum 1, era stato ben pensato ma mal realizzato. L’idea era di riprodurre in scala una tipica piazza italiana calda ed accogliente, secondo le nostre tradizioni, sotto un cielo stellato. Il risultato concreto, però, è stato uno spazio rettangolare circondato per tre lati da un colonnato classico di color bianco-gesso, molto freddo, che faceva pensare piuttosto a una cripta mortuaria perché era troppo monumentale. Forse sarebbe stato meglio se si fossero ispirati alla pittura metafisica di De Chirico? Malgrado ciò, bisogna riconoscere che al suo interno i visitatori si sono comportati a loro agio, come in una vera piazza italiana.

Sul lato non monumentale di questa installazione dell’architetto milanese Stefano Boeri, c’era un palco con un grande schermo su cui venivano proiettate a ripetizione le immagini di piazze italiane tratte da celebri film del passato, come „Nuovo cinema paradiso“ o „Poveri ma belli“. A partire dal 16 ottobre, su quel palco avevano pure luogo incontri, discussioni, conferenze, e durante le pause artisti del folklore come Angelica Sepe cantavano appassionatamente la „Tammuriata nera“ o

„Funiculì funiculà“, ma niente „Bella ciao“. I primi relatori sono stati Susanna Tamaro (che va dove la porta il cuore) ed il grande fisico Carlo Rovelli (che va dove lo portano le equazioni). In tutto 91 autori e autrici italiani e italiane sono stati presentati al pubblico in oltre 50 eventi del programma letterario; inoltre si è svolto un programma professionale basato su 21 appuntamenti che ha fatto incontrare i protagonisti del mondo del libro italiano e internazionale, oltre ad altri 9 incontri organizzati dalle varie regioni italiane. Come se non bastasse, si sono svolti 11 dibattiti sull’attualità e i grandi temi della nostra epoca in cui si sono impegnati testimoni del nostro tempo. Uno di queste pubbliche discussioni è stata moderata dalla nostra vicecaporedattrice Paola Colombo.

Sul camminamento interno al colonnato si aprivano diversi ambienti, fra cui una seconda aula per le conferenze, un’esposizione dedicata alla Treccani, e un’altra particolrmente preziosa: un’area espositiva di reperti pompeiani, fra cui i celebri affreschi mitologici dal Museo Archeologico di Napoli. All’ingresso del padiglione poi si poteva gustare un’autentico caffé italiano, anche se ad un prezzo autenticamente tedesco.

Un secondo polo culturale era distaccato nel padiglione 5.0, dove erano radunate le singole case editrici italiane, come già negli anni precedenti, fra le colleghe spagnole, portoghesi, francesi ecc, e si può ben dire che vi facessero una bella figura. Abbiamo di nuovo incontrato i vecchi aficionados dalla Buchmesse, come le case editrici Adelphi, Sellerio, Laterza, Zanichelli, Feltrinelli, Mauri Spagnol, Neri Pozza, San Paolo… e l’immancabile scatolone (stavolta in nero) della Mondadori.

Sarà stato per scaramanzia, ma non abbiamo osato entrarci dentro.

Completamente aperta ai visitatori era invece l’area delle conferenze pubbliche annessa al Collettivo Italiano, consistente in due grandi spazi aperti condivisi da tante piccole case editrici che da sole non avrebbero potuto permettersi la spesa di un proprio stand. E grazie a ciò si poteva assistere a un pullulare di piccoli editori spesso insediati in località di provincia, che presentavano uno spettro molto ampio di argomenti peculiari, spesso d’importanza locale, ma non meno interessanti. Poco rappresentata, purtroppo, la branca dei libri d’arte. Faceva spicco la casa editrice Scripta Maneant, che sarebbe più appropriato chiamare „picta maneant“, la quale ha presentato un lussuoso volume su Artemisia Gentileschi pieno di bellissime ed accuratissime riproduzioni della grande ed infelice pittrice del barocco. Oltre ai soprannominati autori, molte altre celebrità della carta stampata si sono avvicendate sul palco, tra cui ricordiamo Alessandro Barbero, Alessandro Baricco, Gianrico Carofiglio, Dacia Maraini, Giuseppe Culicchia, Giordano Bruno Guerri, Rita Charbonnier, Pupi Avati, Paolo Rumiz, Claudio Magris, Erri De Luca, Guido Tonelli, Francesca Melandri, Milo Manara, oltre agli editori Antonio Sellerio, Giovanni Hoepli, Stefano Mauri, ed altri ancora.

Naturalmente mancava la più celebre fra gli autori italiani, l’inafferrabile Elena Ferrante.

Il controprogramma

Non sono mancati invece i grandi autori esclusi dal programma ufficiale, al secolo Paolo Giordano, Antonio Scurati e Roberto Saviano, tutti e tre ben lanciati nel mercato in lingua tedesca, e che, invitati dalle corrispettive case editrici, sono apparsi al pubblico della fiera come dei convitati di pietra.

Paolo Giordano, il fisico torinese autore della „Solitudine dei numeri primi“ è stato l’iniziatore di una lettera aperta degli scrittori italiani con 41 firme e indirizzata, fra l’altro, al direttore della Buchmesse Jürgen Boos. Intervistato pubblicamente nel Frankfurter Pavillon dell’Agora, ha dichiarato che la libera espressione delle opinioni viene punita nel nostro paese, è davvero così, non è un’impressione.

Saviano poi, ha vissuto un trionfo. Ha avuto due apparizioni sabato 19, il giorno di massima affluenza, prima alle 14 presso il suo editore tedesco, e poi sulla Literaturbühne delle reti televisive nazionali tedesche ARD, ZDF e 3Sat in una sala gigantesca gremita di ascoltatori fino alle scale. Ha presentato la traduzione tedesca del suo romanzo su Falcone, ma non ha trascurato di raccontare in un’intervista come l’attuale ministro della cultura italiano Giuli lo abbia definito „uno scrittore mediocre, un uomo antipatico con una vita infelice“; e poi ha domandato se un ministro della cultura tedesco si sia mai espresso così contro uno scrittore indesiderato.

Scurati, dal canto suo, ha rincarato la dose facendo ironia sul motto dell’Italia, auspicando che venissero sradicate certe radici che tuttora si affondano nel passato più infelice del nostro paese, e rivelando che il ministro Giuli ha fatto parte di associazioni neofasciste da cui non si è mai distanziato. „Sono stato trattato da nemico, come un cane“ si è lamentato davanti all’esterefatto pubblico tedesco che gremiva la sala, „sono stato attaccato personalmente, diffamato e censurato“. Ai magnifici tre si è aggiunta pure Francesca Melandri, che in verità era stata invitata, stava nel programma ufficiale, ma contemporaneamente si era defilata. Così facendo, i convitati di pietra sembravano suggerire implicitamente che tutte le decine di colleghi presentati nel programma ufficiale, o fossero degli opportunisti collaborazionisti d’un regime antidemocratico, oppure dei tonti incapaci di capire quello che capiscono soltanto loro. Ma purtroppo nessuno ha posto loro questa domanda. Molta stampa estera ha commentato che un casino del genere, alla Buchmesse, non s’era mai visto.