Attenzione: quest’articolo è pieno di luoghi comuni, pregiudizi, preconcetti e tutti i “pre” che vengono in mente. Chi ama la ponderatezza e la necessaria relativizzazione, politicamente corretta, di cose quotidiane e storiche non vada avanti. Smetta pure di leggere, ripieghi la pagina in quattro e l’appoggi nel fondo della gabbietta del pappagallo. E così, almeno, sarà servita a qualcosa.
Allora, mi spiego meglio: dovete sapere che, ultimamente, mi sento spesso con Flavio Pagano. E chi è? È un uomo importante. È spiegato dall’Enciclopedia Treccani e basta andare a guardare.
Avete visto? Anche se non siete andati a guardare, fidatevi di me. Ebbene, Pagano Flavio è pure un uomo di spirito e di una curiosità tipica delle persone intelligenti. Spesso la chiacchierata slitta in direzione “Ma dimmi, in Germania sono veramente così?”, “Ma è vero che all’Oktoberfest i tedeschi fanno questo e quello?”, “Ma i tedeschi apprezzano veramente l’Italia o è solo una questione di clima?” e via dicendo.
Quando, da parte mia, cerco di offrire un quadro abbastanza reale e frutto di cinquantacinque anni vissuti in questa parte dell’Europa, Flavio esordisce con un: ma perché non le scrivi queste cose? Le tue considerazioni si potrebbero intitolare “Italia-Germania, quattro a tre!”
Ringraziamo, pertanto, l’amico scrittore per l’utile sollecitazione, prendiamo la palla (da Berlusconi in poi, non si può dire “scendiamo in campo” senza impegnarsi troppo) e giochiamo la partita del secolo:
Primo tempo, 0-0. Da parte italiana, è impossibile pensare alla Germania senza la sensazione di una partita di calcio. La metafora ci azzecca perché si tratta da sempre di un rapporto gestito come una competizione pur se sottoposta a ferme regole, di solito segnata dal fair play, senza farsi troppo male ma, attenzione, lo scopo è sempre uno solo: battere l’avversario!
Sarà per la storia (invasioni barbariche, Federico Barbarossa, Enrico IV a piedi nudi, i film di guerra, e via dicendo) oppure per il taglio netto tra due zone climatiche (ogni volta che si passa il Gottardo da nord a sud sembra tutto più bello e radioso) o per il ceppo linguistico tagliato con il coltello a seghetto delle Alpi (il tedesco procura sempre irritazioni ai timpani mediterranei) che da sempre l’incontro Italia-Germania diventa spesso e volentieri uno scontro talvolta sottile, spesso frontale.
Italia-Germania, 1-0, ventesimo minuto. Da parte tedesca è impossibile non pensare all’Italia come luogo di irresistibile fascino e con un’attrazione forte come la calamita usata allo scasso per tirare su le automobili da rottamare. Attrazione e, allo stesso tempo, invidia, disagio e anche fastidio nei confronti di gente che guadagna meno, che ha una pessima sanità, che ha autostrade a pagamento e con il limite di velocità (per i tedeschi, limite di velocità e autostrade a pagamento equivalgono alla perdita di un organo utile alla procreazione) e che però sembra stare bene, con il florido aspetto di chi non si fa mancare nulla, tutti al mare con maschi e femmine che si corteggiano dalla mattina alla sera. I tedeschi si chiedono: ma come fanno questi a stare così? Questa tragica domanda rovina il fegato tedesco e per questo si beccano la prima rete. Uno a zero perché i tedeschi ci ammirano e fanno fatica ad ammetterlo, anche a sé stessi.
Italia-Germania, 1-1, quarantesimo minuto. Ecco il gol tedesco. Sì, ma uno di quei gol segnati senza estro, senza aver scartato quattro avversari, insomma tedesco appunto. Il che significa schematico, atletico, studiato a tavolino. Passaggio all’ala destra, cross al centro, colpo di testa e gol. Questa efficienza tedesca e questo raggiungere il traguardo senza apparente sforzo avviliscono molto gli italiani. Si aggiunge la smisurata stima che questo popolo gode in tutto un mondo che è bramoso di mettersi in casa un “Made in Germany”, che sia una lavatrice o un trapano elettrico. E poi, la gomitata nello stomaco dell’automobile tedesca. Ma per la miseria, facciamo le automobili più belle del mondo mentre di notte sogniamo di avere sotto casa una BMW! Nelle riunioni mondiali, parlano i tedeschi e tutti sembrano ascoltare con estrema attenzione. Parlano i nostri e mezza assemblea si alza per andare fare pipì. Merkel e Sarkozy si guardano in conferenza stampa dopo una domanda su Silvio Berlusconi. Scoppiano a ridere. La considerazione goduta dal popolo tedesco, e da noi vanamente ambita, porta al pareggio. Era inevitabile.
Germania-Italia 2-1, fine del primo tempo. Parliamoci chiaro, i nostri giocatori sono sensibili, hanno incassato una rete. Hanno bisogno di almeno cinque minuti per riprendersi, per scaricarsi dalla responsabilità di eventuali errori con lo sguardo verso l’allenatore e con il timore “Mannaggia la miseria, ora questo non mi convoca più!”. E, a proposito di responsabilità: Germania due, perché loro costringono alle dimissioni un ministro che in gioventù aveva scopiazzato qualche pagina nella sua tesi di laurea. Germania due, Italia uno perché per approvare una legge in Germania occorrono circa quattro settimane e ci chiediamo come sia possibile mentre da noi trascorrono spesso anni in un’infinita partita a pingpong. Camera, Senato, poi ancora Camera e ancora Senato, emendamenti, commissioni, svenimenti e qualche volta i parlamentari si mettono pure le mani addosso. I tedeschi annunciano al telegiornale: ennesima crisi di governo in Italia, si tratta del sessantottesimo governo dal dopoguerra… Il risolino dell’annunciatore televisivo è impercettibile, ma si vede ragazzi, si vede. La Germania va in vantaggio per un profondo senso di responsabilità (il termine “Schettino” è diventato un aggettivo), per la sua inflessibilità verso la classe dirigente e per una macchina politica funzionante.
Secondo tempo. Italia-Germania 2-2, quindicesimo minuto. I giocatori tornano in campo.E qui si capisce subito chi, tra i giocatori tedeschi, ha giocato per qualche stagione nella Serie A italiana. La pettinatura! Quelli che non giocano in Italia hanno i capelli sudaticci, appiccicati in faccia, quei capelli biondicci, fini, fini, avanti più corti, dietro più lunghi, basette che fanno piangere, barba sfolta e, qui e là, pure qualche brufolo. Guardate i nostri! Gigi Riva, una faccia da Ulisse scolpita nel basalto. Gianni Rivera, che dopo novanta minuti di campo non aveva un capello fuori posto. Conte, Tardelli, Rossi i campioni di Spagna 82. Madonna, che ragazzi! Lo avete capito che ci avviciniamo al pareggio, al pareggio raggiunto con la simpatia, il garbo e la bellezza maschile. Una mascolinità mai tracotante, sicura di sé ma non invadente e con una naturale facilità nel mettersi in relazione con l’altro sesso, senza aggressività, con simpatica insistenza e qui, parliamoci chiaro: il fegato del maschio tedesco (sempre il fegato tedesco) scoppia di fronte di questa leggerezza italiana mentre il nostro teutonico ha dovuto conquistare la sua donna con fatica, esibendo una solida posizione economica, professione eccellente, sicurezza e serietà. Una noia mortale. I tedeschi sono timidi, facilmente imbarazzati e non è vero che sono solo riservati. Andate pure all’Oktoberfest. Dopo qualche litro di birra ve ne accorgerete subito di come possano essere divertenti, simpatici e socievoli. Dopo due litri di birra però, questo è il carburante necessario per mettere in moto l’anima germanica. L’Italia pareggia quindi per una mascolinità simpatica, quella che riesce a non essere maschilista, stile Gianni Agnelli, Marcello Mastroianni, Ralf Vallone, Federico Fellini e un poco Principe De Curtis, in arte Totò.
Italia- Germania, 3-2, trentottesimo minuto, secondo tempo. L’Italia va in vantaggio con la capacità di non prendere troppo sul serio la politica. I tedeschi ci accusano di essere un popolo che alimenta una politica caotica, priva di chiarezza, troppo intrisa di interessi personali, insomma una specie di machiavellico Bunga-Bunga. E si capisce! Ma noi proprio da Machiavelli abbiamo imparato che politica e morale sono due cose distinte e separate. Non si possono applicare principi morali con i mezzi della politica, non si può esercitare la politica con gli strumenti della morale. Il terzo gol dell’Italia è segnato ogni volta che i politici tedeschi sbattono la faccia contro la Realpolitik. Quando il loro Cancelliere Kohl fu beccato con le mani nel sacco dei finanziamenti in nero al suo partito CDU, i tedeschi ne furono avviliti. Per loro il Kanzler è una sorta di entità superiore e morale. Quando il Kanzler imbrogliò, il senso di sbandamento colpì tutto il Parlamento tedesco. Anche l’opposizione. L’Italia va in vantaggio per lo spirito sano e disincantato con il quale osserva la politica, è in grado di cambiare opinione e non si ritiene mai, o quasi mai, detentrice di una verità assoluta.
Italia-Germania, 3-3, ottantesimo minuto, secondo tempo. Ed ecco il pareggio. La capacità di rialzarsi dei tedeschi impressiona gli italiani, lasciandoli a bocca aperta. Fine anni Cinquanta, nelle nostre città si vedevano ancora le buche dei bombardamenti. Allo stesso tempo, la Germania stipulava i primi contratti con l’Italia per il reclutamento di manodopera. Nel 1960 i tedeschi venivano a Rimini e a Riccione, lasciandovi carriole piene di marchi, la valuta più pregiata d’Europa. Un decennio prima, le donne tedesche rimuovevano milioni di metri cubi di macerie. Gli uomini sciancati appena tornati dalla guerra guidavano il tram con le stampelle e con un braccio solo. Che meraviglia, che meraviglia vedere il senso della comunità, il concetto di “Popolo” nel senso più sano della parola. Eh sì, perché i tedeschi si sanno muovere come popolo mentre noi, in fondo in fondo, stiamo ancora cercando l’unità d’Italia. Il problema è che, quando si muovono in massa nella direzione sbagliata è una tragedia immane. Ma, quando si muovono nella direzione giusta, lasciano il mondo a bocca aperta. E i nostri? I nostri fanno un piacere ai tedeschi e incassano una rete quando confrontano tutto il loro operato con quello della Germania. A cominciare dallo Spread, dagli urli in campagna elettorale contro la Germania che domina l’unione europea e che non ammette oscillazioni nei vari patti di stabilità fino all’immancabile “non ci piegheremo al Diktat tedesco”. La stabilità del nostro Governo è garantita, quando annuncia una crescita economica simile o superiore alla Germania. I tedeschi osservano, si divertono e pareggiano al momento in cui si accorgono di essere il metro di misura dell’italico destino.
Italia-Germania, 4-3, tempi supplementari. È fatta! Abbiamo vinto. Non potremmo mai raggiungere i tedeschi che hanno realizzato la riunificazione, anche economica, della Germania con uno sforzo e uno spirito di abnegazione mai visti al mondo. Non possiamo mai stare al passo con la curva dell’occupazione e della stabilità sociale. Continueremo ad invidiare un benessere nazionale trasversale da nord a sud in una nazione che si definisce come “Nazione” ed ha imparato, nel frattempo, a non essere nazionalista. E perché vinciamo allora? Vinciamo con un gol stile “Mano de Dios”, e che Dio abbia in Gloria Diego Armando nostro. Vinciamo con una carta che non si può copiare o produrre in fabbrica né rifare tale e quale con l’intelligenza artificiale. L’intelligenza, quella vera appunto, umana e sociale. Vinciamo con il senso del gusto. Vinciamo con la percezione palpabile dell’estetica. Che sia un ristorante, il cibo a tavola delle famiglie più modeste, l’abito portato con sapienza, i calzini lunghi filo di Scozia, una cravatta di Marinella, la facciata di un palazzo, tutto è gusto, estetica e bellezza. Anche quella che non si vede a prima vista come la roba di “Intimissimi”. La rete della vittoria segnata dalla nostra lingua che ti fa dire alla tua donna “sei la cosa più preziosa” mentre il tedesco è costretto a dire “du bist das Wertvollste”, con troppe consonati, parole tronche e così si ammoscia ogni sentimento. La rete della vittoria è segnata anche da Bruno Sacco che è stato il designer della Mercedes per oltre quarant’anni ed ha trasformato una specie di panzer senza cannone in un’autovettura elegante. La nostra vittoria è segnata dal nostro modo di abbracciarci e di baciarci, dal nostro essere carnali, nel senso napoletano della parola e che equivale ad affettuoso, premuroso e dolce. Sensualità, sentimento ed eleganza, ecco, vinciamo così, con tutte queste cose perché si portano dentro e non si possono comprare.