I viaggi di Johann Hermann von Riedesel
Alla scoperta della Sicilia
II barone J. H. Riedesel (1740 – 1785), futuro diplomatico della corte di Federico II di Prussia, rappresenta l’avanguardia dei viaggiatori che, nella seconda metà del ‘700, si muovono nei loro itinerari d’arte alla scoperta della Sicilia e delle vestigie della civiltà greca.
Pochi prima di lui si erano avventurati su quelle rotte. Perché era pericoloso, si prospettavano incursioni barbaresche, pestilenze e febbri maligne, agguati di briganti, alloggi di fortuna in casolari o conventi di frati. L’idea di un viaggio in Sicilia evocava immagini di briganti e predoni, di templi e di anfiteatri deserti, della furia eruttiva dell’Etna.
Ma forse era proprio questo alone di mistero e soprattutto il desiderio di scoprire una terra tanto diversa, ancora ferma alle testimonianze dell’età classica, che poteva indurre un viaggiatore colto del ‘700 a superare ogni rischio e disagio. Bisognava essere dei pionieri, come il barone J. H. Von Riedesel, che nella primavera del 1767, a 27 anni, progetta un viaggio in Sicilia e nella Magna Grecia.
L’incontro con Winckelmann
Il nobile rampollo, discendente da una nobile famiglia dell’Assia, anche per la piccola statura che gli precludeva la carriera militare, viene ben presto indirizzato verso gli studi classici e la carriera amministrativa, per la quale affronta viaggi di studio a Vienna, presso la Corte Imperiale, a Stoccarda, al servizio del duca Carl Eugen, in Francia e nell’ottobre del 1762 a Roma. E proprio a Roma ha l’incontro più importante della sua vita, quello con Winckelmann, a cui era stato raccomandato perché gli facesse da guida nella visita ai tesori d’arte della città. E lo studioso tedesco riconosce in lui una personalità ricca “di gusto e conoscenza, dallo spirito sciolto e fino”, al punto da farlo entrare nella cerchia ristretta dei suoi amici personali.
Anche dopo che il giovane sarà tornato in patria per riprendere la sua carriera diplomatica (agosto 1763), continuerà a mantenere i rapporti con lui e addirittura lo convincerà a tornare in Italia una seconda volta verso la fine del 1765, assicurandogli la sua assistenza e la sua compagnia. Ed assieme progettano un viaggio in Sicilia e nella Magna Grecia. Per il giovane barone si tratta di realizzare un sogno, visitare se non la Grecia, almeno la terra dove le testimonianze di quella civiltà sono le più ricche, in compagnia di uno dei più grandi studiosi del mondo greco.
Purtroppo Winckelmann non potrà seguirlo in Sicilia, perché impegnato nella stesura della sua opera “Monumenti antichi inediti”. E Riedesel ci andrà solo, guidato dai preziosi consigli dell’amico e dalla sua grande passione per tutto ciò che sa di classico, con l’impegno, però, di inviargli tappa dopo tappa i suoi appunti di viaggio.
Il viaggio in Sicilia, un sogno
Il giovane barone s’imbarca il primo marzo 1767 sullo sciabecco (veliero a tre alberi) del re di Napoli ”Santa Maria del Parco” verso la Sicilia. Dopo varie difficoltà approda a Palermo e comincia il suo sospirato viaggio per le città ed i siti archeologici dell’isola, assistito dalle lettere di presentazione procurate dall’amico, che aprono le porte di case nobiliari e di conventi cittadini.
Il 7 aprile è ad Agrigento e prova una grande emozione: “La città si trova a quattro miglia dal mare, sulla sommità di un monte su cui sorgeva l’antica acropoli greca. Se mai ho provato quel sentimento delizioso che una bella vista e una pregevole posizione sanno ispirare, è stato al mattino molto presto, gettando lo sguardo sulla campagna che si scorge dal convento degli Agostiniani dove ho preso alloggio”. È in quella città, cantata da Pindaro come “la più bella città dei mortali”, affascinato da quei famosi templi, che esprime il desiderio di passare là il resto della vita, “dimenticando tutti e da tutti dimenticato”.
Sempre ad Agrigento, nella cattedrale, resta incantato di fronte al sarcofago del fonte battesimale, di cui sa interpretare il vero soggetto del bassorilievo, che rappresenta il mito di Ippolito e Fedra. Come pure riesce ad individuare l’antico sito del teatro greco in un pendio coperto di vigne, dove si era trovato un muro spesso quindici palmi, che, secondo Riedesel, faceva parte della scena. La sua osservazione dei monumenti greci è così accurata da giungere alla misurazione puntuale del tempio di Giove, nella Valle dei Templi della città.
Winckelmann così commenta nella lettera del 2 giugno le notazioni inviate all’amico: “Dai soli appunti sul tempio di Girgenti capisco che Voi avete visto di più e più in profondità di chiunque altro”.
Accanto alla scoperta della Sicilia, Riedesel scopre anche i siciliani. E ci tiene a lodare l’innato senso di ospitalità della popolazione: “Amano ricevere gli stranieri e passare con loro piacevolmente il tempo”. Un tratto del carattere dei Siciliani lodato anche da altri viaggiatori, un po’ meravigliati di riscontrarlo in un popolo così chiuso e fiero.
Entusiasmi e delusioni
Di Siracusa, dove giunge il 26 aprile, coglie gli aspetti più contrastanti. Da un lato “il gran teatro dell’antica Siracusa, intagliato nella roccia, ed ancorché la scena ne sia distrutta, la sua grandezza, l’imponente maestà, che ispirano il rispetto e l’ammirazione. Io ho passato colla più grande soddisfazione due giorni interi ad esaminarlo, esso è uno dei colpi d’occhio più pittoreschi che abbia riscontrato in Sicilia”. Dall’altro lato la fonte Aretusa, ridotta “ad un pietoso lavatoio con acqua non più dolce, ma dal sapore salmastro”. Sarà questa la chiave di lettura adottata dal barone prussiano, rilevare il contrasto tra la memoria classica ed il presente degradato. Di Siracusa in particolare, a parte il tempio, resta deluso: “Nulla ritrovai nella Siracusa attuale che corrispondesse alle idee che richiamava questo nome nella mia immaginazione”. E questo suo giudizio, oltre al pericolo di una pestilenza, indurrà Goethe a non passare dalla città. Proverà gli stessi stati d’animo qualche giorno dopo, il primo maggio, nella scalata dell’Etna, durata 36 ore, accompagnato da Blasio, un contadino esperto del territorio, persona semplice e schietta, docile e leale, come in genere gli abitanti di Nicolosi. Dall’alto del vulcano Riedesel si entusiasma contemplando un paesaggio che non gli capiterà più di vedere nel corso del viaggio: “Qui, sulla cima di una delle montagne più alte del mondo, io ho goduto della veduta più estesa e più bella che sia possibile immaginare”. Ma insieme non può non lamentare lo stato dell’isola, “le splendide contrade ridotte a deserti, i tanti porti vuoti di navi, i molti uomini che non hanno pane, mentre i nobili ed il clero possiedono latifondi”.
Ma su tutto, i segni dell’antica civiltà
L’innegabile degrado non gli impedisce di vedere, con lente ellenizzante come osserva Giovanni Salmeri, nelle donne di Erice i profili autenticamente greci, nei cavalli osservati ad Agrigento i nobili destrieri cantati dai poeti antichi e nei pastori e nei contadini siciliani personaggi di Teocrito, poeta di Siracusa. Sarà anche per questo che gli appunti di viaggio di Riedesel pubblicati a Zurigo nel 1771 col titolo “Viaggio attraverso la Sicilia e la Magna Grecia”, sono tradotti in francese ed in inglese e diventano un indispensabile “baedeker” per tutti i visitatori della Sicilia, in particolare per Goethe, che, in una sua pagina di diario del 26 aprile 1787, alla vista della Valle dei Templi, commosso, va con il pensiero alla descrizione di quella stessa valle fatta da Riedesel dieci anni prima e riconosce in lui il suo maestro e la sua guida: “Riserbo e discrezione mì hanno impedito finora di nominare il mentore che guardo ed ascolto, alludo all’eccellente von Riedesel, il cui libriccino custodisco in seno come breviario o talismano. Ho sempre gradito specchiarmi in quelle personalità che posseggono ciò che manca alla mia e, nel caso in questione, un calmo proponimento, preparazione e conoscenza, intimo rapporto con un maestro impareggiabile come il Winckelmann. Possa quell’uomo egregio intuire in questo momento come un grato epigono celebri i suoi meriti, solitario nel solitario luogo che affascinò anche lui tanto da fargli desiderare di trascorrere qui i suoi giorni, dimentico di quelli che amò e da essi dimenticato”.
Con questo stesso spirito, così celebrato da Goethe, von Riedesel proseguirà il suo viaggio verso la Magna Grecia.