In morte di Martin Walser (1927-2023): un antieroe della scrittura
Mentre cercavamo di ritrovare il bandolo della matassa per illustrare al mondo di oggi la figura e l’opera di Hans Magnus Enzensberger (11.11.1929-24.11.2022); ecco che anche un altro quasi centenario, Martin Walser, viene a mancare, lasciando un ulteriore vuoto nella letteratura mondiale contemporanea, perché a detta di Elio Vittorini – uno che se intendeva di letteratura mondiale fino agli anni ‘60, come testimonia il suo Menabò al n. 9 del 1964 – le affinità letterarie europee erano la spia del boom economico e della contestazione, fenomeni sociali maturati nel primo periodo del secondo dopoguerra e pi scoppiati proprio nel decennio 1960-1970, non a caso gli anni di maggiore fulgore della letteratura tedesca successiva al tragico destino della Germania nazista.
Già nel nr. 7 critici letterari del calibro di Bocca, Calvino, Marguerite Duras, Jean Starobinski e Roland Barthes, avevano prefigurato cause e sviluppi del postneorealismo letterario degli anni ‘40, sviluppando un vivace rinnovamento linguistico e tematico che lo stesso Vittorini aveva espresso fin da Conversazione in Sicilia (1941) e poi nel Politecnico (1945-1947), primo esempio di rivista culturale del ‘900, postuma alle età del Totalitarismo, pienamente cosciente della letteratura del Welfare State e della rinascita economica nei Paesi mediterranei e nordeuropei pur sotto l’ombrello della Nato e all’ombra del Patto di Varsavia, la Guerra Fredda e il Muro di Berlino. Il manifesto di Vittorini e del giovane Calvino era quello di un nuovo linguaggio rivolto a capire le trasformazioni della società industriale da Ovest a Est, la ricerca di una letteratura universale già prefigurata da Goethe, Manzoni, Hugo e Dickens a metà ‘800.
Martin Walser
In Germania – peraltro già divisa in due fin dal 1945- uno degli autori che punti questo disagio esistenziale fu proprio Martin Walser. Dopo una gioventù impregnata dal Nazionalsocialismo – combatté a a 15 anni prima nella difesa antiaerea e poi contro i russi sulle rive del lago Bodensee, dove visse a lungo e dove è anche morto – si avvicina al circolo culturale Gruppo ‘47 di Monaco, un movimento culturale composto da giovani scrittori tedeschi a maggioranza di sinistra, ma con il giovane Marcel Reich-Ranicki di area liberale e cattolico, col quale Walser ebbe a discutere criticamente fin dai primi colloqui sul futuro politico del Paese. Tutti erano intenzionati alla rinascita di una cultura germanica alternativa alla ideologia nazista, intesa come parentesi all’interno di un consesso altissimo di molti autori eredi di Goethe e Schiller, i dioscuri del mondo teutonico calpestato e deriso dalle logiche autoritarie e antisemite. Un elenco di pensatori e scrittori immenso che a chi voglia leggerlo, per esempio sull’Enciclopedia Britannica, non possono non tremare i polsi. Ebbene, dopo una laurea in filosofia a Tubinga su Kafka nel 1951 – dissertazione che i cultori del genio praghese ancora citano come uno studio critico essenziale per la comprensione dell’autore del Processo – da una parte Walser contesta a Böll e a Grass una arrendevolezza al mondo occidentale che avrebbe corrotto lo spirito umanitario germanico; e dall’altra rompe con lo Reich-Ranicki di cui deplora il silenzio della nuova classe borghese sui mali del capitalismo americano impiantatosi nella Germania bavarese, dove il conformismo borghese aveva prodotto il Nazismo autoritario. Una prima area di opere lo si ha come autore di radiodrammi, come già la sua sodale Ingeborg Bachmann andava presentando nella Germania del Nord più aperta alla nuova letteratura.
Ottenne due lusinghieri premi letterari per la raccolta di racconti lunghi Ein Flugzeug über dem Haus und andere (L’aereo sulla casa), vale a dire il premio del gruppo ‘47 (1955) e il premio Hermann Hesse nel 1957. Poi vennero alla luce i radiodrammi predetti. E proprio negli anni ‘60/’70, la RAI li mette in rete, come primo approccio del suo pensiero. Aderendo allo spirito alienante della cultura dell’epoca europea: Sartre e Beckett trionfavano sul palcoscenico per un linguaggio oppositivo ed alternativo di forte estraneità, non lontano da Pirandello, Wilde e Brecht che lo avevano introdotto già negli anni antecedenti alla guerra. Walser insiste con stile e linguaggio molto incisivo sull’alienazione quotidiana, sulla incomunicabilità della coppia, sul duro conflitto generazionale fino allo scontro fra realtà e aspirazioni dell’uomo quotidiano. Una domenica interminabile (radiodramma del 1968), Der Schwarze Schwan (il Cigno nero) (1964) e Der Abstecher: Die Zimmerschlacht (la Scappatella), compaiono sul terzo canale radio con la supervisione del giovane Andrea Camilleri, chiamato dai vertici RAI dell’epoca ad introdurre nel nostro Paese in pieno boom economico il punto di vista critico sulla società dei consumi, proprio nella Germania occidentale, la Nazione europea che accoglieva il maggior numero di emigrati italiani, cui veniva propagandata un’età dell’oro spesso falsa e i cui modelli virtuosi – il cemento armato, i tavolini di cristallo, le corse sfrenate dei weekend nelle autostrade – nascondevano compromessi sul rispetto dell’autenticità dei valori umani.
Prendiamo invero uno dei migliori drammi – Eiche und Angora. Eine deutsche Chronik del 1961, che tanto piacque a Vittorini da pubblicarlo tradotto in italiano – Querce e conigli. Una cronaca tedesca – nel n. 9 del suo Menabò del 1966, poco prima di morire – dove il protagonista viene internato in un campo di concentramento perché creduto comunista e che a seguito di un sperimentazione sulla sua persona perderà la virilità, ma ritornerà libero da perfetto nazista. Ma il pover’uomo, dopo il 1945, ritornerà di nuovo allo stesso campo per essere denazificato e ridivenire comunista sotto la gestione sovietica. E poi passerà in un ospedale democratico per riacquisire la patente di cittadino della Germania federale dietro un ulteriore calvario di decomunistazione. Quasi un doppione delle analoghe vicende che un aderente al partito Fascista subirà in Italia nel 1945, dopo la Liberazione divenendo prima partigiano sinistrorso e poi un democristiano praticante, come ci racconta Brancati nel Vecchio con gli stivali (1946), oppure si vide al cinema nel film di Dino Risi Una vita difficile (1961) interpretato dall’indimenticabile Alberto Sordi. Solo che Walser abbinò in queste sue prime opere – cui aggiungiamo per completezza i tre romanzi Matrimoni a Philippsburg (1957), Dopo l’intervallo (1964) e L’Unicorno (1969) che lo resero famoso in Germania – anche per un linguaggio metaforico e frammentario che disorientava il lettore tradizionale, sconcertato per la tecnica linguistica apparentemente fuorviante e contraddittoria rispetto al tema. Il realismo magico del contenuto – appreso da Kafka e dall’ultimo Goethe – esprimeva piuttosto l’ambivalente motivo fantastico incastrato in un quadro concreto deprimente che sfociava appunto in uno stile espositivo irregolare, sconnesso solo in apparenza, come quando nei testi brechtiani vediamo decadere la logica ferrea del contesto sociale in una formula fiabesca.
Ci spieghiamo meglio se vediamo un verso di Walser per la Pasqua del 1968: Pasqua, un bel fogliettone di sangue e fiori, ma è Te che festeggiamo! Invece e del Golgota e di Verdun e di Auschwitz, questa volta è il turno di Huè (vale a dire del Vietnam, oppure Odessa oggi diremo, n.d.a.)….per dirla in breve, nessuno qui da Noi dice che insiste ad approvare questa guerra…. A ben vedere i racconti – per esempio Ein Flugzeug über dem Haus, che diede il titolo alla sua prima opera di successo incentrata sul conflitto fra generazioni e fra sessi, poi ripreso nel romanzo sui Matrimoni e sul radiodramma La scappatella or ora citato – guardavano a una tremenda rilettura dell’esistenza che tradiva l’essere autentico, dova la fortuna economica della Germania occidentale copriva il consenso al Nazismo ancora di fatto dominante. E’ il 1964, l’anno in cui fu ammesso come scrittore a seguire il secondo processo di Francoforte contro 22 imputati accusati di crimini commessi in quel campo di concentramento di Auschwitz fra il 1940 e il 1945. Qui a tenere un ruolo essenziale fu il procuratore Fritz Bauer, che com’è noto impose chiaramente a una Corte tedesca il dramma dell’Olocausto. Al di là del risultato finale del giudizio – concluso con miti sentenze e con sconti di pena che svilirono la portata dell’evento – quel processo influenzò il nostro scrittore.
Già vicino all’ideologia marxista per i frequenti contatti amichevoli col filosofo Ernst Bloch; Martin vide come fosse stata insufficiente la scelta dei giudici di Francoforte di non accettare l’accusa di Bauer che – come il nostro Falcone a Palermo nel 1988 – voleva intestare quel processo in forma collettiva. La teoria liberale soggettiva per l’attribuzione delle tremende responsabilità prevalse; si parlò di processo Mulka e mai di processo di Auschwitz. Del resto, l’impianto accusatorio imposto caso per caso e non collettivamente, non rispose ad un dibattimento efficace e produsse sentenze non particolarmente sentite nell’opinione pubblica che voleva piuttosto dimenticare. Ciò sembrò a Walser un evidente tentativo, in parte riuscito, di far cadere l’oblio su quel triste passato. Oblio che non investì Martin.
A quasi 40 anni l’età della sua protesta individuale era finita. Occorreva passare all’attacco. Fare l’antieroe e descrivere i dolori dell’uomo era stato necessario, ma non bastava. Come Sciascia, anche Walser scelse la strada della polemica sociale. Ma questa è un altra storia.