Don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans sulle attività dell’ong italiana in mare e in Libia per salvare vite
“Prima si salva, poi si discute” è la filosofia di Mediterranea la prima ong italiana nata nel 2018 per portare soccorso in mare con l’imbarcazione Mar Jonio (foto pag. 21). Mediterranea Saving Humans si occupa anche del soccorso in terra. Le cronache degli ultimi mesi hanno fatto emergere quanto la tragedia dei migranti cominci prima dell’imbarco, in Libia, in Tunisia con i respingimenti (la foto di qualche settimana fa della giovane donna con la sua bambina riverse senza vita nel deserto l’abbiamo ancora davanti agli occhi), le detenzioni in campi disumani, dove avvengono le più atroci torture. Di fronte a questo orrore l’Unione europea non volti lo sguardo altrove, quando sigla accordi con questi paesi. Parliamo ora di Mediterranea Saving Humans con don Mattia Ferrari, giovane prete, cappellano di bordo della ong e studente di scienze sociale con indirizzo di dottrina sociale della chiesa ed etica pubblica presso la Pontificia Università Gregoriana. Lo abbiamo raggiunto al telefono.
Come è arrivato a Mediterranea?
Mediterranea nasce nel 2018 da alcune realtà, prevalentemente dei centri sociali, ma con l’obiettivo di chiamare a raccolta tutta la società civile in questa missione. Sono stato coinvolto dai centri sociali bolognesi TBO e Làbas. Questo perché negli anni del seminario prestavo servizio il sabato e la domenica presso la parrocchia di sant’Antonio da Padova a Modena, una parrocchia molto vicina ai poveri e agli ultimi. All’epoca (2016), erano anni di grandi sbarchi, la parrocchia era diventata un punto di fraternità per molti, anche per i migranti. Nell’inverno 2017 un ragazzo di diciotto anni proveniente dal Gambia, richiedente asilo e di religione musulmana, ci telefona una sera dicendo di trovarsi nella stazione di Bologna dove aveva trovato un ragazzo, Youssufa, anche lui diciottenne del Gambia, richiedente asilo e completamente solo, senza casa. “Vorrei aiutare questo ragazzo ma da solo non so come fare, potete aiutarmi ad aiutarlo”. Le donne della parrocchia il giorno dopo vanno alla stazione di Bologna e mi portano con loro. Abbiamo conosciuto Youssufa e il problema era trovare posto per lui, perché era inverno e i centri di accoglienza erano strapieni. L’ultimo posto della lista a cui abbiamo bussato erano i centri sociali bolognesi Tpo e Làbas, per noi un altro mondo. Loro lo hanno accolto Youssufa, con loro è rinato, si è sentito amato, ha trovato una famiglia, perché la dignità si trova quando si è insieme. Io sono stato evangelizzato dal ragazzo musulmano della stazione, dalle donne della mia parrocchia e dai centri sociali bolognesi che, notoriamente, per la maggior parte, sono atei o agnostici. In questa vicenda c’è già in nuce lo spirito di Mediterranea; infatti un anno e mezzo dopo i ragazzi di TPO e Làbas mi dicono di aver concepito un sogno, il desiderio di fondare una piattaforma che chiami a raccolta tutta la società civile per andare insieme in mare a soccorrere le persone migranti. Mi chiedono di entrare nella piattaforma perché l’obiettivo non è di fare la nave di alcuni ma la nave di tutti e di coinvolgere anche la Chiesa in questa missione.
Dall’attività di soccorso in mare con la Mar Jonio Lei e il giornalista Nello Scavo avete raccontato nel libro “Pescatori di uomini”. Poi in un suo articolo apparso alcune settimane fa su La Stampa racconta dei respingimenti e delle violenze in Libia e in Tunisia. Che cos’è il movimento Refugees in Lybia e che cosa fa Mediterranea Saving Humans per sostenerlo?
A un certo punto la nostra azione si è estesa anche alla Libia perché siamo partiti fin da subito con l’idea che i protagonisti veri sono loro, sono i migranti, noi ci facciamo prossimi a loro, alla loro lotta e, quando nel 2021 è nato Refugees in Lybia, movimento di oltre 2.700 accampati davanti alle UNHCR (l’agenzia Onu per i rifuguiati) di Tripoli, ci hanno chiamati chiedendoci di supportarli, di aiutarli, abbiamo subito risposto di sì perché ci è sembrata la cosa più coerente con quello che Mediterranea è sempre stata. Quindi all’azione di ricerca e soccorso, di monitoraggio e denuncia per violazione dei diritti umani in mare si è affiancata questa azione di supporto e di sostegno in Libia. Siamo in contatto e lavoriamo con Refugees in Lybia e anche in occasione del vertice che c’è stato dei capi di stato a Roma (23 luglio, conferenza internazionale sull’emigrazione, n.d.r.), abbiamo organizzato con Refugees il controvertice per dare voce ai migranti.
Avete ottenuto qualcosa? C’è la possibilità di dialogare?
Siamo sempre pronti al dialogo ma la politica fa fatica a riconoscere la soggettività politica dei poveri, degli esclusi, degli ultimi, dei migranti che vengono sempre trattati come oggetto e mai come soggetto. Questo è un punto centrale sul quale insiste il Papa ed è ripreso anche nell’enciclica Fratelli tutti. Solo se si riconosce l’altro come soggetto è possibile la fraternità; ma fintanto che qualcuno è soggetto e l’altro è oggetto non c’è fraternità. La fraternità è fondamentale perché solo la fraternità incarnata può cambiare le cose, può cambiare il sistema e può portare a delle soluzioni. È difficile immaginare oggi una soluzione completa alla crisi migratoria; invece non è affatto difficile pensare alla via per trovare una soluzione. La via è molto facile ed è riconoscere la soggettività politica di tutti e quindi anche dei poveri, dei migranti e coinvolgerli come soggetti.
L’intervento di Mediterranea è stato fondamentale per liberare all’inizio di luglio 225 migranti detenuti a Ain Zara (sud di Tripoli). Che cosa era successo?
Sono stati liberati quelli che erano stati catturati e deportati nei lager di Ain Zara il 10 gennaio 2022. Che cosa era successo: i migranti avevano fatto un presidio rivolgendosi a tutte le autorità internazionali e Mediterranea era con loro per sostenere i loro appelli. Sono stati per noi giorni terribili, giorni di lotta, di angoscia e pieni di speranza perché questi migranti erano lì accampati, circondati dalle milizie. Ci sono state tre vittime, di cui una forse morta per un incidente, le altre due probabilmente assassinate. Noi eravamo costantemente in videochiamata con loro giorno e notte. Tiziano Schiena, di Mediterranea, è uno di quelli cha lavorato molto con Refugees in Lybia per aiutarli. L’unico leader mondiale che ha risposto ai loro appelli è stato papa Francesco. Per il resto, la politica, le istituzioni non hanno avuto il coraggio di riconoscere la soggettività di queste persone, li hanno ignorati. E così il 10 gennaio 2022 di notte le milizie del Dcim, il Dipartimento per il contrasto dell’immigrazione illegale, capitanate da Mohamed al-Khoja (aveva gestito la prigione di Tariq al-Sikka a Tripoli, teatro documentato di crimini orrendi sui migranti lì detenuti, n.d.r.), li hanno rastrellati, ne hanno deportato la gran parte nel lager di Ain Zara. Mohamed al-Khoja, nonostante sia indicato da tutti i report internazionali come boss della mafia libica, è ora direttore del Dcim, di quindici “lager”, finanziati dall’Unione europea. Ad Ain Zara sono successe due cose significative: la prima è che a un certo punto sono comparse immagini religiose, perché una parte di loro sono cattolici. Vantiamo una identità cristiana e respingiamo esseri umani che oltretutto sono cristiani e che nei lager pregano. Ora, come si faccia a definirsi cristiani nel momento in cui si sostengono queste politiche, dimostra veramente quanto il nostro comportamento sia non solo ipocrita ma sia offensivo dell’identità cristiana che proclamiamo. L’altra cosa che abbiamo subito è che un nostro amico si è suicidato perché non ne poteva più, non vedeva più speranza davanti ai suoi occhi. È stata una grande sofferenza per tutti noi. Poi sono continuate le trattative, un lavoro politico che Tiziano Schiena ha seguito più da vicino che me, e che alla fine ha portato al rilascio di questi migranti deportati. È stato un grande successo di Mediterranea Saving Humans, e di altre realtà che hanno collaborato con noi.
A proposito di mafia libica, don Mattia, Lei è stato minacciato in passato. Dopo la denuncia, le indagini erano state archiviate ma ora sono nuovamente aperte. A che punto sono?
Sono sotto tutela dalla parte delle forze dell’ordine e sotto vigilanza privata. In seguito alle minacce da un account twitter (ora X, n.d.r.) @RGowan facemmo denuncia; dopo un anno e due mesi il pm di Modena chiese l’archiviazione con una richiesta strana in cui diceva praticamente che il prete che non eserciti in modo tradizionale, cioè riservato e silenzioso, deve accettare queste minacce, omettendo completamente tutto il discorso della mafia libica. L’avvocato ha fatto ricorso e il gip (il giudice per le indagini preliminari) ha riaperto l’inchiesta: le indagini sono in corso perché c’è rilievo penale nell’attacco di @RGowan a don Mattia Ferrari. Nel frattempo il collettivo LJProject è riuscito a scoprire l’identità del gestore di quel profilo. Questo account pubblica dal 2017, dall’entrata in vigore degli accordi Italia-Libia, quasi quotidianamente, materiale per conto delle milizie libiche e, periodicamente, pubblica foto materiale top secret di apparati militari europei. Questo account ha fatto minacce nei miei confronti e nei confronti di Nello Scavo. Hanno scoperto che l’account è gestito da un certo Robert B., il cognome non l’hanno reso pubblico ma è stato consegnato alla procura e il ministro Nordio rispondendo a un’interrogazione parlamentare, lo ha rivelato. Il cognome è Brytan, si tratterebbe di un cittadino canadese che è stato giornalista e vice capo della guardia costiera canadese, che avrebbe lavorato come assistente di un europarlamentare tedesco e attualmente si troverebbe in Polonia. Questo personaggio avrebbe amicizie con i miliziani ed è un nome e cognome identici a quello del direttore dei servizi informatici dell’agenzia dei servizi informatici di Frontex, con accesso a tutta la documentazione militare segreta. È stato chiesto a Frontex se si tratti della stessa persona oppure di un caso di omonimia. È passato un anno e mezzo e Frontex non ha dato altra risposta che un “stiamo verificando”. Se si trattasse della stessa persona significa che persone di alto livello, che gestiscono documentazione militare europea top secret dell’Europa e di vari paesi, avrebbero rapporti strettissimi con i capi della mafia libica. Se così fosse, Frontex e l’Unione Europea dovrebbero rendere ragione.
Speriamo che si faccia chiarezza su questo. Un’altra domanda, don Mattia. Luca Casarini, di Mediterranea, è stato invitato da papa Francesco al sinodo a ottobre. Che significato ha questo invito?
Papa Francesco è veramente cristiano e ci tiene che in un evento importante come il sinodo dei vescovi che discuterà temi importantissimi per la Chiesa e per il mondo, sia presente anche Luca Casarini, perché lui e con lui, tutta Mediterranea Saving Humans, ama visceralmente. Mi spiego. Nel vangelo l’amore di Gesù non è un sentimentalismo astratto, il verbo splandizomai (σπλαγχνίζομαι) indica l’amore viscerale. Gesù ama con le viscere, per questo si fa prossimo, interviene davanti ai poveri, ai peccatori, alle moltitudini affamate. Nella parabola del buon samaritano, Gesù usa questo verbo in riferimento al buon samaritano, una persona che può essere considerata uno straniero, un eretico, uno che non ha la stessa fede. Il samaritano passando accanto all’uomo ferito, rispetto al sacerdote levita che passa davanti indifferente, vede e ha compassione. Il samaritano ama visceralmente per questo si fa prossimo, per questo crea una rete di solidarietà con l’albergatore e insieme salvano l’uomo ferito. Questo amore viscerale è quello che muove Luca Casarini. Se ad alcune persone non piacciono certe decisioni di papa Francesco, allora per coerenza non se la prendano con papa Francesco ma se la prendano con Gesù di Nazareth. Bergoglio non sta facendo altro che incarnare quello che oggi è e che è sempre stato l’insegnamento di Gesù.