Nella foto: Dachau, il discorso di apertura

29 aprile, giornata di commemorazione della liberazione del campo di concentramento di Dachau. Testimonianze di sopravvissuti e liberatori, raccolte da alcuni partecipanti all’incontro con loro

Come ogni anno la città di Dachau organizza la commemorazione della giornata della liberazione del campo di concentramento (29 aprile 1945) e invita sopravvissuti e liberatori, accompagnati dai loro familiari. “Educa te stesso”, è la frase che ci consegna Leslie Rosenthal, nato nel campo di concentramento di Dachau. Ascoltare le storie dei testimoni oculari, leggere i loro libri, per sapere e custodire la memoria è il suo invito, affinché gli esseri umani non ripetano in futuro queste atrocità nello stesso modo o in altri modi di disumanità. “Non siamo responsabili per ciò che è accaduto nel passato, siamo responsabili che non avvenga più adesso e nel futuro”, ha detto Tanja Jörgensen-Leuthner, del comune di Dachau (sotto). La preoccupazione che condividiamo con i sopravvissuti è mantenere la memoria storica e morale quando non ci saranno più. È una preoccupazione legittima in tempi in cui si dubita di tutto senza conoscere e con l’arroganza dell’ignoranza; in tempi in cui non mancano tentativi di riscrivere la storia, di manipolarla e persino ancora di negarla. L’appello di L. Rosenthal “educa te stesso” è allora l’antidoto a qualsiasi tentativo di relativizzare, di gettare discredito, di minimizzare l’Olocausto e di dimenticare tutte le sue vittime. Perché educare significa “trarre fuori” (dal latino e-ducere) la parte migliore di noi stessi. Abbiamo il dovere verso noi stessi di nutrire le nostre coscienze, tenerle vive e vigili. Educare noi e i nostri figli significa allora affinare le facoltà intellettive, morali, quelle dello spirito, in altre parole coltivare la nostra umanità per non confondere le nostre menti, perché non ci sia un “ma” o un “però” che annebbi la ragione e indurisca i cuori.

Quest’anno a incontrare i sopravvissuti e a dialogare con loro c’erano anche soci e amici dell’associazione di Monaco, Rinascita e.V. Valentina Fazio, presidente di Rinascita, ha raccolto le testimonianze che seguono e ha scritto le didascalie delle fotografie e racconta: “dopo le cerimonie nel campo di Dachau, ci siamo trasferiti nell’ostello Max-Mannheimer-Haus dove, con nostra sorpresa, ci è stato offerto il pranzo che abbiamo mangiato insieme ai sopravvissuti ed ai liberatori presenti e seduti ai tavoli insieme a noi. Tutto era molto semplice e sereno, intimo e tranquillo, nonostante le molte persone. Ci spostavamo da un tavolo all’altro, dapprima con una certa timidezza, per ascoltare i diretti protagonisti che raccontavano le loro storie con semplicità e fermezza, a volte sorridendo amaramente o commuovendosi ad alcuni ricordi, facendo commuovere anche noi e facendoci capire in modo ancora più drammaticamente chiaro l’orrore e l’assurdità dell’Olocausto.

Nelle didascalie riporto alcune conversazioni avute con loro personalmente. In questa occasione eravamo una quindicina di soci e una decina di ‘amici’ dell’associazione. Abbiamo constatato con piacere la presenza di giovani tra cui i figli adolescenti di due socie”.

Il discorso del liberatore Dan P. Dougherty, sergente maggiore.

Se chiedessi a qualsiasi veterano della 42esima o 45esima divisione di fanteria, che ha partecipato alla liberazione di Dachau il 29 aprile 1945, di riassumere in una parola la sua esperienza, senza aver bisogno di tempo per pensare, risponderebbe cadaveri. Quel giorno la comune esperienza fu quella di imbattersi in un lungo treno di vagoni merci e fare l’orribile scoperta che i vagoni contenevano cadaveri umani completamente emaciati, nient’altro che pelle e ossa, ancora con i resti delle loro uniformi a strisce.

Questa visione ha travolto i soldati e ti ricordo che si trattava di truppe di fanteria irriducibili abituate alla morte e alla distruzione, ma non c’era modo di prepararsi a quello che avremmo trovato a Dachau. Quello che incontrammo era il treno della morte di Buchenwald-Dachau ed era il teatro dell’orrore che si sarebbe svelato all’interno: mucchi di cadaveri nudi e un’area di reclusione con oltre 30.000 prigionieri scheletrici in tutti gli stadi possibili di malattia.

Oggi, mentre concludiamo la commemorazione del settantottesimo anniversario della liberazione, riconosciamo ancora una volta che Dachau incarnava la disumanità dell’uomo verso l’uomo; ma, nelle parole del sopravvissuto John Steiner, sopravvissuti e liberatori si sono riuniti in questa cerimonia commemorativa “in uno spirito di parentela che ci mantiene consapevoli di una delle ore più belle della nostra vita”.

Dan P. Dougherty, sergente maggiore

Le impressioni dei presenti alla commemorazione che hanno dialogato e pranzato con i sopravvissuti.

Marcus Vitolo: Ascoltare queste personalità forgiate da anni di orrore in giovane età è doloroso, impressionante, toccante e struggente. La forza della vita, del loro animo, la loro personale costituzione fisica hanno permesso loro di sopravvivere a un periodo senza speranza fatto di umiliazioni, paure, violenze, fame, sete, freddo e fatiche insensate. Liberati il 29 aprile 1945 hanno trovato la loro via di vita e, negli ultimi decenni, raccontano la loro storia alle giovani generazioni di oggi, affinché non dimentichino la fragilità della pace e delle strutture democratiche quando odio e violenza vogliono prendere il sopravvento.

Giuseppe Piscitello: Visitare Dachau è sempre un’esperienza toccante e sconvolgente; vedere di persona il luogo dove gli indicibili orrori dei campi di sterminio sono stati perpetrati, lascia un segno indelebile. Sono riuscito a stento a trattenere la commozione nel sentire la diretta testimonianza di Mario, un partigiano del Friuli che mi ha raccontato la sua personale e terribile esperienza vissuta a Dachau. L’ho abbracciato e ringraziato per averci donato una libertà che non ci meritiamo.

Pamela Marsotto: Sono passati 78 anni dalla fine dell’olocausto. Perché è successo? Perché chi sapeva ha scelto di ignorare? Come si può sopravvivere all’orrore? Cosa possiamo fare per fermare l’odio, il razzismo, le paure? Dobbiamo ricordare, ascoltare, aprire i nostri cuori e le nostre menti verso la diversità. Dobbiamo educare noi stessi e i giovani, condividere i valori della democrazia. Vogliamo credere nella bontà e resilienza dell’umanità. Facciamo domande e cerchiamo risposte… per non dimenticare.

Lara Galli: Non dimenticherò mai quanto ascoltato oggi da Leslie Rosenthal, nato nel campo di concentramento di Dachau. Il messaggio importante che Leslie ha dato a mia figlia, troppo giovane per avere sufficienti testimonianze dirette, è “leggi, informati, guarda film”. Da lui sono venuti anche suggerimenti di lettura: Geboren in KZ e The Escape Artist: The Man Who Broke Out of Auschwitz to Warn the World. Ho chiesto a Leslie cosa vorrebbe dire al mondo, ha risposto: “Educate yourself”.

Catena Licuria: È stato molto toccante incontrare i sopravvissuti, ma anche molto triste. Speriamo che non succeda mai più.

Monica Ivaldi: ho parlato con superstiti e liberatori del campo di concentramento di Dachau: un’emozione inaspettata. Ho potuto guardare in faccia quella storia atroce, sentirla dentro: non tanto per il contenuto dei loro racconti, quanto per la loro voce, i loro occhi velati dagli anni, il loro essere lì, anche con evidente fatica. La loro presenza fisica e quella dei familiari che li accompagnavano, ha modificato la mia percezione della “storia” in generale: non più solo narrazione preziosa di un passato da cui imparare, ma presenza interiore, viva e pulsante, attraverso la connessione con tutte le persone per cui quel passato è stato vita.

Carmela Cucco: A 78 anni dall’Olocausto ho parlato con un sopravvissuto del campo di Dachau, il signor Mario Candotto. Mi ha raccontato che è stato portato al campo nel giorno del suo diciottesimo compleanno. Come si può sopravvivere all’orrore? Cosa possiamo fare per fermare l’odio, le paure e il razzismo? Dobbiamo educare noi stessi e i giovani. Vogliamo credere nella bontà dell’umanità.

Alba Carafa: Giorgio, (di origine romena, nato nel campo di concentramento di Kaufering), Wolf Prensky, Joseph Alexander (che a novembre ha compiuto 100 anni. Joseph Alexander ha studiato a Roma e Firenze e per un po’ di anni è vissuto a Venezia), Leslie Rosenthal. Sembrano nomi della Schindler List, coloro che si sono salvati. Raccontare per non dimenticare, non dimenticare per non smettere di essere. Un numero che racconta la storia di atrocità commesse da folli. Nonostante queste testimonianze terribili e scioccanti, il genere umano continua imperterrito e stupidamente a commettere atrocità e massacri.

Laura Riva: Angoscia, sgomento, amore e gratitudine: ecco i sentimenti che ho provato sedendo allo stesso tavolo di un sopravvissuto.


Dachau, il campo di concentramento, gli internati italiani e la memoria

Ogni anno il comune di Dachau organizza in due diverse giornate la commemorazione dei morti durante la marce della morte e la giornata della liberazione del campo (29 aprile 1945). Ne parliamo con Tanja Jörgensen-Leuthner (nella foto), impiegata comunale per la città di Dachau, presso l’assessorato alla cultura, al turismo e alla storia contemporanea. Tanja Jörgensen-Leuthner è responsabile per i rapporti internazionali, i gemellaggi e la storia contemporanea.

Nella foto: Tanja Jörgensen-Leuthn

Com’è la risposta del pubblico alla commemorazione?

Ogni anno in cooperazione con il memoriale ex campo di concentramento, il C.I.D. (Comitato internazionale di Dachau), le associazioni, nonché le comunità religiose locali organizziamo la commemorazione delle morti durante le marce di evacuazione, che si svolge sempre il sabato prima della festa della liberazione del campo di concentramento di Dachau. Vengono invitati a parlare sopravvissuti alle marce della morte (quest’anno Abba Naor), storici e giovani che fanno una dichiarazione sull’importanza della memoria. Quest’anno erano presenti circa 150 persone,

Nel giorno che commemora la liberazione del campo di concentramento di Dachau, dopo la deposizione delle corone commemorative al memoriale internazionale, il comune di Dachau invita da tutto il mondo alcuni sopravvissuti per rendere testimonianza. Loro parlano poi con il pubblico presente. Non ci sono domande preparate o discorsi, ma un incontro fra persone. Come si esce da questo incontro?

Dopo questi incontri ci si sente da una parte fortemente arricchiti della positività e della bontà d’animo di queste persone che hanno toccato con mano l’inferno, ma dall’altra parte anche sconfortati da quelle realtà politiche e sociali che tendono a negare o a relativizzare l’atrocità dell’Olocausto.

Ogni anno che passa fa aumentare la consapevolezza che fra pochi anni non ci saranno più testimoni oculari. Come si può secondo Lei preservare la memoria?

Assumendosi la responsabilità di portare avanti le loro testimonianze, perché se è vero che non siamo responsabili per ciò che è accaduto nel passato, siamo responsabili che non avvenga più adesso e nel futuro.

Lei è anche guida in lingua italiana nel campo di concentramento di Dachau. Vengono molte scolaresche dall’Italia. Come sono i giovani? Che domande fanno?

I ragazzi vogliono capire, sono molto interessati. Certo il lavoro preliminare lo fanno gli insegnanti che li preparano alla visita. I ragazzi devono capire che come è stato possibile allora, potrebbe essere di nuovo possibile, bisogna mostrare coraggio civile e imparare a essere solidali, tolleranti ed empatici.

Nel campo di Dachau c’erano anche internati italiani? C’erano ebrei italiani e anche soldati italiani? Come sono rientrati in Italia dopo la liberazione del campo?

A Dachau sono stati registrati più di 9.500 prigionieri italiani, la maggior parte erano IMI (internati militari italiani) arrivati dopo l’8 settembre del 1943. Vi erano anche degli ebrei come ad esempio Enzo Sereni. Gli italiani sono stati tra gli ultimi a rientrare dopo la liberazione del 29. Aprile 1945. La Santa Sede si occupò della logistica e del trasporto.


L’associazione Rinascita e.V. di Monaco di Baviera

Valentina Fazio è presidente dell’associazione Rinascita e.V. Quali sono le attività che l’associazione organizza e promuove?

Rinascita realizza progetti e manifestazioni a carattere sociale, culturale, informativo e ricreativo. Organizziamo visite ai musei della città, conferenze a tema sociale, storico e culturale. Organizziamo eventi per gli anziani italiani, per dar loro la possibilità di conoscere coetanei e sfuggire un poco dalla solitudine. Cerchiamo di partecipare agli eventi importanti della città, come quello di Dachau, in collaborazione con le istituzioni locali, italiane e non. Supportiamo anche altre realtà nelle loro attività quando queste sono ispirate ai nostri stessi principi. Un altro aspetto secondo me molto importante è quello della collaborazione con altre associazioni, italiane e non, sul territorio, intento che rinascita porta avanti con decisione nella speranza di aggregare quante più persone possibile per realizzare progetti ancora più grandi ed importanti. Molto importante è anche la rivista “rinascita flash”, il nostro bimestrale, che si avvale della collaborazione volontaria di iscritti e simpatizzanti.

Nella foto: Valentina Fazio

L’associazionismo di italiani in Germania non vive i suoi anni migliori e, dopo l’isolamento a cui ci ha costretto la pandemia, le attività di associazioni e gruppi riprendono con fatica e apatia. Come sta andando Rinascita?

Sono presidente da un anno ma faccio parte dell’associazione dal 2013. Anche se percepisco che l’associazionismo stia attraversando un periodo di cambiamento dovuto in parte ai cambiamenti storico-tecnologici ed in parte anche alla pandemia, sono tuttavia del parere che non stia scomparendo. Per quanto ci riguarda, ad esempio, durante la pandemia siamo riusciti ad organizzare vari eventi online e a mantenere il contatto e l’interesse sia dei nostri soci che di “amici”, anzi, negli ultimi mesi abbiamo addirittura incrementato il numero degli iscritti di circa il 40%. Le associazioni, per continuare ad esistere, devono rimanere al passo con i tempi, quindi non solo non possono “fermarsi” di fronte ai cambiamenti storici e tecnologici, ma devono anche adattarsi ad essi, perché solo così, secondo me, si può continuare sia a motivare i soci consolidati che ad attirarne di nuovi. Tante sono le persone con idee che vorrebbero realizzare e bisogna dar loro spazio e mezzi per farlo.

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