J. Winckelmann e le sue vicende romane
E non è tanto la Roma del ‘700, quella che intende Winckelmann, ma la Roma Eterna, lo scrigno di tanti tesori di arte antica, il faro che illumina l’orizzonte culturale del secolo.
Per la verità, nelle prime settimane del suo soggiorno romano, lo studioso tedesco deve accontentarsi di modeste locande e di giri a vuoto per la città, senza vedere “neppure una biblioteca”, cosa per lui inconcepibile, preoccupato di ripararsi dalle piogge frequenti, con uno strano “arnese”, un grande ombrello.
Solo a gennaio 1756 va ad abitare con altri pittori stranieri nel palazzetto Zuccari a Trinità dei Monti, purtroppo lontana “una mezz’ora di cammino” dal Campidoglio e dalla Biblioteca dei Principi Corsini, “le Accademie che frequento quasi ogni giorno”. Per sua grande fortuna l’abitazione si trova “proprio di fronte alla casa del Mengs, in via Sistina 72”.
Anche se provenienti da formazioni ed esperienze molto diverse, Winckelmann di undici anni più anziano, solitario e riservato, poco abituato alla vita sociale, a corto di mezzi economici, e Mengs, al contrario, circondato da una numerosa famiglia, al culmine della sua carriera artistica, riconosciuto come il Raffaello tedesco, quindi ricco e frequentatore di nobili ed intellettuali, hanno alcuni tratti in comune, come la provenienza da Dresda e dalla corte sassone, la conversione al cattolicesimo, il forte legame con la Germania, pur preferendo di vivere a Roma, il taglio pedagogico e didattico dei loro interventi culturali.
“Le nostre discussioni hanno come unico oggetto l’arte e tra noi parliamo sempre italiano”, scrive Winckelmann in una lettera ad un amico. “Ho bisogno dell’esperienza del sig. Mengs, abbiamo già fatto molti progetti insieme”. Ed è già un’altra vita: “Vestito senza camicia e senza spada, vado a pranzo al Campidoglio, a Campo Vaccino (area dell’antico Foro Romano), alla Villa de’ Medici e da Mengs”. Accompagnato dal conterraneo può accedere alle principali collezioni romane, approfondire la comprensione delle opere antiche ed elaborare i principi della sua estetica. Ma è in particolare l’incontro con il cardinal Albani a segnare la vita dei due amici e sodali.
Alessandro Albani, porporato, generoso committente e magnifico anfitrione
“È un uomo, che ai grandi talenti riunisce il carattere più amabile che io conosca. Egli ha più di settanta anni, ma la sua testa è quella d’un uomo di sessanta ed egli fabbrica come se fosse sicuro di vivere ancora vent’anni”. Così Winckelmann presenta il suo massimo sponsor in Roma, che nel 1758 gli affida la cura della sua biblioteca e delle sue raccolte di antichità.
Nella Roma del ‘700 il cardinale Alessandro Albani, nipote di papa Clemente XI (1649-1721), brilla per le sue tante passioni, come protettore di artisti ed antiquari, collezionista senza eguali di opere antiche, bibliofilo raffinato, abile uomo politico, amante dei cibi, dei vini e di uno stile di vita sfarzoso. Progetta e si fa costruire dal 1756 al 1763, con la complicità di Winckelmann, una grandiosa villa sulla via Salaria, concepita per ospitare le sue ricche collezioni di antichità e per diventare teatro di tanti incontri con importanti artisti e personalità della scena europea del tempo. I sempre più abbondanti reperti, che il cardinale riesce a procurarsi in vario modo dai tanti scavi attivi a Roma e non solo, vengono distribuiti anche nel portico e lungo i viali del parco, a costituire una specie di museo privato.
Particolarmente ricordato è l’arrivo dal porto di Livorno di nove casse, contenenti quattro urne etrusche con vari frammenti archeologici, affidati agli studi accurati del Winckelmann.
Per coronare il ciclo di affreschi della villa, l’Albani fa dipingere al Mengs la volta della galleria, raffigurando, ad imitazione dell’omonimo affresco di Raffaello nelle Stanze Vaticane, “Il Parnaso”, che diventa quasi un manifesto dell’estetica di Winckelmann, secondo la quale l’imitazione degli antichi è funzionale alla creazione di un’arte nuova.
Tanti sono i progetti e tante le committenze promosse dal cardinale, anche al di là delle sue possibilità economiche, per cui periodicamente deve ricorrere alla vendita di parte delle sue raccolte. Costituisce una sua cerchia di intellettuali, artisti, diplomatici, uomini di potere, sostenuti con favori e raccomandazioni, che risulta fondamentale per Winckelmann per stringere amicizie e rapporti e per diffondere le sue idee.
Le varie cariche ed incombenze del cardinale lo portano ad accogliere tanti viaggiatori, provenienti dai domini asburgici e dai territori dell’Impero, che fanno sosta a Roma, mossi dalle motivazioni più disparate, appartenenti ad ordini religiosi, notabili al servizio di regnanti, giovani aristocratici in corso di formazione, turisti del grand tour, dimostrandosi sempre pronto ad incontrarli, ad ospitarli e ad organizzare sontuosi banchetti nelle sue ville romane.
Villa Albani, Winckelmann e gli ospiti illustri
Tra gli altri singolare è stato il rapporto con il barone Anton Ulrich von Heyderstett, convertito al cattolicesimo e trasferitosi a Roma, dove rimane per un anno a spese del cardinale. Al momento del suo ritorno in Germania, il barone ha l’ardire di chiedere un ulteriore sostegno economico, a cui il cardinale, esasperato, risponde a dure lettere: “Di cattivi cristiani come siete voi la religione cattolica non ha affatto bisogno e voi stesso risponderete a Dio della vostra malvagia condotta”.
Molto più cortese ed affabile si dimostra verso la maggioranza degli altri ospiti, per accogliere i quali ricorre spesso all’aiuto di Winckelmann.
Così capita con Frederick Ludwig Moltke, figlio di un potente ministro di Stato della corte di Copenaghen, che resta in contatto epistolare con lo studioso tedesco anche dopo la sua partenza da Roma. Ed ancora con il fratello della regina d’Inghilterra Carlotta Sofia, duca Georg August zu Mecklenburg-Strelitz, che entra nella cerchia albaniana e resta nella capitale per otto mesi, affidato alle cure di Winckelmann. A lui vengono affidati nello stesso periodo anche i principi Leopoldo Federico e Giovanni Giorgio d’Anhalt Dessau, appassionati di arte e di antichità ed avveduti acquirenti di reperti antichi.
Nel 1776, tra gli altri incontri di prestigio, si ricorda l’arrivo del principe Karl Wilhelm Ferdinand von Braunschweig, accompagnato da un vasto seguito. E sarà Winckelmann ad accompagnarlo nelle visite ai monumenti romani, ormai richiesto come guida personale dagli ospiti più illustri, come Edoardo Augusto, duca di York e fratello di re Giorgio III, che viene onorato dall’Albani con un sontuoso ricevimento nella villa sulla Salaria. Una visita, la sua, che desta un grande interesse nelle cancellerie europee, a cui l’Albani invia resoconti dettagliati sugli spostamenti del giovane rampollo di sangue reale.
“Non si può parlare di arte lontano dall’arte”
Oramai lo studioso tedesco ha messo a punto la sua visione dell’arte, che ama far conoscere con intento didattico-pedagogico sia direttamente guidando i visitatori alla scoperta delle bellezze artistiche romane, sia scrivendo manuali come la “Storia dell’arte nell’antichità”, a cui si dedica fin dal 1756 e che uscirà nel 1764 con larga risonanza in tutta Europa. Riconosce il ruolo centrale che l’arte ha avuto nella storia delle civiltà, sempre tesa alla ricerca del bello ideale, che dovrebbe essere il fine di ogni artista e che ha trovato espressione massima nelle opere d’arte antiche ed in particolare nella scultura greca. La civiltà greca è, secondo Winckelmann, esemplare per l’etica superiore, per il sistema politico fondato sulla libertà, per la diffusione della cultura, per lo stretto contatto tra uomo e natura, per il clima favorevole di un’eterna primavera. Solo i Greci hanno saputo definire un ideale di bellezza, come armonica fusione di corpo e spirito, nobile dominio delle passioni, e creare capolavori che, secondo la sua celebre definizione, “sono espressione di nobile semplicità e di serena grandezza”.
Di conseguenza l’imitazione degli antichi è il mezzo più efficace per raggiungere la perfezione e creare un’arte nuova. E per questo risultano fondamentali l’esame diretto delle opere e il contatto con l’antico, per apprezzare il grado in cui un’opera d’arte è riuscita a rappresentare simbolicamente un’idea, per scoprire “ l’essenza dell’arte”.