Conferenza presso il Kunstverein di Francoforte
Atterrata a Francoforte nel pomeriggio, alle 18:30 in punto l’ottantaseienne Dacia Maraini si è presentata al pubblico italiano tutta fresca e pimpante per tenere una conferenza di due ore con presentazione del suo ultimo libro intitolato semplicemente „Trio“. Dopodiché, invitata a cena con il console di Francoforte Samà e con la direttrice del Frankfurter Kunstverein Franziska Nori, ha meravigliato i commensali dando prova di vivacità e presenza di spirito fino alle ore piccole.
Sospettiamo che ci sia qualcosa di autobiografico nel titolo del suo romanzo „La lunga vita di Marianna Ucrìa“.
Teniamoci cari questi rappresentanti di un’epoca passata di cui si può apprendere sui libri di storia della letteratura. Infatti la letteratura italiana contiene una ricca costellazione di scrittrici fra le quali si registrano nei cataloghi stellari Matilde Serao, Grazia Deledda, Alba de Céspedes, Sibilla Aleramo, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, Oriana Fallaci, Elena Ferrante, per dire delle più brillanti. Fra loro la nostra Dacia nazionale prende una posizione non di seconda grandezza.
Nata nel 1936 in quel sobborgo panoramico di Firenze che è Fiesole, da bambina si trasferì con i suoi genitori in Giappone. Ma nel 1943 tutta la famiglia venne gettata in un campo di concentramento dove per anni patì fame e maltrattamenti. Nel 1946 tutti rientrarono finalmente in Italia e si trasferirono in una villa di Bagheria, sobborgo panoramico di Palermo, dove la piccola Dacia crebbe fino ai 18 anni. Allora si trasferì a Roma con il padre e qui cominciò la sua carriera di scrittrice.
Da quel momento in poi centrò un successo dopo l’altro, e divenne amica di altri importanti esponenti della grande cultura italiana come Alberto Moravia e Pierpaolo Pasolini. Con quest’ultimo intrattenne un lungo epistolario pubblicato di recente con il titolo „Caro Pierpaolo“. La scrittrice di celebri romanzi, poetessa ed autrice di pezzi teatrali, ci ha concesso la seguente intervista.
Signora Maraini, non è la prima volta che Lei viene ospite a Francoforte. Che impressione ha di questa città?
Francoforte mi appare ogni volta rinnovata, mi sorprendono i tanti grattacieli nuovi, le ardite creazioni architettoniche, le zone verdi. Ma come distrugge e ricrea nuovi spazi abitativi per il corpo, mi sembra che lo faccia anche per la mante. Si sente una inquietitudine fervida e vitale che attraversa i pensieri creativi della città. Molto movimento e ansia di rinnovamento.
Quali sono gli autori della letteratura tedesca che l’anno più interessata?
Mi sono nutrita di scrittori tedeschi da Goethe a Thomas Mann. Quelli che ho amato di più comunque sono Heinrich Böll, Christa Wolf, e Stephan Zweig. Per il teatro Brecht.
Nel suo ultimo libro „Trio“ Lei esalta l’amicizia fra le donne. Crede che ci sia qualche amicizia qualitativa fra l’amicizia femminile e quella maschile, oppure che si tratti d’un „sentimento unisex“?
Non credo che ci sia una differenza dal punto di vista affettivo, ma dal punto di vista storico sì, perché l’amicizia maschile è sempre stata esaltata e incoraggiata, mentre quella femminile è stata taciuta e scoraggiata.
Il titolo del Suo romanzo epistolare „Trio“ richiama molto da vicino il repertorio di musica classica, e più spiccatamente del classicismo viennese. Quali sono i Suoi gusti in fatto di musica?
Io sono cresciuta in un’epoca in cui c’era una grande distanza fra la musica classica, considerata le sola degna di attenzione, e quella cosiddetta leggera che era fatta di canzonette senza consistenza. Dopo il ‘68 è nata la musica leggera impegnata e la distanza si è accorciata. Ora ci sono cantautori che fanno una musica più vicino alla classica, con parole e pensieri più raffinati e impegnati.
Nelle colonne sonore dei film del Suo amico Pasolini si riscontra un uso molto appropriato dei pezzi del repertorio classico, dalle passioni di Bach nei suoi primi film ai „Carmina Burana“ di Orff nel suo ultimo film. Ne avete mai parlato assieme?
Pasolini, come me, è cresciuto ascoltando e amando la musica classica. A Bach, il suo favorito, e a Vivaldi, a volte ha aggiunto musica etnica. Altre volte ha chiesto a musicisti che lavoravano per il cinema di creare motivi per le sue immagini, ma non mi risulta che abbia mai messo cantautori nei suoi film. In quanto alla scelta del titolo Trio, io penso che nei rapporti umani coraggiosi e sperimentali si trovi un ritmo mentale che fa pensare alla musica.