Una riflessione sulla manifestazione di Amburgo
La manifestazione di quasi mezz’ora svoltasi all’inizio di febbraio in Amburgo era intitolata: “Il Corano è il futuro. Manifestazione contro il rogo del Corano”. L’occasione è stata l’azione di un provocatore islamofobo di estrema destra a Stoccolma alla fine di gennaio, durante la quale è stato bruciato un Corano. Quindi i lupi solitari sono di “tutte le razze”.
L’Ufficio di Stato per la Protezione della Costituzione aveva avvertito in anticipo della manifestazione di Amburgo. L’evento è iniziato alle 13:00 e originariamente doveva durare fino alle 16:00. Ma l’incontro a Steindamm/attraversando Stralsunder Strasse è stato prematuramente concluso dall’organizzazione alle 14:20.
Dietro l’assemblea c’è la rete islamista “Muslim Interaktiv” (MI), che può essere attribuita all’ambiente ideologico del gruppo Hizb ut-Tahrir (HuT), bandito in Germania, secondo l’agenzia di intelligence. “MI e i suoi sostenitori pubblicizzano l’evento in diverse lingue – tedesco, dari, pashtu, turco, arabo, inglese – su un’ampia varietà di social media, inclusi numerosi profili islamisti”, ha affermato Marco Haase, portavoce dell’Ufficio per la protezione di Amburgo della Costituzione. L’attivista per i diritti umani di origine iraniana Mina Ahadi considera pericolosi tali raduni. Secondo Ahadi, in Germania ci sono troppi islamisti che lavorano in modo molto efficace.
Il senatore dell’Interno di Amburgo Andy Grote (SPD), ha affermato di trovare tali manifestazioni “intollerabili”, tuttavia, ha aggiunto: “Secondo la Legge fondamentale, l’intollerabilità non è un motivo per vietare un incontro”.
Diverse migliaia di persone sono scese in piazza ad Amburgo per una manifestazione contro il rogo del Corano in Svezia. Secondo la polizia, sono arrivate circa 3.500 persone. La manifestazione, che secondo la polizia è stata pacifica e senza incidenti.
Secondo le informazioni dell’Ufficio per la Protezione della Costituzione, alla fine del 2022 circa 360 sostenitori sono stati attribuiti all’HuT di Amburgo. Secondo questo, circa 1.755 persone appartenevano alla scena islamista ad Amburgo, di cui 1.100 classificate come islamisti violenti. Infatti, parte del centro di Amburgo, la seconda città più grande della Germania, sembrava una zona di guerra a seguito dei cruenti scontri di piazza tra centinaia di sostenitori del gruppo jihadista conosciuto come Stato islamico e la comunità curda, avvenuta lo scorso anno. La violenza – che secondo la polizia è stata di una ferocia mai vista in Germania negli ultimi tempi – sta alimentando un senso di minaccia riguardo agli effetti domino dei combattimenti in Siria e in Iraq.
Alcuni analisti ritengono che i gruppi islamici rivali in Germania stiano deliberatamente sfruttando le tensioni etniche e religiose in Medio Oriente per fomentare tensioni in Europa. Purtroppo, i disordini ebbero inizio la sera del 7 ottobre, quando circa 400 curdi si sono riuniti all’esterno della moschea di Al Nour nei pressi della stazione ferroviaria centrale nel quartiere di Sankt Georg di Amburgo per protestare contro gli attacchi sferrati dallo Stato islamico contro la città curdo-siriana di Kobane.
Secondo la polizia, la protesta inizialmente pacifica è diventata violenta quando i curdi si sono scontrati con un gruppo rivale di circa 400 salafiti armati di mazze da baseball, tirapugni, coltelli, machete e aste metalliche usate per appendere la carne nei ristoranti di kebab. Nella mischia che ne è seguita, più di una dozzina di persone sono rimaste ferite, a una è stata quasi mozzata una gamba da qualcuno che brandiva un machete, e un’altra è stata accoltellata allo stomaco con un’asta usata per cuocere il kebab.
Circa 1300 agenti di polizia, armati di manganelli e muniti di idranti, sono stati schierati per fermare gli scontri, durati fino alle prime ore del mattino dell’8 ottobre. Complessivamente sono state sequestrate centinaia di armi e si è proceduto all’arresto di 22 persone. “Ho avuto l’impressione di vivere ad Amburghistan”, ha ammesso Daniel Abdin, imam della moschea di Al Nour. “L’atmosfera era molto, molto esplosiva.” La polizia si è detta sconcertata da ciò che è stato definito un livello di violenza senza precedenti. Ecco perché anche in quest’ultima occasione, a pochi mesi dalla precedente manifestazione, la paura di scontri violenti c’è stata, ma per fortuna tutto si è svolto in modo pacifico.
Pertanto, la riflessione che sorge è questa: “Come società dobbiamo chiederci: come può essere che chi vive in Germania ed è nato e cresciuto qui, appoggi un gruppo brutale, disumano e fondamentalista come l’Isis e attacchi i manifestanti pacifici con coltelli, bastoni e machete? Qui in Germania, lo Stato islamico minaccia di diventare un rifugio per giovani frustrati che non hanno prospettive per il futuro”. Mentre i politici discutono le cause e le possibili soluzioni al problema dell’Islam radicale, in tutta la Germania la polizia resta in allerta per nuove esplosioni di violenza, per colpa dei lupi solitari che poi si trovano in branco.
Non ultimo “lupo solitario”, un rifugiato palestinese, e non un siriano, come scritto in un primo momento, viaggiava su un regionale fra Amburgo e Kiel, nel tardo pomeriggio di mercoledì 25 gennaio, quando, improvvisamente, ha iniziato a colpire con un coltello i passeggeri. Due i morti e sette i feriti, di cui tre in modo grave: un bilancio scottante che non ha fatto troppo scalpore. La notizia è transitata sulla stampa internazionale per qualche ora, poi nulla. S’è fatto in tempo, però, a sapere, e denunciare, che l’attentatore avesse “problemi mentali”. Il permesso di soggiorno temporaneo era talmente sporco di sangue che la polizia non è riuscita a decifrarne l’età.
E due ore dopo l’attentato, continuavano a rincorrersi voci contraddittorie sulla sua nazionalità. Immediatamente dopo l’arresto, il ministro degli interni dello Land tedesco dello Schleswig-Holstein, Sabine Sutterlin-Waack, ha rivelato l’identità dell’uomo: Ibrahim A., arrivato in Germania nel 2014, ha vissuto prima nel Nord Reno-Westfalia e poi nello Schleswig-Holstein, e nel 2016 ha ricevuto la protezione sussidiaria. Status che si concede ai cittadini stranieri che non possiedono i requisiti per essere riconosciuti come rifugiati, ma nei cui confronti possono sussistere motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno. Tutto ciò ci pone delle grandi riflessioni da fare, anche riguardo a quanto sta succedendo in Italia con gli anarco insurrezionalisti.