Abbiamo da poco celebrato “la giornata della memoria”, che ci invita a ricordare, dei cinquanta milioni di morti della Seconda Guerra Mondiale, i sei milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento nazisti: uomini, donne, vecchi, bambini, furono dapprima perseguitati con le odiose leggi di discriminazione razziale, poi raccolti e segregati, in modo metodico e sistematico, nei lager, marchiati con un numero, come bestie, e infine fatti morire di fatiche e di stenti o uccisi nelle camere a gas. Intere comunità furono cancellate dalla faccia della terra, in quella che i nazisti chiamarono “soluzione finale”. Fu l’Olocausto, cioè il sacrificio, il martirio di un intero popolo. E l’aspetto forse più sconvolgente dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti sta nella metodicità con cui esso fu progettato e realizzato: i campi di sterminio erano vere e proprie “fabbriche di morte”, in cui gli uomini che venivano spediti erano come “articoli di merce” di cui si teneva la contabilità. “Il lager” dice lo scrittore Primo Levi “è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano”. Eventi allucinanti e straordinari, i più drammatici di tutta la plurimillenaria storia dell’umanità, fanno pensare che si siano svolti alle soglie di casa nostra e persino dentro le nostre case. Cronache asciutte, cifre, immagini e documenti precisi testimoniano come appena 80 anni fa per le strade di questa nostra Europa si aggirasse una tribù selvaggia e spietata che dava la caccia ai bimbi degli orfanotrofi, ai vecchi, ai malati degli ospedali e delle case di cura, agli handicappati, agli uomini e alle donne, alla gioventù di paesi interi, per bruciarli vivi, per annegarli nei fiumi, per avvelenarli con dei gas, per seppellirli vivi in enormi fosse comuni.
Questa tribù selvaggia non era composta dai leggendari “Mongoli” o dagli “Unni” delle lontane steppe asiatiche dei tempi antichi e nemmeno da incomprensibili extraterrestri arrivati da un pianeta lontano: era un corpo statale, scelto e selezionato da una nazione, che per tutto il ‘700 e l’800 aveva ispirato la cultura europea e che ora dava a quella “tribù” la piena copertura morale e materiale per compiere questo incredibile scempio. Lo sappiamo tutti che quelle dell’Olocausto sono cose rappresentate come la punta di un enorme iceberg galleggiante in un grande mare di incredibili, tragici avvenimenti, di milioni di vite umane recise a metà, di particolari episodi che spesso fanno rabbrividire nel ripescarli, decifrarli e nel portarli alla luce del sole. Ma sono i medesimi che si imbattono in testimonianze che tuonano di rabbia e furore contro il mondo che senza ragione, contro ogni logica, recideva la vita di milioni di ebrei. È per questo che è importante che ci si allarmi alla constatazione che il nostro mondo è ancora così poco perfetto e che la sensibilità umana, nonostante il lavoro di moralità fatto da legislatori, maestri, profeti ed apostoli, nonostante il soffio umano ed universale dei grandi geni del passato, nell’era moderna è ancora così superficiale, così labile e così del tutto inesistente. Quello che hanno fatto i nazisti in quegli anni ci pone il problema dei limiti dell’umanità dei popoli: dove finisce la moralità di una comunità umana che è precipitata in una moralità completa più che animalesca? In parole povere: è il problema dell’immoralità assoluta di un popolo che senza ritegno, abbandonando ogni principio morale, assassina, tortura, affanna, viola, brucia, umilia città e interi paesi. Ciò che sta succedendo ancora vicino casa nostra, ma che si sta verificando da tempo anche in altri paesi del mondo.
La questione che si pone perciò è: un giorno, più o meno vicino, questo raptus sterminatore che attanagliò una intera generazione mezzo secolo fa non potrebbe infilarsi nell’animo dello stesso popolo, o di un popolo diverso per sfogarsi questa volta non contro gli ebrei, ma contro un altro simulacro sacrificale che richiami l’eccitante impresa della Seconda Guerra Mondiale? Questo sta succedendo purtroppo! Un percorso lungo la storia, a partire dalla questione della memoria della Shoah, delineato con chiarezza e proposto attraverso le voci di sopravvissuti, grandi intellettuali e figure di spicco: da Simone Veil a Hannah Arendt, da Primo Levi a Yehuda Bauer e Raphael Lemkin.
È proprio la riflessione dello storico israeliano Yehuda Bauer, nel suo testamento spirituale, l’intellettuale che per primo mise in discussione la visione religiosa della Shoah – da cui era tratta l’interpretazione della sua unicità – chiamando in causa le responsabilità degli uomini, che dice chiaramente: «L’Olocausto, cioè il genocidio degli ebrei, non era unico. […] fu il prodotto dell’azione umana e quelle azioni furono prodotte da motivazioni umane. Nessun Dio o Satana era coinvolto. Pertanto, l’Olocausto è stato senza precedenti, non unico. Il che significa che era, o può essere, un precedente, e che, di conseguenza, dovremmo fare tutto ciò che è in nostro potere affinché non diventi un precedente, ma sia un monito». A Bauer si riconosce il merito di aver posto le premesse per una coscienza universale nei confronti di tutti i genocidi. “non c’è differenza – scrive ancora Bauer – tra la sofferenza degli ebrei, dei tutsi, dei pequot (pellerossa d’America), dei russi, dei cinesi, dei congolesi o di qualsiasi altro popolo che si sia trovato in un omicidio di massa genocidario. Non esiste una gradazione nella sofferenza, non esiste una tortura migliore di un’altra tortura, un omicidio di bambini migliore di un altro omicidio di bambini […] e non esiste dunque un genocidio migliore di un altro”.
Da qui e da altre riflessioni scaturisce ciò che serve per tutti noi oggi con una guerra alle porte di casa nostra e cioè che, in qualunque circostanza, sono le persone “normali”, imperfette e contraddittorie, che possono scegliere di non restare indifferenti di fronte al male estremo.