Quello che sta succedendo in Iran meriterebbe maggior attenzione visto che è in atto – duramente repressa – una vera e propria rivoluzione giovanile contro la teocrazia islamica che da 40 anni è alla guida del paese.
Gli studenti invocano maggiore libertà, mentre Khamenei insiste “Sono proteste organizzate da USA ed Israele”, per giustificare gli almeno 120 giovani ammazzati dalla polizia e dalle “milizie morali” che puntellano il regime.
Ci illudevamo che qualche organizzazione islamica italiana protestasse e scendesse in piazza per condannare le decine di morti nelle strade iraniane, invece nulla.
E pensare che in Iran vi è una larga maggioranza sciita mentre quasi tutti i musulmani italiani sono sunniti; quindi, qualche loro protesta ci poteva anche stare. Poi – però – qualcuno potrebbe ricordare anche le libertà vietate in Arabia Saudita (nazione leader sunnita) e allora è forse meno imbarazzante mantenere un assoluto silenzio.
Il tutto per sottolineare la necessità di affrontare un serio ragionamento sui rapporti da tenere – in un quadro di correttezza e libertà – nei confronti dei musulmani italiani o di quelli immigrati verso i quali deve esserci il massimo rispetto, ma dai quali dobbiamo pretendere altrettanto. Non dobbiamo solo chiederci se sia giusto togliere dai menu delle nostre scuole il prosciutto per non offendere gli alunni islamici, oppure negare le celebrazioni natalizie con il loro nome per non urtarne la suscettibilità, ma ragionare sul futuro della “nostra” civiltà.
Se una ragazza italiana va in Iran e non si mette il velo viene arrestata (o peggio), eppure ogni occasione da noi diventa pretesto – in nome della “accoglienza” e della “diversità” – per negare le nostre radici europee cristiane, per nasconderle quasi timorosi di mostrarle, per non voler capire che sono il cemento di una comunità e che quando viene frantumato la comunità stessa si dissolve.
In questo senso ci viene anche qualche dubbio su un eccessivo silenzio delle Autorità cattoliche che tacciono o minimizzano troppo spesso il continuo martirio dei cristiani in Africa, gli incendi delle chiese, la discriminazione legale anticristiana operata dalle autorità o la distruzione sistematica della presenza cristiana in Medio Oriente.
Non si deve odiare nessuno, né dividersi in nome di Dio, ma almeno l’atto di testimonianza e di appartenenza ci sembrerebbe dovuto, insieme all’ovvio rispetto per le opinioni religiose degli altri.