In quel momento entrava in vigore il Trattato di unicazione tra Germania Est e Germania Ovest che prevedeva l‘accorpamento dei cinque undesländer orientali nel vigente ordinamento occidentale. Era per tutti un nuovo inizio, carico di speranze e timori. A 45 anni di distanza dalla ne della guerra, a 10 mesi dalla caduta del Muro di Berlino, si compiva il processo di riunicazione caparbiamente portato avanti dal cancelliere Helmut Kohl. Il popolo tedesco ritrovava un‘unità sulla quale no a poco tempo prima quasi nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Oggi, un quarto di secolo dopo quella gioiosa nottata, i tedeschi mentre celebrano in pompa magna la ricorrenza, si attaccano al ricordo di quei giorni felici nella speranza di trarre spunto da lì per recuperare lo spirito di allora con due obiettivi: trovare la forza per gestire l’emergenza profughi senza isterismi e confusioni, e risollevarsi dall’appannamento d’immagine che lo scandalo Volkswagen ha inesorabilmente provocato nel mondo.
È stato il presidente federale Joachim Gauck nel discorso celebrativo tenuto a Francoforte nel corso della Festa dell’Unità tedesca a stabile un collegamento ideale tra la sda vinta della riunicazione e quella in atto dell’accoglienza per chi chiede riparo. «Come nel 1990, anche ora ci aspetta una sda che impegnerà generazioni. Ma diversamente da allora, adesso bisogna che cresca insieme quello che nora non si apparteneva», ha esclamato Gauck alludendo a una celebre frase di Willy Brandt. La Germania che ha saputo integrare se stessa è oggi chiamata a ospitare e integrare centinaia di migliaia di stranieri rifugiati. Il futuro ci dirà se la Germania odierna saprà ritrovare lo slancio di allora. Quello che vale la pena fare è verificare il bilancio di questi 25 anni di unità. Possiamo dire finalmente che l’unità del paese è davvero compiuta, oppure persistono ancora tali e tante differenze d’ordine economico, sociale, culturale da giustificare chi parla di due realtà ancora lontane dall’amalgama? Il discorso di fa scivoloso e la tentazione di chi commenta è quella di tirare il bandolo della matassa dalla parte che si vorrebbe far prevalere. Diciamo allora che ci sono molte luci, ma anche molte ombre. Diciamo che gli auspici più ottimistici, quelli che pronosticavano il rapido insorgere di «paesaggi fiorenti nell’e Ddr (sono parole di Kohl) sono ancora ben lontani dall’avverarsi. Certo, chi abbia avuto occasione di visitare regolarmente nel corso degli ultimi due decenni le città dell’est non potrà non riconoscere gli enormi progressi via via compiuti. Località come Lispia, Dresda, Erfurt sono tornate all’antico splendore, si sono dotate di eccellenti infrastrutture, dispongono di istituzioni scientifiche e accademiche di primordine, hanno una vita culturale dinamica e vivacissima. Ma nei piccoli centri di provincia, nella zone rurali, permane tra i cittadini un fortissimo senso di frustrazione e nelle generazioni più anziane sopravvive ancora perfino un po’ di nostalgia per il tempo che fu.
Secondo i dati dello Statisches Bundesamt ancora adesso il tasso disoccupazione nei Länder orientali (12%) è circa doppio rispetto a quelli occidentali, gli stipendi e le pensioni continuano ad essere inferiori di un terzo. Il benessere è arrivato più o meno ovunque, ma è pur sempre meno diffuso che all’ovest. Lo spopolamento urbano, ovvero il trasferimento costante di centinaia di migliaia di persone – naturalmente i più giovani, i più istruiti, i più intraprendenti – dalle regioni orientali verso occidente ora sembra essersi interrotto, ma di certo ha lasciato gravi strascichi e una situazione di squilibrio demografico difficile da colmare. Guidata da una Ossi quale è Angela Merkel, la Germania è riuscita a superare la grave crisi economica degli anni scorsi assumendo un ruolo di leadership sul vecchio continente, ed è alla ricerca di un ruolo di maggior peso nello scenario geopolitico internazionale. Qualcuno ha paura di questo nuovo ruolo della Germania, altri lo giudicano il corollario inevitabile della supremazia economica.
Fatto sta che i tedeschi devono innanzi tutto ultimare i compiti a casa propria, anche se per raggiungere una completo livello di coesione ed omogeneità tra le due parti del Paese saranno necessari parecchi anni. Un modo interessante di valutare il bilancio della riunificazione è quello proposto dal settimanale Der Spiegel che si chiede: cosa sarebbe successo se l’unità intertedesca non ci fosse stata? Se avessero prevalso le posizioni di quanti – a partire dallo scrittore Günter Grass ma anche di molti altri politici e intellettuali – temevano il risorgere del pangermanesimo e ritenevano che i tedeschi dovessero restare divisi per scontare le tragiche colpe del regime hitleriano e della seconda guerra mondiale? La storia non si fa con i “se”, lo sappiamo. Ma il giochino pare istruttivo. Ebbene, se le trattative con le nazioni vincitrici della guerra si fossero arenate, BRD e DDR sarebbero rimaste due unità statali separate, con diversi governi, parlamenti, istituzioni etc. Sicuramente si sarebbe risparmiato un bel po’ dei circa 2mila miliardi di euro spesi per la ricostruzione delle regioni orientali. Verisimilmente non sarebbe nato neppure l’euro e ci saremmo risparmiati tutto il dibatti sull’austerit e sulla Greit. La moneta unica e l’ancoraggio definitivo alla causa dell’integrazione europea fu il pedaggio imposto da Mitterand ai tedeschi per acconsentire alla loro unità. La Germania Est, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, avrebbe vissuto una fuoriuscita dal comunismo più morbida con uno sviluppo analogo a quello di Polonia e ngheria. E Angela Merkel Non solo non sarebbe diventata cancelliera, ma certamente non si sarebbe mai neppure dedicata alla politica proseguendo la carriera di scienziata nel campo della fisica quantistica.