Direttore Musicale del Teatro Regio di Torino dal 2007, che ha collocato stabilmente nella mappa dei grandi teatri d’opera, vi dirige ogni anno produzioni operistiche e concerti sinfonici, oltre a tournée e residenze all’estero. È infatti anche Conductor Laureate della BBC Philharmonic, Principale Direttore Ospite della Israel Philharmonic Orchestra ‚Victor De Sabata‘, Direttore Ospite della Pittsburgh Symphony Orchestra, Direttore Principale dell’ Orquesta de Cadaqués nonché Direttore Artistico dello Stresa Festival. A Novembre 2015 Musical America lo ha nominato il Direttore 2015 e agli International Opera Awards di Londra, è nella rosa dei finalisti. Lo abbiamo incontrato per voi.
È nato in famiglia, dato che mio padre è un musicista dilettante. Un amore naturale, normale, senza sforzature. Avendo il pianoforte a casa, ho iniziato molto presto a studiarlo. Ho toccato per la prima volta un pianoforte quando avevo pochi mesi… schiacciavo i tasti per curiosità, come fanno molti bambini. Ho incominciato a suonare “sul serio” quando avevo 6 anni.
Non è stata una decisione presa in un giorno. Occupandosi di musica e di temi musicali, ad un certo punto, dopo essermi diplomato in pianoforte ed aver dato concerti come pianista, ho studiato direzione d’orchestra all’accademia di Milano affiancando anche la formazione con l’accademia pescarese, per completare il panorama della formazione musicale. Ho scoperto così che la direzione d’orchestra era quella che rendeva il mio rapporto con la musica più naturale.
La sfida principale è quella di entrare in contatto con il compositore attraverso quello che il compositore ci ha lasciato, ovvero la sua musica, senza avere, nella maggioranza dei casi, la possibilità di parlare o confrontarsi con il compositore. Si studiano le biografie, la letteratura relativa cercando di capire come mai in un determinato momento della propria vita abbiano voluto proprio scrivere quel tipo di musica. Ogni volta che si affronta lo stesso pezzo si hanno più capacità di analisi e si scoprono altri aspetti. Non è, tuttavia, un processo lineare progressivo: a volte si torna anche indietro e si vede il tutto sotto un’altra ottica. Anche il convogliare tutte le scoperte nel corso delle prove dell’orchestra rappresenta un’ulteriore sfida, perché l’orchestra diventa un’altra protagonista interprete. Bisogna cercare di coinvolgere l’orchestra nella propria idea di interpretazione ben sapendo, fin dall’inizio, che ce ne saranno sempre di idee migliori. Quando si lavora con orchestre diverse ci sono sempre degli spunti, perché si scoprono altri modi di interpretare e intendere la musica. Non c’è tempo di annoiarsi se si ha la mentalità aperta e la capacità di accogliere influenze diverse. C’è la possibilità di crescere sia come persona che come musicista, allargando la propria visione musicale e liberandola della parzialità locale. È un’educazione alla scoperta della diversità, alla tolleranza e all’apertura mentale.
La musica e i giovani: Lei lavora con l’orchestra giovanile italiana, l’orchestra della Guildhall school e l’orchestra giovanile dell’unione europea. Cosa c’è dietro?
È importante stimolare i giovani nel raggiungimento dei propri sogni, favorendo le condizioni esterne che lo permettono. Rinforzare il fuoco giovanile, dare speranza ai giovani interessati alla musica e mettendoli in guardia del fatto che ci saranno molti che tenteranno di spegnerlo quel fuoco. Trovo che i giovani musicisti abbiano più propensità a mettere il proprio talento a servizio degli altri, del gruppo per creare qualcosa di grande. È molto rinvigorente e molta soddisfazione.
Diciamo che quando si sceglie qualcosa lo si fa sempre badando al proprio questo. Di musica italiana ce ne è tanta che è difficile effettuare una scelta universale. Non si può essere neutri nelle proprie scelte. Partendo dalla considerazione che la musica italiana non sia prettamente musica operistica e del XIX secolo, ho selezionato compositori anche contemporanei, selezionando brani operistica, musica sinfonica e musica da camera e anche brani di compositori miei contemporanei. La musica italiana non può essere messa in un compartimento stagno della musica operistica.
Nominato da Musical America “Direttore 2015” nonché finalista agli International Opera Awards di Londra. Cosa significano i premi per Lei?
Sono sicuramente riconoscimenti. Per me significano che il percorso che sto facendo è, in effetti, un percorso che incontra apprezzamenti. Sarebbe falsa modestia affermare che ognuno fa il suo lavoro e non si cura degli effetti. È vero che uno comunque fa il suo lavoro, con passione, ma è anche vero che vederlo riconosciuto soddisfa. Quando si ricevono questi riconoscimenti si sente ancora di più la responsabilità di continuare ad approfondire, sia seguendo la stessa direzione che cambiandola, scegliendo nuove mete. Lo sviluppo professionale è diverso da quello formativo, perché a volte sono necessari deli importanti cambi di direzione per continuare a favorire lo sviluppo. Un premio non è un traguardo, bensì una pietra miliare, come quelle sulle strade romane che ti indicano che sei sulla strada giusta.