È giusta la collaborazione con un paese dove ancora oggi vengono negati i diritti alla libertà e i diritti umani?
Nonostante le disposizioni costituzionali e i suoi impegni e obblighi internazionali, la Cina ha continuato la sua inesorabile persecuzione dei difensori dei diritti umani e degli attivisti. Durante tutto l’anno in corso, sono stati sistematicamente oggetto di molestie, intimidazioni, sparizioni forzate e detenzioni arbitrarie, nonché di lunghi periodi di reclusione. L’assenza di una magistratura indipendente e di garanzie di processi realmente equi ha aggravato queste ricorrenti violazioni.
A molti avvocati per i diritti umani è stato negato il diritto alla libertà di movimento, nonché a incontrare e rappresentare gli imputati e ad avere accesso ai documenti processuali. Difensori dei diritti umani e attivisti sono stati presi di mira e accusati di reati formulati in modo vago e ampio, come “sovvertimento del potere dello stato”, “incitamento alla sovversione del potere dello stato” e “attaccare briga e provocare problemi”. Ma non va dimenticato che fu il gesuita Matteo Ricci, che è più famoso in Cina che in Italia, che tra i suoi numerosi meriti vi è indubbiamente quello di aver favorito l’apertura verso Pechino e di Pechino alla scienza. Egli, nonostante innumerevoli difficoltà di ogni sorta, ha aperto un dialogo attraverso un lento progredire dalla costa verso la capitale orientale.
Tale raggiungimento fisico si potrebbe ritenere quasi un simbolo di un analogo avvicinamento e scambio culturale. Per tale elemento fortemente simbolico ed evocativo è stato scelto il nome dell’illustre gesuita per una importante iniziativa. Il riferimento è al Matteo Ricci Network, che unisce alcune delle più importanti università italiane e cinesi in una rete di didattica e ricerca congiunta volta al rafforzamento delle collaborazioni scientifiche ed economiche tra i due Paesi. Il progetto vede tra i protagonisti tre Università di Napoli: “Parthenope”, “Federico II” e “L’Orientale”, oltre al supporto della Fondazione IDIS Città della Scienza.
Attualmente il Network in oggetto è composto da 13 atenei italiani e 10 cinesi e, tutti, hanno come obiettivo primario lo sviluppo di progetti di ricerca comuni e di alta formazione, nonché favorire la mobilità di studenti e docenti.
Il progetto illustrato è uno degli innumerevoli strumenti della cooperazione tra Italia e Cina che non si limita alla collaborazione scientifica e tecnologica ma riveste anche altri campi. Tra questi ultimi si ricorda un altro tema, quello della valorizzazione, conservazione e fruizione dei beni culturali, anch’esso coordinato dalla Città della Scienza.
Alcuni esempi dei frutti germogliati da questi legami tra i poli museali ed archeologici campani e del Sichuan sono l’allestimento di tre mostre: la prima su Pompei, la seconda su Paestum a Chengdu; la terza sulla storia archeologica di Chengdu a Napoli. Un ulteriore dato rilevante nell’ambito del rafforzamento degli scambi bilaterali è la promozione da parte di Fondazione Italia-Cina, Camera di Commercio Italo-Cinese e AICE per la partecipazione collettiva di aziende italiane alla terza edizione della China International Import Expo di Shanghai, la fiera dedicata all’importazione di prodotti e servizi stranieri.
È facilmente comprensibile come la sfida più ambiziosa nelle relazioni Italia – Cina sia stata poi quella di contrastare e debellare il coronavirus. Tale vittoria consentirebbe sicuramente di coronare il ricordo del Cinquantesimo anniversario dall’avvio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina.
Nel 1970 Roma scelse infatti di terminare i rapporti con la Repubblica di Cina – Taiwan – ed intraprendere relazioni formali con la Repubblica Popolare Cinese di Mao Zedong. E fu proprio la decisione italiana a fare da apripista ad altri paesi europei. Da allora, le relazioni tra Italia e Cina si sono sviluppate seguendo tre principali direttrici: commercio, cultura e mobilità internazionale.
Ma ci si chiede: cosa significa oggi essere italiani in Cina e cinesi in Italia? La via della seta che nell’antichità indicava i commerci tra l’impero cinese e quello romano, nata infatti oltre 200 anni fa per ragioni commerciali, la Via della Seta per secoli è stata percorsa da mercanti provenienti da tutto il mondo allora conosciuto che, tornando a casa, portavano con sé non solo carri carichi di merci esotiche, ma anche un importante bagaglio culturale da condividere, è ancora attuale?
Il termine Via della Seta fa riferimento all’insieme di percorsi e rotte commerciali che attraversavano l’Asia centrale per circa 8000 km e collegavano l’impero cinese a quello romano, lungo i quali si svolgevano degli scambi commerciali e culturali. Comprendeva almeno cinque itinerari marittimi, fluviali e terrestri; il principale, nel nord-ovest della Cina, partiva dalle antiche capitali Xi’an e Luoyang, attraversava poi l’arido e impervio corridoio del Gansu fino a raggiungere lo Xinjiang, nella remota Cina occidentale, e terminare oltre l’Asia Centrale e l’Europa. La Via della Seta attraversava regioni e territori molto diversi tra loro e metteva in contatto persone di culture differenti. Era quindi un affascinante percorso alla scoperta di nuovi mondi, accuratamente descritto nei resoconti di viaggio di alcuni mercanti di passaggio, tra cui il veneziano Marco Polo.
La Via della Seta, in realtà, era ed è un insieme di percorsi e rotte commerciali. Annunciata nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping e promossa sin dalle prime battute dal primo ministro Li Keqiang nel corso di diversi viaggi in Europa e Asia, con la “Nuova via della seta” presentata dal governo cinese come il primo passo per “rinforzare la connettività regionale e costruire un radioso futuro condiviso”, come dichiarato nel marzo 2015 dall’agenzia di stampa Xinhua, di una Cina che si pone al centro del mondo, alla luce degli ultimi avvenimenti della guerra tra Russia e Ucraina e una situazione mondiale particolare, come pensa di sfondare visto che l’Unione europea, dal canto suo, si è focalizzata fin dall’inizio solo sulle questioni legali? Infatti, i Paesi comunitari temono che la Cina possa egemonizzare gli appalti infrastrutturali frenando la libera concorrenza, chiedendo a Pechino maggiore trasparenza. Ed oggi come si porrà alla luce di quanto successo alle porte di casa nostra e dell’atteggiamento avuto dalla Cina? E la Cina come si comporterà con quelli che dovrebbero essere i suoi partner commerciali?