A qualche settimana di distanza, non è male soffermarsi un poco dal discorso conclusivo tenuto del presidente del Consiglio, Matteo Renzi a conclusione del semestre italiano, perché in quel discorso si nasconde la chiave per una Europa che cambia rotta e lavora per i cittadini. Le contestazioni che Renzi ha avuto, di fronte, tra l’altro, ad una assemblea semivuota, sono state pesanti. Il leader della Destra lepenista italiana, Salvini, gli ha contestato un discorso vuoto come l’aula nella quale veniva pronunciato, dimenticando tra l’altro di essere egli stesso uno dei grandi assenteisti di Strasburgo, e in quel senso più volte richiamato dal presidente Schulz. Ma lasciamo a Salvini il suo sciocchezzaio e torniamo al discorso. Che si è svolto a mio avviso su due punti fondamentali.
Il primo e la necessità di una svolta della politica economica europea in direzione espansiva. La seconda è il fatto che, comunque, ogni Paese deve risolvere a casa propria gli squilibri economici. Cominciamo dalla prima questione. Non c’è stato bisogno del semestre italiano per iniziare una politica economica nuova. Ci ha pensato il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi a dare una svolta drastica alla tradizione neutralista dei suoi predecessori. Draghi ha iniziato a combattere più la deflazione che l’inflazione; ha fatto arrivare denaro fresco alle banche che dovrebbe servire per finanziare investimenti ed ha cominciato ad acquistare il debito dei Paesi più esposti. Insomma ha chiuso con la tradizione, sotto la pioggia di improperi delle banche centrali dei Paesi ad economia forte. Inoltre ha iniziato la corsa discendente dell’euro rispetto al dollaro per permettere anche ai Paesi europei più deboli un’esportazione in quell’area. Insomma, Draghi è il grande artigiano dell’Europa attuale.
Il semestre italiano ha semplicemente sottolineato la svolta di Draghi, favorendo nomine alla Commissione di persone che ormai sono convinte che andare avanti come si è fatto fino ad ora si arriva soltanto alla fine della moneta unica e, in fondo, anche alla fine dell’Unione europea. Chi ha dato un’occhiata al programma economico che il presidente della Commissione, Junker, ha sottoscritto per i prossimi tre anni, e che prevede un intervento straordinario di 300 miliardi di euro per il rilancio dell’economia continentale, ne deve convenire. Peraltro, nei giorni scorsi, un documento della Commissione, nella fattispecie il rapporto annuale sulla situazione sociale, ha sottolineato chiaramente la urgenza di interventi straordinari: “La crisi ha accresciuto il disagio finanziario e i livelli di debito delle famiglie, esacerbato la povertà e l’esclusione sociale, indebolito i legami sociali e spinto molte famiglie e molte persone ad affidarsi a un sostegno informale. Il deterioramento della situazione sociale per un prolungato periodo di tempo ha avuto un impatto negativo sulla fiducia e sulla credibilità di governi e istituzioni e della loro capacità di farvi fronte". Parole piuttosto chiare che non si leggevano da decenni in un documento ufficiale della Commissione.
Il secondo snodo che Renzi ha toccato nel suo discorso conclusivo a Strasburgo è stato quello della responsabilità dei singoli Stati. Soprattutto al sud, si è sempre stati un po’ convinti che si può fare tutto il debito che si vuole, tanto poi arriva l’Europa che paga. Questa convinzione è stata un po’ il fondamento, da noi, di tanto europeismo di maniera nei decenni passati. Quando poi l’Europa ha risposto picche dicendo che i costi della corruzione, del nepotismo, della esplosione infinita del debito, della malapolitica, ogni Stato se li deve pagare da sé e che i prestiti sono comunque legati a riforme strutturali per migliorare il sistema Paese, allora anche l’europeismo della chiacchiera è finito e sono comparsi – sempre da noi – Grillo e Salvini.
Renzi la pensa diversamente: “Noi italiani sappiamo che nostra sfida non è qui (a Strasburgo) ma a casa nostra”. Questo il punto fondamentale. Senza un miglioramento strutturale del sistema Paese non si va da nessuna parte. Del resto anche il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha avuto parole di lode per il semestre italiano: “. "Voglio fare un complimento al governo italiano: ha lasciato l’immagine di un governo molto competente. È stato un grande successo”.
Nel suo viaggio a Riga per incontrare l’attuale presidente di turno lettone al Parlamento europeo, il presidente della Commissione, Juncker, ha confermato il piano di investimenti: “Vogliamo tradurre al più presto le nostre intenzioni in fatti: una Europa più competitiva attraverso un miglioramento del clima degli investimenti, una Europa digitale senza frontiere e una unione forte nel campo energetico”. Il programma insomma è ambizioso. Ma forse è il caso di tornare per un attimo alla vuota assemblea di Strasburgo, citata da Salvini; egli fa una semplice constatazione quando denuncia il fatto. L’assemblea è vuota non perché parlino Pinco o Pallino. Lo è perché le decisioni vengono prese in sede di Commissione, quindi a Bruxelles, e i deputati di Strasburgo sono poco più che bandierine messe a rappresentanza dei vari partiti. Questo non scusa la loro demotivazione e il loro assenteismo, ma perlomeno lo spiega.
Il prossimo passo (urgente) dell’integrazione europea dovrebbe essere quindi il passaggio delle competenze dalla Commissione al Parlamento; questo farebbe dell’Europa una unità politica e non soltanto una sommatoria di Stati. Ma chi ha attualmente la lucidità e il coraggio di un progetto del genere? Dov’è il Mitterand dei nostri tempi? A parte il citato Draghi, teste pensanti, nella folla dei nani della politica europea, se ne vedono poche.