Tra i dati più interessanti che fornisce il rapporto „.minor“ sulla presenza della nuova immigrazione italiana e spagnola in Germania, c‘è quello sul rapporto tra la conoscenza della lingua e l’occupazione. La conoscenza della lingua, infatti, è tanto importante quanto lo è la qualificazione. In alcuni settori, come quello informatico, il tedesco può essere sostituito dall’inglese, e comunque la qualificazione è più importante della lingua. Ma, nella normalità, l’ignoranza della lingua spinge i giovani immigrati verso i settori meno remunerativi, come la gastronomia, che è il più frequente e nel quale trovano lavoro il 22,5% delle giovani italiane e quasi il 14% dei giovani italiani della nuova immigrazione. Avevamo citato nell’articolo precedente la testimonianza di Chiara (25 anni).
Dice Chiara: “ Le condizioni sono veramente pessime. Ti danno un contratto per un minijob (che prevede mediamente l’impiego per 10 ore alla settimana n.d.r.) ma si aspettano che lavori per 40 ore. La gastronomia è davvero il settore peggiore. Quando non si sa fare niente, si va lì. Nella gastronomia c’è veramente di tutto. C’è gente che si dimentica di pagarti. C’è gente che non ti paga e basta. Se lo possono permettere, di trattarti male, perché ce ne sono tanti che vogliono vivere qui e sono alla ricerca”. Per saperne di più abbiamo girato la domanda ad un noto gastronomo italiano di Monaco di Baviera, il quale si mostra piuttosto irritato e ci chiede di lasciarlo anonimo. “Ogni settore –ci dice- ha un suo proprio livello tariffario. Quello della gastronomia sta tra gli otto e i dieci euro all’ora. A parte questo, chi lavora nel settore ha la possibilità di ricevere mance, che in Germania sono la normalità e talvolta sono relativamente alte. Inoltre si può lavorare nella gastronomia anche con una bassa qualificazione”. Gli chiedo se egli ritiene quindi che i giovani intervistati mentano quando parlano –come Chiara- di uno sfruttamento del personale che arriva perfino alla truffa. “Non conosco queste persone” –risponde il gastronomo. “So però che il settore viene regolato per legge. A parte questo, ci sono le regole del mercato. Io posso immaginare che in Germania, quando a un lavoratore vengono offerte queste condizioni di lavoro, egli le possa semplicemente rifiutare e cercarsi quindi qualcosa d’altro. Se la situazione fosse come la descrivono questi ragazzi, noi vivremmo l’epoca d’oro della gastronomia. Invece molti ristoranti sono costretti a chiudere”.
Nonostante la veemente smentita del gastronomo, tuttavia, non facciamo fatica a credere che, nel settore, siano in molti ad approfittare della mancanza di orientamento dei nuovi arrivati. Naturalmente, rimane la questione della veridicità delle informazioni che questi ragazzi forniscono ai ricercatori del rapporto “.minor”. Quanto siano credibili affermazioni come quelle di Chiara, lo chiediamo ad uno dei ricercatori, Christian Pfeffer- Hoffman (gli altri sono per la cronaca Sophie Duschl e Marianne Kraußlach) che raggiungiamo telefonicamente a Berlino. “Noi non abbiamo ovviamente i mezzi per verificare ogni singola informazione” –ci dice piuttosto seccamente. “Tuttavia, quando diverse persone che non hanno contatti tra loro dicono cose simili, noi diamo per scontato che quella sia la situazione”.
Oltre alla gastronomia, altri sono i settori nei quali approdano i giovani e meno che arrivano senza conoscenza della lingua. È il caso di Giuseppe, napoletano, 42 anni, sposato e padre di una bambina di 12. In Italia sarebbe “operatore turistico” ma il diploma, conseguito a Napoli in una scuola privata, non viene riconosciuto in Germania. Lavora insegnando italiano e francese in una scuola di lingue a Francoforte. Lo incontriamo per caso sulla linea U5 della metropolitana francofortese mentre chiacchiera al telefono in italiano.
Giuseppe ci racconta la sua personale odissea. Arrivato in Germania senza sapere nulla né della lingua né della cultura, ha speso nei primi mesi i suoi risparmi, alloggiando in un carissimo appartamentino ammobiliato. Poi ha finalmente trovato quelle poche ore di lavoro come insegnante medrelingua. “Ma l’italiano non è ricercato abbastanza” –ci dice. “Poi c’è molta concorrenza. Per quello mi sono offerto anche come insegnante di francese ed ho ottenuto qualche ora in più”. Giuseppe guadagna 6,5 euro all’ora e, con quel salario, spera di fare venire in Germania, appena possibile, la moglie e la figlia. Insomma siamo tornati per certi versi all’emigrazione degli anni Sessanta. Gli spiego che da poco è operativa in Germania una legge che innalza il salario minimo a 8,5 euro. Risponde che non è per lui. Teme che lo mandino via. “È che non sono qualificato… non potrei neppure fare quel mestiere…” – dice.
Il rapporto “.minor” ci informa che lavorano nel settore “Soziales und Pädagogik” il 4,2 delle italiane nuove arrivate e il 2,4 dei nuovi arrivati, tra cui, appunto, Giuseppe. Se si va però un attimo “dentro” le cifre si scopre che la realtà non è quella che sembra. Giuseppe sostiene che i suoi colleghi che lavorano nel settore “Soziales und Pädagogik” lavorano tutti in quelle condizioni, guadagnando talvolta anche meno. “Sono settori –ci dice- dove sempre il nettò è uguale al lordo: cioè chi lavora deve pagarsi in proprio anche i contributi sociali e pensionistici (se lo può)”. Allora si potrebbe chiamare, quello, il settore del precariato senza ulteriori specificazioni. Oggi Giuseppe lavora nella scuola, domani lavorerà nella gastronomia, dopodomani chissà, ma, in ogni caso, sempre senza la speranza di un inserimento nella normale vita lavorativa. Insomma: cambia il settore, resta la precarietà.
“D’altra parte –come anche lo stesso Christian Pfeffer- Hoffman vuole precisarci al telefono non si tratta di una indagine sociologica della nuova immigrazione, bensì soltanto di una fotografia statistica”. Il che vuol dire che, chi volesse cercare nei numeri una quadro sociale più realistico, dovrebbe farlo in proprio. Tra l’altro, anche i campi di indagine sono relativamente limitati. Sarebbe stato interessante sapere, ad esempio, che rapporto hanno i nuovi migranti con la pratica religiosa. “La questione non era nel quadro delle indagini che ci sono state commissionate!”- precisa l’autore.